Testi e immagini al tempo del Coronavirus – 2

Pubblicato il 27 marzo 2020 su Temi e Riflessioni da Maurizio Baldini

Testi e immagini al tempo del Coronavirus – 2

 

Proseguiamo con questa seconda serie di contributi, dopo la prima del 21 marzo scorso – Vedi a

https://www.milanocosa.it/temi-e-riflessioni/testi-e-immagini-al-tempo-del-coronavirus-1  

A.V.

 

***

Seguono testi di

Claudia Azzola, Maria Carla Baroni, Rinaldo Caddeo,

Fabio Dainotti, Giancarlo Fascendini, Giuseppe Leccardi, 

Rita Pacilio, Fausta Squatriti


E video di

Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti 

 ***

Claudia Azzola

 

Anche gli ultimi capannelli si disfano. Gli italiani camminano soli, o col cane. Entrano in solipsismo. Ultimi tentativi di compattarsi, suonare dai balconi l’inno di Mameli/Novaro. Le bare deportate in camionette militari in cimiteri non di pertinenza. Non è giustizia alla fine della vita. Studenti e impiegati dislocati in stanze, stanno. Su skype, zoom, on twitter. Operai al montaggio, allineati come sentinelle, stanno. Sistema d’ultima generazione. Le generazioni degli umani in sistema intriso di termini inglesi schioccanti, in remoto. Ognuno aveva un retroterra, un retrogusto, arrière-pensée, lingua, inconscio. Psiche deportata nel deserto. Rimozione del dramma di fondo: lo sfruttamento diabolico – antitetico a simbolico – del pianeta Terra. Desertificazione dell’istinto. Inferno dell’immaginario nullificato. Celebrata la messa online, in cattedrale vuota. Cattedrali nel deserto. Occulto, strisciante nel bianco, scolorito, di seconda mano, il virus sta.

 

*

M.Carla Baroni

 

DESERTO

Dune in lento continuo divenire

carezze di sabbia color ocra

in infiniti invisibili fili

di oro ardente

tra cui pare di arrivare

al cuore della luce.

 

*

 

Rinaldo Caddeo

 

TEMPI DIFFICILI 19-3-2020

 

Cammino per le strade vuote. Quasi tutti i negozi chiusi.

Gli alberi in fiore, le margherite, i non-ti-scordar-di-me nelle aiole. C’è il sole, il cielo è blu. Come in Eden, non fa né caldo né freddo. ANDRA’ TUTTO BENE, ANDRA’ TUTTO BENE, recitano le lenzuola con l’arcobaleno, appese a finestre e balconi e penso che è la frase, ANDRA’ TUTTO BENE, ANDRA’ TUTTO BENE, che l’eroe dei film catastrofisti ripete al colmo del pericolo, per rincuorare le compagne e i compagni di sventura, quando le cose vanno male, molto male.

Cammino per le vuote strade, passa una macchina ogni cinque minuti, radi passanti con la mascherina, c’è un cane sdraiato sul marciapiede, sembra beato, c’è un grande silenzio come nei ferragosto di una volta quando nessuno rimaneva a Milano, si sentono le voci delle persone che parlano nelle case.

Cammino per le strade vuote e arrivo al supermarket dove c’è la coda e anch’io mi metto in coda e anch’io mi metto la mascherina e aspetto in piedi, a due metri dal mio vicino, in fila indiana, come i soldati nella città nemica.

E penso a Renzo che, ritornato a Milano, si avvicina troppo a un tizio per chiedergli un’informazione sulla strada da prendere per raggiungere Lucia e, scambiato per un untore, per poco non viene infilzato da un bastone con la punta di ferro. E Renzo pensa che c’è un pianeta contro di lui, tutte le volte che viene a Milano. E penso che Manzoni, nei Promessi Sposi, non descrive mai una Milano normale ma una città estranea, ostile.

E penso a Milano com’era, a com’era la nostra vita, rumorosa e inquinata, quando potevamo andare al cinema o a bere un caffè al bar.

Una pattuglia della Polizia ferma le poche macchine che vanno, controlla le autocertificazioni, compila verbali, sull’altro lato della strada.

