Scrittura e Letture

La materia non esiste – Marco Colletti

Pubblicato il 23 giugno 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Marco Colletti, La materia non esiste, La Vita Felice, 2024

In poesia possono convivere, e in qualche modo confrontarsi e perfino scontrarsi, tensioni diverse: un disegno razionale e l’espressione di una libera emotività. Oppure la concezione di una architettura compositiva nella distribuzione dei testi e la fluidità della loro successione. La materia non esiste di Marco Colletti ben rappresenta questa relazione. Come pure esprime il rapporto tra rivelazione e nascondimento, e tra esplorazione e smarrimento, scoperta e mistero. Il titolo perentorio della raccolta si riferisce a un mondo perduto che attraverso la poesia può venire percepito e rappresentato: “Mi piace pensare che la materia/ non esista. Poter camminare/ attraversando la gente, i loro corpi/ ricami del nulla, come se nessuno/ fosse veramente qualcuno/ C’è in questo sogno un delirio/ che favoleggio essere scientifico/ […]”. La stessa divisione nelle tre sezioni, “Mens”, “Cor” e “Sensus” si può interpretare come la distribuzione dei contenuti in tre specifiche sfere ideative e esistenziali, rispettivamente filosofico/concettuale, amorosa e sensoriale: tre sigilli, tre vertici nella asimmetria della forma di un triangolo e, di contro, come sintesi e unità nel significato simbolico del numero tre: le diverse nature della raccolta si incociano e convivono anche sotto questo aspetto.

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Nella ruota del criceto – Alfonso Graziano

Pubblicato il 28 maggio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Alfonso Graziano
Nella ruota del criceto

Nota di lettura di Margherita Parrelli

Nella ruota del criceto, Macabor 2024, è una raccolta poetica corposa, frutto di una lunga riflessione, affronta temi cruciali quali la guerra, la sofferenza, il degrado, l’indifferenza ed è attraversata da un forte anelito morale.
I componimenti rispondono a un bisogno di scuotere, di denunciare lo stato delle cose, il deterioramento di un’umanità che conosce sempre meno il valore del vivere comune, della vita stessa: “Resti umani a perdere./ Tra vetri smussati dagli anni e levigati dalle correnti./ Agli angoli scivolano gocce di resina e benzina./ Nell’attesa della prossima combustione”.
Si ha l’impressione che il poeta si costringa e ci costringa a guardare con crudezza lo sgretolamento nel quale siamo precipitati, l’allentarsi di quei vincoli di solidarietà che tengono insieme gli esseri umani. Si tratta allo stesso tempo di una denuncia e di un appello a reagire, che osa sperare oltre il senso di impotenza e la speranza risiede nel non fare sconti.
La parola poetica di Alfonso Graziano è diretta, vigorosa, risuona come un fiume in piena, travolge, non è mai rassicurante, porta con sé la forza di una rabbia costruttiva, di un fuoco che non brucia tutto indistintamente, ma solo le stoppie e prepara il terreno alla semina. I suoi versi sono carichi di immagini, di visioni che chiamano a raccolta la potenza della natura dei suoi elementi aria acqua e terra. Alla natura è affidato il compito di ricostituire un equilibrio, di essere casa, testimone, luogo di preghiera e di rigenerazione, ma anche di patire insieme al poeta e a chi sa ascoltarlo.
Il dialogo con la natura è pervaso da una tensione tra due poli della poetica di Graziano, il sentire religioso di stampo francescano e una forma di anarchismo come atteggiamento critico. Tale tensione si svela in diversi passaggi e raggiunge acmi di grande efficacia.
Il bisogno di testimonianza e di impegno non esclude la presenza di momenti particolarmente lirici legati alla sfera intima dei rapporti affettivi, che permettono al poeta l’abbandono, la riconquista della fiducia nell’altro e la riconciliazione attraverso la consapevolezza di fare parte di un destino più grande che sfugge alla ragione, alla necessità di protesta e di critica: “È così che si vede quando il cuore ascolta/ Una fresia un pettirosso, improvvisi./ Quando le fusa stringono le gambe/ E le lacrime non pungono.
“È così anche col vento che spara/ Carezze ai visi veri ai sorrisi grandi./ Negli abbracci gratuiti che sanno di moribondo/ E il profumo del mare che penetra./ È così senza altro/ Ingenuamente nudi.”

