Marco Colletti, La materia non esiste, La Vita Felice, 2024
In poesia possono convivere, e in qualche modo confrontarsi e perfino scontrarsi, tensioni diverse: un disegno razionale e l’espressione di una libera emotività. Oppure la concezione di una architettura compositiva nella distribuzione dei testi e la fluidità della loro successione. La materia non esiste di Marco Colletti ben rappresenta questa relazione. Come pure esprime il rapporto tra rivelazione e nascondimento, e tra esplorazione e smarrimento, scoperta e mistero. Il titolo perentorio della raccolta si riferisce a un mondo perduto che attraverso la poesia può venire percepito e rappresentato: “Mi piace pensare che la materia/ non esista. Poter camminare/ attraversando la gente, i loro corpi/ ricami del nulla, come se nessuno/ fosse veramente qualcuno/ C’è in questo sogno un delirio/ che favoleggio essere scientifico/ […]”. La stessa divisione nelle tre sezioni, “Mens”, “Cor” e “Sensus” si può interpretare come la distribuzione dei contenuti in tre specifiche sfere ideative e esistenziali, rispettivamente filosofico/concettuale, amorosa e sensoriale: tre sigilli, tre vertici nella asimmetria della forma di un triangolo e, di contro, come sintesi e unità nel significato simbolico del numero tre: le diverse nature della raccolta si incociano e convivono anche sotto questo aspetto.
I testi raccolti sono nati nel corso di diversi decenni di scrittura, a partire dalla sezione più lontana nel tempo, “Cor”, che nel volume appare al centro, come seconda delle tre. In tutte spicca essenziale e determinante il ruolo del Soggetto, l’uso della prima persona anche come assunzione di una identità esistenziale e poetica: “[…]/ Questo viaggio nel nulla mascherato/ di visioni, questo viso che è/ e non è, quella sospensione/ tra le pieghe delle rocce, dei fiori,/ del sangue, che è l’anima. Io penso/ e al contempo mi distolgo.”.Oppure: “Improvvisamente nell’universo sono/ stato l’unico uomo senza tempo.” O “Vi chiedo perdono di scrivere il buio.”, “Io sono l’ascensore, che sale,/ scende, sale e a volte, s’inceppa.”. E, nell’attacco di una poesia che esprime il conflitto tra le diverse componenti dell’Io con una immagine molto efficace, “La mia vita è simile alla lotta/ tra il plumbago e il glicine, ma/ io non sono nessuno dei due, se non la lotta stessa […]”
La materia non esiste non solo perché non esiste più il contesto che la generava e ospitava, ma anche, paradossalmente, perché tutto è andato congestionandosi, tutto è diventato materia. L’universo che la ospita non è più quello originario. La percezione e la rappresentazione sono alimentate dal mondo del sogno e della visione, dalla rifrazione degli specchi.In questa dimensione si aggirano fantasmi, “maschere di mortale solitudine”, immagini oniriche ed infervorate, un’aura “di peduncoli impazziti, pollini acuti,/ coriandoli sfioriti. […]”, “leghe di atomi bianchi”. Fondamentale è riconoscere n questo contesto la funzione dello sguardo: “Noi presumiamo che il mondo/ abbia gli occhi, un naso, una bocca,/ insomma delle gigantesche fattezze/ umane, esattamente come Dio/ […]/ E gli occhi non ci aiutano. Affatto./ Non possiamo vedere ciò che/ accade all’interno del nostro corpo./ Figuriamoci poter vedere l’anima./ […]/ Un’assolata muraglia di presunzione,/ lo sguardo, come i corpi, come/ la parola e come questi stessi versi.” A quel tipo di visione allude anche l’immagine di copertina, un’opera dello stesso Colletti: The Milky Way III.
