La neve e il senso – in Amedeo Anelli

Pubblicato il 23 febbraio 2018 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

La neve e il senso

in Neve pensata
di Amedeo Anelli, Mursia, 2017 – pp. 69, 15€

Adam Vaccaro

Un piccolo intenso libro che irradia e inonda di sensi. E non meraviglia, considerato l’Autore, che con la rivista Kamen da decenni non smette di aprire spazi europei e internazionali, alla cultura e specificamente alla poesia nostrane, spesso tendenti a chiusure provinciali. È un libro che, già col titolo impone di…pensare. O meglio ripensare, qualcosa che dovrebbe essere ormai banale, cioè la differenza irriducibile tra cosa e parola, che tuttavia spesso, perfino per una parte degli scriventi, non così scontata. Il pensiero, il pensare, è esercizio che oggi scivola facilmente su sassi e frane tecnologiche, tra i quali il cartesiano cogito ergo sum è fagocitato da clic che spillano anziché flussi da botti colme di liquori distillati dal tempo, sequenze arroganti di dictatoriali pacchettini di presente senza memoria.

Pacchettini di segni e icone che non chiedono di pensare, ma solo di affrettarsi a seguire il flusso di segni-cosa privi di direzione orientamento visione e, quindi, di senso. Risultato esaltato quanto più sono segni-icone che tendono a illudere l’operatore di essere cosa, cancellando o riducendo la possibilità di una operatività mentale che sa la differenza tra i propri strumenti e l’Altro che con questi vuole cogliere e conoscere.
La neve diventa così un intreccio non solo di metafora, ma anche di tensione allegorica e metonimica, in quanto si fa cosa che non evoca solo l’immagine della neve scesa dal cielo, ma del Soggetto Scrivente (SS). Che si fa “nera farfalla” (p.7) per rendersi visibile nella “coperta di luce” della “città schermo” (ibid.) artificiale su cui “nuvole coprono le stelle” (ibid.), ossia la visione e il senso. Di qui le domande: “Ma chi sa più scrutare il segreto di quelle stelle?/ Chi conquistare il senso del fiorire muto/ del tiglio? La musica densa del tempo?”, nel “silenzio” in cui “S’incardina/ la vita.“ (ibid.). Come non ricordare qui il glicine mai concluso di Roberto Sanesi?

Sono citazioni dal testo di apertura del libro, che dispone sul tavolo da subito le carte che seguono, e che fanno della neve pensata immagine della ricerca di senso, mai conclusa e che fa esplodere la sua raggiera, qui, nel silenzio della “disordinata geometria” (p.8) “della neve che scende/ necessariamente.”. Versi che non richiamano solo la magia sognante della neve, ma ben altro. Il senso fiorisce misteriosamente perché il SS assorbe e diventa quel “fiocco…situato/ sulla mia mano.”, che riduce la separazione tra sé e l’Altro.
Ma non basta. Nella totalità del SS, questo moto attivo di adiacenza, implica una riduzione di quella parte del soggetto, che pensa e a volte cade nel delirio di onnipotenza di essere il Fattore delle cose, della Cosa che pare essere al di fuori del suo potere. La parte che chiamiamo Io e che nel silenzio il soggetto scopre non essere la sola a dare voce e presenza all’immensità in cui siamo.

Soccorre l’Altro in noi, che può agire solo se l’Io si riduce e fa spazio alla “Distesa sul foglio del sogno”, su cui “si è seduta la neve”. (p.9) Per favorire l’esplosione della ricerca di senso, non basta la visione scaturita dal “cogito”. Per esserci il SS deve fare essere presente anche quella parte che (apparentemente) non pensa, o pensa in altri modi, attraverso le invenzioni oniriche. Solo così si apre “nel giardino dei pensieri” (p.53), qualcosa di inaudito (per l’Io), qualcosa che va oltre il piano speculativo e può essere ciò che chiamiamo poesia, un “improvviso furore di luce” (p.53)

Non è quindi un aprire scontato, è un viaggio nell’ignoto anche se a partire da precisi punti dell’orizzonte mentale dell’Io, punti che riguardano storia e geografia, di cui all’Altro forse importa poco, ma solo a partire da essi può inventare i suoi sogni, aggiungendo nel (suo) silenzio, narrazioni impensabili di e da disordinati fiocchi di neve. Uno stato di SS che si fa “Corpo di poesia”, “Non io: poesia (p.67), di una totalità che può dire di quest’ultimo: “L’ho sentito sciogliersi,/ dileguarsi” (p.9), mentre sente il paradosso in cui “il Corpo è più forte” (p.67), nello “stesso silenzio” della “neve pensata/ neve sognata” (p.69), in cui “…le grida/ e la polvere ricadono nella luce, nell’aria ferma/ immobile che si fa sguardo, memoria…”. Un platonico attimo di infinito, in cui passato, presente e futuro riescono a convivere e non a rimanere frammenti alienati.
Febbraio 2018

Adam Vaccaro

6 comments

  1. Emilio Gnocchi ha detto:

    .molto colto ed interessante

  2. Laura Cantelmo ha detto:

    Una miniera di preziose riflessioni utili per far poesia. Lettura interessante. Grazie, così ci si arricchisce di senso.E grazie anche ad Adam che ci propone il suo personale e profondo metodo di lettura.

  3. Salvatore Violante ha detto:

    Davvero interessante! Ma non potrebbe essere altrimenti. La parola è recuperabile e moderna solo se essa deriva da una privazione: Mi spiego meglio: C’è bisogno di vivere il moderno come perdita:fare della parola una bolla gonfia di amore lontano e questa cosa può avvenire solo se ci si allontana dal bla-bla rumoroso del tempo reale cavalcando la memoria.

  4. Amedeo Anelli ha detto:

    Grazie ad Adam per l’intervento e a Voi tutti per l’attenzione…

  5. Adam ha detto:

    Registro con piacere quanto detto e commentato da Lettori attenti e dal’Autore: è ciò che dà …senso a queste Anticipazioni.

  6. TheBarbellGarage ha detto:

    Emilio Gnocchi ha detto:, thanks a lot for the post.Really thank you! Much obliged.

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