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La formula della distanza – Lucilla Trapazzo

Pubblicato il 21 maggio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Lucilla Trapazzo
La formula della distanza

Nota di lettura di Margherita Parrelli

l’ultimo libro, La formula della distanza (Il Convivio Editore, 2025), di Lucilla Trapazzo, autrice italiana che vive a Zurigo e frequenta la comunità poetica internazionale, sembra scritto nel tempo di un respiro, e del respiro possiede l’intensità e la fragilità.
È un libro che parla d’amore in tutta la sua complessità e in tutte le sue sfumature, ne parla in maniera denudata, senza il timore di esporsi. È un libro insieme cosmologico e corporeo, misterioso e semplice, trasmette l’importanza di assumere la prospettiva dell’accettazione senza mai cadere nella rassegnazione.
“Nella notte ghiaccia di pannelli ai vetri
essere di nuovo feto
nata una seconda volta
compiuta
nell’innesto della schiena piccola
dentro corpo grande

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Fra tempi e terre – Maria C. Baroni

Pubblicato il 4 aprile 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Maria Carla Baroni, Fra tempi e terre, Stampa 2009, Azzate (VA) 2023. Pagg.25. € 7,00

Nota di lettura di Laura Cantelmo

Di Maria Carla Baroni conosciamo la sensibilità militante nell’impegno politico, oltre alla tempra pugnace nella lotta ininterrotta contro il sistema socioeconomico attuale, che sta mostrando un crescente cinismo sociale, con le piaghe che ne conseguono.
Nella sua più recente raccolta, Fra tempi e terre si percepisce una tensione lirica più alta, rispetto al passato, dovuta alla sensazione del trascorrere del tempo verso una meta fatale, la cui presenza è già individuabile nella solitudine, che in questi anni si è aggravata per tutti. Eppure, emerge, incontaminata, una eraclitea convinzione che tutto scorre, ma non si estingue: “L’oceano del tempo avvolge la vita e le sue forme. […] Danza delle dune nel deserto /nel vento che passa/e trasforma.” (“Miraggi”). Si nota nelle stesse parole chiave del titolo, che il tempo è diventato dominante nella sua quotidiana percezione esistenziale, in quel fluire che investe i giorni, mutando gli aspetti della natura e l’anima delle città. Il pensiero si concentra sui luoghi in cui ha vissuto o che ha conosciuto: l’Africa, lapidariamente descritta nella sua perdurante condizione: “All’alba/ accorrono all’acqua/ a corona di una rotonda sorgente / prede e predatori insieme. /All’alba all’acqua/ in una luce soffusa d’attesa/ è sospeso l’artiglio della morte.” (“Alba all’Etosha Park”). Appare in modo esplicito, in questa bella raffigurazione di un’alba in Namibia, una delle parole chiave – morte. La sua presenza in questa raccolta è pervasiva, spesso affidata a una serie di immagini che appartengono a quel campo semantico, determinando l’atmosfera di quasi tutti i testi. Come pure vi aleggia l’idea di prede e predatori – immagine potente, che, con la ripetizione della radice pred, sottolinea la critica al capitalismo imperante e al suo spirito di rapina, tema portante dell’intera silloge.
La stessa immagine ritroviamo in Milano, sua città natale “Milano un tempo/città d’acque lente […] Ora mare di cemento” (“Città che fu d’acque lente”). Il senso tragico dell’indebolirsi della consapevolezza politica, del degrado della vita sociale, emerge nel clamoroso contrasto tra povertà e ricchezza che sembra – questo sì – un destino irreversibile che turba i nostri pensieri. Toni di profonda malinconia che si alternano a quel “tutto scorre”, irrefrenabile destino “fluente verso la sera” e al contempo affermazione di una forza che si trasmetterà, si spera, ad altre generazioni: “Avere un fine di liberazione /come faro lontano” nel caleidoscopio della Storia di chi “tutto è costretto ad accettare” (“La Storia”).
Il senso di vacuità del reale domina nelle riflessioni relative alla decadenza antropologica (“Divenire”), alla fragilità culturale e di prospettive delle giovani generazioni: “Giovani compagne/[…] fiori di una sola primavera/ senza speranza di visione futura.” (“Giovani compagne”). Mentre l’asserzione “Sono una forma del divenire”, mancando il soggetto grammaticale riferito alla voce verbale – sono – potrebbe, se in prima persona, rappresentare l’affermazione dell’Io, della propria capacità di resilienza -“Acqua e fuoco”- della fiducia nella forza vitale dell’amore, così importante nella sua stessa vita: “un amore che dura anche in assenza” (“Quel che rimane”) – che pare “poter vincere qualunque muro/impotente all’alitar della morte.” (“Amore e morte”).
Le bandiere sventolanti nelle piazze, che animavano le precedenti raccolte, sono qui sostituite da: “Ora noi a nude mani alzate, /protese/contro frane di diritti/rubati, la Madre Terra /sventrata […] Il Sistema. /Proteo che uccide per non morire.” (“Proteo”). Un atteggiamento di impotenza insolito in quest’Autrice così appassionata, tanto che i toni di denuncia sfiorano lo sconforto. Tuttavia, il testo conclusivo – “Quando riproveremo” – è un grido di speranza, a futura memoria – l’idea che sia necessaria una maggiore libertà nella concezione del partito ed è anche l’attesa di un avvenire di equità e giustizia, quella che ha sempre ispirato la sua vita, così intensa e ricca di sentimenti e di fede nel futuro. Ė la fedeltà a sé stessa, che si proietta in un domani che dovrà essere affermazione comune, non solo anelito privato, “senza la cappa del partito/Stato/ opprimente e onnipresente/ pur astratto e lontano/ come ora il mercato.”