Quelle percezioni/raffigurazioni mentre da un lato moltiplicano le immagini e sono “un sogno di eternità” dall’altro sono anche un viaggio nel nulla, nel mondo del male e della morte, la cui presenza è una delle tematiche ricorrenti del libro, “la morta vita” del Soggetto “mentre tutto intatto muore”, Nonostante queste componenti la raccolta di Marco Colletti non può essere certo considerata una dichiarazione di nichilismo, il frutto di un’attrazione verso il nulla o di uno scivolamento verso il regno del male o della tenebra. Una sua caratteristica è piuttosto quella di un dinamismo che riemerge da una zona del lutto e della rinuncia. Tale energia non viene originata da un atteggiamento facilmente e acriticamente vitalistico, ma piuttosto dalla irriducibilità del dubbio e dalla contemporanea visione della luce insieme alla tenebra – o dei loro stadi intermedi. Gli interrogativi sono i dubbi che si manifestano a pieno campo, sia per quanto possa riguardare una facile conciliazione con i lati confortanti dell’esistenza, sia, all’opposto, con quelli tragici o scoraggianti: “Che cosa è Dio se non questo zampillio/ della vita nonostante la morte?/ Ostinati al respiro e fantasmi del tempo, attraversiamo le onde dell’assetata quiete,/ mentre la vita scorre verso mete/ che non vogliamo, come un papavero/ rosso che, colto, muore lo stesso giorno./ […]” A un passo dal nulla, ma ancora/ immagine incerta, mi ancoro figura/ vibrante di un altrove, che può essere/ ovunque e chiunque di qualcosa./ La accolgo tra le mani questa apparenza/ di vita, che scivola come sabbia dell’ultima/ clessidra. Allora mi vedo e dentro me/ tutto il mondo mi assale, verso un mosaico/ alato che adagio prende il volo.”
La caratteristica dinamica della raccolta peraltro si conferma anche attraverso gli strumenti stilistici: l’uso del verso libero sostenuto da cesure inaspettate e comunque da caratteristiche di ritmo e di suono che creano richiami tra un verso e l’altro e tra le diverse poesie e, all’interno dei singoli gruppi di versi, in assonanze, allitterazioni o alternando passaggi più lirici a sequenze di tipo più argomentativo, osservazioni spiazzanti, un lessico più classico e forme più disinvolte e discorsive, la composizione di neologismi. Il binomio ombre – luce guida una sorta di ricognizione verso le forme del vero attraverso diversi elementi e manifestazioni, riflessi, specchianti particelle, bagliori, lucciole dorate, piccole fiaccole, raggi dell’ultimo sole e bolidi di luce perfino “luci buie”, varchi della memoria. Forse proprio per il valore ossimorico l’abbinamento e il contrasto tra i due fenomeni complementari assume un valore trasversale e riassuntivo per tutta la raccolta, sottolinea un atteggiamento esistenziale e autoriale: “Solo le stelle ci salveranno./ Le guardo anche di giorno/ fissando l’azzurro che le copre/ nel silenzio assordato dal mondo./ E mi astraggo nell’astralità/ della loro incommensurabile/ lontananza, di quelle luci che/ giungono a noi, molte già morte./ Fantasmi sono, che regalano/ sogni e voli della mente, l’unica/ salvezza che vedo oltre le nubi/ […]/ Passi mi avanzano verso quelle/ morte sfere e tacito mi abbraccio/ nel morbido morso di un buco nero.”
Il testo che conclude la raccolta di Colletti è “Postfazione dell’Autore”, sintesi di viaggio di ricerca di chi scrive (e legge) poesia, la ragione di tanti tentativi di accedervi per afferrarne l’essenza e di correre il rischio di perdersi. Si compie qui l’ultimo passaggio verso i lettori, diretto ed esplicito: “È l’Eden mai perduto. Ognuno/ che costruisce la sua nuova/ poesia in quella di un altro./ Eco e Narciso: il triste amore/ tra la voce e lo specchio,/ il corpo che si discioglie/ in parola e il corpo che annega/ nella limpidezza dello stagno./ Lo stagno che quelle stesse parole/ hanno prefigurato. Tra me e voi.”
Luigi Cannillo