Anch’io ho la mia autocertificazione nel portafogli, in cui il sottoscritto DICHIARA SOTTO LA PROPRIA RESPONSABILITA’ di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio di cui all’art.1 ecc. ecc., e che il suo spostamento è determinato da situazioni di necessità ecc. ecc, ma forse è già scaduta, non è più valida. Ce n’è un’altra più completa, emanata ieri.

E penso al passare del tempo. Il tempo regolare e prevedibile della lancetta del mio orologio. Il tempo che misura il tempo e cerca di dare un ordine alla vita, presente, passata, futura: i minuti, le ore, i mesi, gli anni. Ad esempio adesso sono le 10 e 5 minuti e sono in fila da un quarto d’ora.

Poi c’è il tempo circolare del passato che si ripete, delle cose che accadono e ritornano uguali: il cuore che batte nel petto, il sole che sorge tutti i giorni, le persone che si rivedono, i loro volti, la loro voce. Il tempo dei ragionamenti e dei sentimenti. Il tempo della storia che non si ripete mai alla stessa ora.

Poi c’è il tempo davanti, il tempo dell’attesa, un tempo che non sembra passare come la coda che sto facendo per comprare i beni di prima necessità (è passato un altro quarto d’ora e sono quasi al punto di partenza: quanto tempo dovrò attendere ancora?) e poi c’è un altro tempo.

Un tempo profondo, sordo, cieco, che nasce con una mutazione dal corpo di un animale al corpo di un uomo. Il tempo del coronavirus. Un tempo nascosto, lento e fulmineo, che scava sottoterra, affiora all’improvviso e colpisce alle spalle. Ha fatto il giro del globo così rapidamente da sembrare immobile come la luce così luminosa di questo sole o il silenzio tombale della notte appena trascorsa.

È questo un tempo aspro. Il tempo del contagio. La conta dei morti e dei guariti. Un tempo antico e fantascientifico. È bastato qualche giorno: tutto mutato, la nostra vita cambiata, completamente.

Ma in questo tempo avverso è nato un tempo nuovo, il tempo della solidarietà, il tempo creato da chi questa battaglia, della vita contro la morte, la sta conducendo con tutte le forze a sua disposizione, in prima linea, con sofferenza e coraggio (malati, infermieri, medici), o da chi, nelle retrovie, guida un autobus o un camion o lavora in fabbrica o lava i pavimenti o restituisce il resto ai clienti davanti alla cassa di un supermarket o anche da chi, relegato in casa, fa i compiti con suo figlio o canta volare dal balcone o in fila davanti al supermarket con la mascherina, rispettando le distanze di sicurezza, aspetta, in piedi, senza impazienza.

È il tempo leopardiano della guerra comune contro il vero nemico, madre di parto e di voler matrigna? Quanto durerà? A che cosa porterà? Non lo so.

È passata un’ora e sono arrivato davanti all’ingresso.

Adesso tocca a me entrare.

 

*

 

Fabio Dainotti

 

Un candido stregone

 

M’affaccio alla finestra: strade vuote,

piazze deserte, quasi metafisiche.

 

Per chi scrive e non vive, il danno è poco:

“Je observe”, disse quel tale col monocolo .

Un altro scrisse: “Lui le donne, il mondo,

l’ha visto dal suo studio , alla finestra”.

 

Ma adesso donne ne passano poche

e tutte col bavaglio, e anche il medico

che non osserva solamente, vive

rischiando di morire,

(non c’è soltanto mala sanità)

è “un candido stregone imbavagliato”,

che offre la vita in dono.

 

*

 

Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti

 

https://www.youtube.com/watch?v=fELvndjRGdc

 

*

 

Giuseppe Leccardi

 

CORONA VIRUS

 

Bollettini di guerra i telegiornali

sparano cifre di caduti e contagiati.

Il virus dilaga per invisibili trame,

ragno che tesse la tela intorno al globo.

Demone , Angelo vendicatore, forse

dell’Apocalisse il quinto Cavaliere

che procede nella semina mortale.