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I poeti di Gaccione – Adam Vaccaro

Pubblicato il 16 marzo 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Angelo Gaccione, Poeti – Ventinove cavalieri e una dama,
Di Felice Edizioni, Martinsicuro, 2025
Adam Vaccaro

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Articolo già apparso sul Giornale d’Italia, il 6 marzo e su Odissea del 9 marzo 2025 – seguono i link relativi:
https://www.ilgiornaleditalia.it/gallery/cultura/687640/angelo-gaccione-ritorno-alla-poesia-con-la-pubblicazione-di-poeti-ventinove-cavalieri-e-una-dama-per-la-di-felice-edizioni.html
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https://libertariam.blogspot.com/2025/03/i-poeti-di-gaccione-di-adam-vaccaro_9.html

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Dal Lazzaretto – Luigi Cannillo

Pubblicato il 10 marzo 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Dal Lazzaretto di Luigi Cannillo: Memoria e Identità in Versi.
Nota critica di Valeria Serofilli

Luigi Cannillo, con Dal Lazzaretto, pubblicato da La Vita Felice, offre ai lettori una raccolta poetica densa di significati e stratificazioni temporali, in cui passato e presente dialogano costantemente attraverso la parola poetica. Il Lazzaretto di Milano, celebre per la sua risonanza letteraria ne I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, non è solo un riferimento storico, ma diviene il fulcro di una riflessione più ampia sulla transitorietà dell’esistenza, sulla persistenza della memoria e sulle trasformazioni urbane e sociali.
L’autore si muove tra il dato storico e la dimensione personale, intrecciando il ricordo della Milano della sua infanzia con la coscienza di un passato più remoto, che ancora sopravvive negli spazi cittadini e nei suoi mutamenti. Cannillo non si limita a restituire un ritratto nostalgico o meramente descrittivo della città e del suo simbolico Lazzaretto, ma costruisce una poetica che è al tempo stesso evocativa e meditativa, capace di dare nuova vita a ciò che sembra destinato all’oblio.
Il Lazzaretto, luogo di reclusione e sofferenza durante le epidemie, si carica nella raccolta di una valenza più ampia: da spazio fisico si trasforma in un locus della memoria e dell’identità, un simbolo della fragilità umana e della sua capacità di resistere. Come nel Manzoni, questo luogo diventa il teatro di una dualità fondamentale: da un lato, il dolore e l’isolamento; dall’altro, la possibilità di riscatto, di salvezza e di riconciliazione con il passato.
Cannillo lavora su questa ambiguità attraverso immagini che mescolano luce e ombra, presenza e assenza, vita e morte. La memoria, in Dal Lazzaretto, non è mai solo rimpianto, ma una stratificazione di significati che continua a vivere nella città e nei suoi abitanti. In tal senso, si può leggere la poesia Figure in posa sulla spianata, in cui il poeta osserva il paesaggio urbano e ne coglie le trasformazioni nel tempo, facendo emergere un senso di continuità tra ciò che è stato e ciò che resta:

