Lucilla Trapazzo
La formula della distanza
Nota di lettura di Margherita Parrelli
l’ultimo libro, La formula della distanza (Il Convivio Editore, 2025), di Lucilla Trapazzo, autrice italiana che vive a Zurigo e frequenta la comunità poetica internazionale, sembra scritto nel tempo di un respiro, e del respiro possiede l’intensità e la fragilità.
È un libro che parla d’amore in tutta la sua complessità e in tutte le sue sfumature, ne parla in maniera denudata, senza il timore di esporsi. È un libro insieme cosmologico e corporeo, misterioso e semplice, trasmette l’importanza di assumere la prospettiva dell’accettazione senza mai cadere nella rassegnazione.
“Nella notte ghiaccia di pannelli ai vetri
essere di nuovo feto
nata una seconda volta
compiuta
nell’innesto della schiena piccola
dentro corpo grande
Potrebbe la tua mano
(che invoca la curva del mio addome)
Rivelare armonia lucente e riempire
il buio
Amarsi senza dirlo amarsi senza farlo
nelle crepe lì dove l’abisso s’apre
padre e madre siamo
anche stanotte
di una stella.”
Lucilla Trapazzo conosce il senso della distanza, della separazione, il patire che l’accompagna, sa che l’assenza è cura e inabissamento, non teme i rischi del ricordare, l’espansione di vita che il ricordo evocato compie nel presente, la dilatazione che certi attimi preziosi di esperienza portano con sé.
“Qui fummo felici un istante
una notte disposti
all’arrivo al mistero
dell’altro e tutto sembrava
inifinito e possibile
e certo”
I suoi versi respirano la vita, traspirano emozioni, sono una testimonianza dell’aspirazione umana all’eternità, a quella sensazione di assolutezza che si coagula intorno al momento perfetto e irripetibile che a volte l’incontro con l’altro ci dona; ma i suoi versi sono anche l’espiazione della nostra finitudine, dell’imperfezione, del limite, dell’impermanenza nella quale l’esistenza ci colloca, della caducità inesorabile della nostra vita.
Se l’entrare in relazione con l’altro è condivisione, messa in comune del proprio essere, del proprio patrimonio di viventi, l’uscire da una relazione non è il ripristino dello stato precedente ma implica il mantenere traccia dell’avvenuta commistione ovvero dell’essersi mescolati insieme. Tale traccia è reciproca, cambia cioè la connotazione dei soggetti entrati in relazione e in questo senso li rendono per sempre unico sistema, come dice la formula di Dirac richiamata dall’autrice.
Se tale formula avesse bisogno di una dimostrazione non matematica, ma carnale e spirituale questa potrebbe essere la testimonianza dei versi che la poeta ci lascia, detti in una lingua trasmutata, dove gli oggetti e i gesti quotidiani sono una transumanza verso il non tempo, privata della forza d’attrito, carica della consistenza del vivere in carne ed ossa.
“Mi siedi di fronte
l’orzo quotidiano è nella tazza gialla
sta diventando vetro
la tua casa che non è più casa
solo un codice di corpi segna ancora
la grammatica privata della resistenza
disegnandomi di nuovo
schiena braccia pancia l’interno
delle cosce il tuo torace e la mia mammella
morbido il tuo sesso che domanda
senza possedere
rituale che esiliava l’ombra nel buio della notte
solo un’unghia di luna sul tuo petto glabro
m’ipnotizza mentre il mondo crolla
r-esisti ancora con gli aperitivi e le parole
lasciate in superficie?
Ho dimenticato il sasso nello stagno
e vado.
Ci contiene il buio ancora
interi mani e piedi
spietato portale d’universo altro
dove ancora siamo.
Margherita Parrelli
Grazie per questa pubblicazione.
Una lettura attenta, rispettosa delle tensioni che attraversano il libro.
Ringrazio Margherita Parrelli per aver saputo ascoltare il lavoro sul linguaggio, sul corpo, sul concetto stesso di relazione come trasformazione irreversibile.
Mi colpisce il modo in cui hai saputo restituire la fragilità senza indulgere, e la densità senza appesantire.
È raro sentirsi letti così.
— Lucilla Trapazzo