 

I numeri celano vite, non dolore

allo sguardo disarmato dei congiunti

sulla fila d’automezzi militari

diretti all’alba ai forni crematori.

 

Scivolano inerti i giorni del contagio

sul profilo di città senza rumori,

gabbie di cemento che rubano il respiro,

spazio ai pensieri già disorientati.

 

23/03/2019

 

*

 

Rita Pacilio

 

… e oggi, all’improvviso, mi scrive:

《Posso chiederti una cosa?》

《Sì, certo. Dimmi pure.》

《Esprimi un desiderio!》

(Mi è sembrata strana una simile richiesta. Proprio adesso? Esprimere un desiderio … vuol dire, che ne so, andare con la testa a Milano, tornare sotto la Torre Eiffel, addirittura parlare ai miei figli con un altro tono. Questi sono giorni in cui la voglia di regredire è un’esigenza. Cioè manipolare pensieri e gli occhi fragili per distoglierli dalla miopia della paura è urgente, prioritario. Oppure fare uno sforzo faticoso come inforcare gli occhiali e restare in pigiama. Farlo con attenzione, lentamente, ragionando sui movimenti. Fermarsi. Così ho pensato che fosse una persona poco pragmatica e che per lui un desiderio, in questo momento, fosse necessario visto la pandemia, il coprifuoco, la solitudine. Vallo a dire agli innamorati  … sorrido).

《Ti scrivo qui》dico.

《Come vuoi, anche in mail》

(Ho sorriso con tenerezza e ho aggiunto una emoticon.)

《In mail, come una lettera!》

《Sì, una lettera》. Lui serio.

(Tutto sommato, procedevo a tentoni cercando di andargli incontro come quando hai poco sonno, ma spegni tutto e ti infili sotto le coperte con gli occhi chiusi).

Così, senza cautela, con la testa tra le nuvole (nuvole? Sì, nuvole! Senza sigarette ho bisogno di un calmante o di un doppio whisky per ingannarmi…) sono qui a cercare di tradurre l’indecifrabile. A rafforzare un pensiero, a sottoscriverlo come fosse possibile convincersi che l’amore è una scienza esatta.

Inizio dalla scrittura che è guarigione e via di fuga. Infatti, sto anteponendo la conferma che niente ci impedisce di desiderare.

Il desiderio, dunque, resta un’intuizione, qualcosa che può accadere per l’interferenza del buon vento, cioè del caso. Come le cose che costano il minimo sforzo. Un colpo di fortuna.

Poi, ci sono i desideri che costano fatica. Quelli che fanno rabbrividire per il solo fatto di averli pensati. Per questo, forse, ti impegni a non farli avverare. Per paura di non meritarli. Di non essere all’altezza. Ti ripeti, quindi, che quel sogno è assurdo. E abortisci. Diventi brava a farlo da sola.

 

Quest’ultima definizione è l’unica dichiarazione che può essere espressa – con più o meno lucidità – dalle persone talentuose. Privilegiate. (Credo …)

Ah, dimenticavo. Gli ho chiesto di rispondermi. E mi ha detto che lo farà.

È vero, chiunque può annichilirci, così come chiunque può conquistarci. Ma è anche vero che, se qualcuno decide di amarci, può farlo mettendosi al riparo. Che so, spostando le note sul rigo. Trovando un nuovo spazio. Fare pausa di tutto. Trovare il tempo (mica è cosa da poco!)

E allora, vorrei una possibilità irreale. Desidero solo questo: vorrei seguirlo senza farmi vedere.

 

*

 

Fausta Squatriti

 

Come curare

icona ferita

d’ignari contendenti?

Conto a seguire:

nella galassia violata

affonda dei vinti

la vendetta.

Doppio sguardo

rinnova

prematuro silenzio,

nel ritaglio dell’ora

prende tempo

(non vista)

storia senza data.

*

Giancarlo Fascendini

 

come il sospiro se una luce di faro

nel seguitare pacato di risacca

o una finestra accesa nella notte

da un treno verso dove, indifferente.

Come luna sbiadita e ombra di remo

che batte quietamente un’acqua inerte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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