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La Collana Viola – Francesco De Napoli

Pubblicato il 25 febbraio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Francesco De Napoli

La Collana Viola E L’epistolario Pavese – De Martino

Centro Culturale “Paideia”, Cassino 2008

 Adam Vaccaro

Propongo la rilettura del prezioso saggio del 2008 di Francesco De Napoli, a commento della pubblicazione di Bollati Boringhieri, Torino 1991, “Cesare Pavese – Ernesto de Martino, ‘La Collana Viola, Lettere 1945- 1950, a cura di Pietro Angelini, sul carteggio tra i due condirettori della storica Collana di Giulio Einaudi, “la prima collezione di studi etno-antropologici e religiosi apparsa in Italia”, dedicata ai miti e alle pratiche esoteriche di società primitive.
L’interesse del saggio di De Napoli è accentuato dalla sua impronta, tesa a focalizzare non solo le consonanze e differenze tra i due protagonisti, ma di collocarle nella temperie culturale dell’Italia di allora, tra personalismi, tentativi coraggiosi di uscire dai limiti culturali e politici, e condizionamenti ideologicamente chiusi, nell’area di destra, come in quella di sinistra, rispetto a ricerche anomale e innovative.
Poche le personalità che si distinsero e si attivarono in tal senso, tra le quali si collocava ad esempio sia quella di Elio Vittorini, sia in modi diversi, per la specifica sensibilità poetica e fragilità, anche Cesare Pavese. Il saggio ripercorre le varie fasi in cui si svolse il rapporto tra due personalità, napoletano de Martino e piemontese Pavese, lontane sia geograficamente, ma soprattutto con tensioni mentali e culturali totalmente differenti: il primo con passioni, ambizioni e contraddizioni non esenti da calcoli venali, il secondo con orizzonti culturali immersi in un humus di tormenti esistenziali, da cui non riuscì ad affrancarsi, tanto da sfociare poi nel suicidio del 1950.

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Fegato in cartolina – Rosanna Frattaruolo

Pubblicato il 18 febbraio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Rosanna Frattaruolo
Fegato in cartolina – je vais te dire un secret
Il Convivio Editore, 2024
(Primo premio silloge inedita Concorso Guido Gozzano 2024)

Margherita Parrelli

È labirintico questo ultimo lavoro di Rosanna Frattaruolo, ma il punto è che ci si trova dentro senza essersi accorti di esserci entrati, almeno così è stato per me.
Inutilmente ho ripercorso la strada a ritroso, seguito la numerazione romana da I a XXXIV dei componimenti che, ingannevolmente, potrebbero sembrare il testo principale, le cartoline inviate da nord a sud, da est a ovest dell’Italia, gli innesti fotografici che portano il nome di organi del corpo e appaiono improvvise in alto a destra, in alto a sinistra e poi scompaiono altrettanto improvvisamente e soprattutto inspiegabilmente.
Inspiegabilmente sono riuscita ad attraversare il libro di Rosanna e, nonostante il senso di smarrimento al quale la mia natura ordinata sempre istintivamente si oppone, sono giunta non alla fine ma altrove.
In questo altrove ho dimenticato la mia irritazione che chiedeva: dimmi dove mi porti, fammi capire, e ho cominciato a fare quello che l’autrice fa a pagina 23: “come lui (il poeta russo Chodasevic) ho ballato sulle punte/ poi sono inciampata nelle parole”.
Sì bisogna saper inciampare nelle parole per seguire Rosanna in questo suo viaggio poetico e lasciarsi andare alla scoperta che sta dietro ogni inciampo, che ne è la causa involontaria.
E Rosanna ha una capacità incredibile di trasformare l’inciampo in occasione, in approfondimento, in ricerca del senso, in perdono e distacco, in rincorsa e abbandono.
Si sente l’urgenza del suo dire, ne trasudano i suoi versi, la loro corporeità che non è materiale, ma materica fatta di ossa, carne, organi, sensi, emozioni, di un certo malinconico distacco che nasconde la forza del sentire, come qui: “mi pare di camminare su zucchero di canna oggi/ la dolcezza ha sempre un prezzo/ la dipendenza da saccarosio è scientificamente provata/ voglio morire obesa d’amore”.
Credo di aver capito il segreto che volevi dire, Rosanna, ma averlo capito, devo ammettere, non è così importante come credevo all’inizio. Al contrario sento che questa comprensione non mi piace affatto, per consolarmene mi dico: non importa se alla fine ho capito, forse non ho capito veramente, posso dimenticare, posso tornare al fastidio iniziale, alla spinta che Rosanna mi ha dato per lasciarlo andare e perdermi nella sua estate che dura fino a gennaio.

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La poesia Resistente di Adam Vaccaro – Fabio Dainotti

Pubblicato il 11 febbraio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Un articolo del poeta Fabio Dainotti, sulla Rivista scientifica siciliana Il Convivio, dedicato alla ricerca poetica di Adam Vaccaro, che richiama ultimi libri e testi inediti della prossima raccolta, Restituzioni.

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LA POESIA RESISTENTE DI ADAM VACCARO

Lettura dalle ultime raccolte e dalla raccolta inedita, Restituzioni

 Fabio Dainotti

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Kolektivne NSEAE – Ivan Pozzoni

Pubblicato il 7 febbraio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

FURIE E FUGHE
In
KOLEKTIVNE NSEAE di Ivan Pozzoni

La malattia del «disinteresse» del lettore e l’ontologia estetica moderna della ipersoggettivizzazione
La terapia come eredità non-ontologica del Kolektivne NSEAE: la neoN-avanguardia
Adam Vaccaro

È un orizzonte di furie e fughe, diverse e innervate nella complessità contemporanea, che emerge da questo libro di Ivan Pozzoni, in un quadro di analisi che le designa e lucida entrambe a cera, cantate e accarezzate con una spazzola d’acciaio. Che scorre dalla groppa al deretano sul pelame arruffato di una gatta in calore. Un animale dall’anima multipla che miagola, ringhia e si veste da tigre, che forse non ti sbranerà, ma ti copre gli occhi di una patina, rosa o nera, su cui pianta unghie che li rendono ciechi, liberi di urlare, impotenti ma tendenti ad ammantarsi della pretesa di sapere, come il cieco che guida un cieco, della parabola poi soggetto del quadro di Pieter Bruegel.
Tiresia è stato ucciso e Diogene è senza lampada. E non c’è salvezza, né con me, né contro di me, pare avvertano i versi di Ivan Pozzoni. Ma se l’io/noi è/siamo col sedere per terra, è il momento dell’ora di ricreazione e del gioco o dell’ira e di tornare sul banco a scrivere a lettere cubitali sulla lavagna o su pezzetti di carta salvati dal tritatutto, i bisogni che cercano altro e oltre gli stracci ermetici e paleontologici, oltre le parole incazzate, i deliri egotici, fino alle molliche raccolte sotto un tavolo di lordi lardosi, che guidano la trottola del comando di radere a zero ogni residuo di senso, in ogni caso, in ogni casa? L’identità non esiste, al pari della società, dixit l’idiota bicefalo, impotente e onnipotente! Dopo di che, l’eccidio e la distruzione della polis, sono le matrici matrigne delle egolalie masturbatorie in tutti i campi, compresa la poesia.
Intanto il Dottor Stranamore fabbrica e dispensa milioni di bombe, predica pace e ride a crepapelle, idiota criminale che pensa di salvarsi su Marte, volando sulle sue Aquile libere nell’iperuranio sopra il cielo di piombo. Mentre Colombe libere e ammassate sotto tonnellate di putridume sospeso, sono ammazzate come mosche cieche, inferocite e rintontite da un subisso di immagini, estasi drogate e parole di niente, creatrici di rostri, che diventano mostri di una fame infinita di libertà dal destino di una progenie antropofaga.
Poi c’è l’altra fuga, nell’ovatta della culla di un iperurarnio di parole innamorate di sé, di quella malattia che ho chiamato iperdeterminazione del significante, connivente della distruzione del senso. Poi c’è l’illusione di contrapporvisi con l’iperdeterminazione del significato, convinta di poter spiegare tutto, uccidendo la complessità di un dire che vuole dare nome alla complessità del mondo.
La prima malattia è diventata pandemia lungo il crinale parnassiano di significati rarefatti, persi nella nebbia di dire tutto e niente, che riducono il pubblico – come diceva Berardinelli, citato anche da Pozzoni – a rasentare lo zero, agli altri scriventi versi, in un circuito grottesco, inutile e autoreferenziale. In cui sguazzano felici, fino a teorizzare che l’arte, la poesia, devono essere inutili. Ma utilissime a vati desideranti e immaginari, affollati e ininfluenti, e perciò inesistenti nel corpo di una società già negata e disgregata, che urla affamata di voci che sognino e incarnino il bisogno di ricrearla.
Prova a rispondere Pozzoni a questo panorama di molecole gassose che si dibattono tra le pareti stagne di un bagno di stitici:
“LA TERAPIA COME EREDITÀ NON-ONTOLOGICA DEL KOLEKTIVNE NSEAE: LA NEON-AVANGUARDIA Il Kolektivne NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica) ha un’eredità non-ontologica derivata dalle neo-avanguardie millennials, lontanissima dalla ontologia estetica moderna. La NeoN-Avanguardia, da me fondata, cede – come ogni altra avanguardia – all’«ἀντίφράσις», all’«ironia» (Jacques Derrida), al «citazionismo», allo «straniamento» (Viktor Borisovič Šklovskij), alla «carnevalizzazione» (Michail Bachtin), al «mistilinguismo», al «dédoublement» e «vertigine che sfocia nella follia» (Paul De Man), alla grammatica generativa (Noam Chomsky), alla «sovversione/eversione» (anarco-individualismo stirneriano e della Post-Left Anarchy), all’«invettiva» (triade Villon/Brassens/De André) e all’estremo «impegno sociale» movimentista a tutela dei deboli e dei diseredati, con opposizione allo star system dei dominanti e dell’arte.” [p.13]
È dunque un libro-manifesto di guerra subita e di pace sognata, piena di lacrime asciutte e irrisioni clownesche, anche se non placano alcunché. Ma è già utile porre il problema, anche se è un chiodo ribattuto, come sopra accennato, da ormai parecchi decenni. Sia da Berardinelli, sia in modi diversi da costole lucide e critiche da certi estremismi della Neoavanguardia, quali, ad esempio, Antonio Porta. Pozzoni si pone lungo la stessa direttrice di ricerca:
“Preso atto della conclusione della krisis e della transizione dall’evo moderno al nuovo evo tardomoderno, ho riconosciuto l’urgenza del discorso sul cambiamento di «paradigma» storico ed estetico, dovuto al venire meno del senso teoretico dell’ontologia estetica moderna, e ammessa l’anacronisticità della NeoN-Avanguardia, movimento di krisis, ho deciso di fondare uno nuovo movimento non ontologico, il Kolektivne NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica), aperto a tutti i mille movimentisti neon-avanguardisti e a nuove menti in grado di captare il cambiamento di «paradigma» sociale ed estetico.” [p.13]

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