Convegno Antonio Porta-Atti
Vincenzo Guarracino
È un mondo minimo e privato, quotidiano e feriale, di segni e tracce della vita, di piccole cose fedelmente amate e coltivate, tra umbratili umori e silenzi, quello cui Giorgio Larocchi, pittore e poeta, anzi pittore-poeta si applica da sempre: un microcosmo personale ed esistenziale, oggettualizzato e mineralizzato, in cui forme di ordinaria flagranza e referenza (nature morte, vegetali, manufatti, corpi, indumenti, interni domestici, paesaggi, presenze umane e animali, eventi meteorologici), rese astratte ed elementari da un accanito assillo formale, diventano qualcosa d’altro, elevate al rango di vere e proprie storie dell’anima.
Antonio Porta e la capacità “presentativa” della poesia
Niva Lorenzini
La citazione da cui ho tratto il titolo per il mio intervento appartiene a una lettera scritta da Alfredo Giuliani al giovanissimo Leo Paolazzi, a tutt’oggi inedita e conservata presso il Centro Apice di Milano. La lettera è del 10 maggio 1959. Già in una lettera precedente del 18 febbraio ’59, commentando alcune tra le prime poesie inviategli da Leo e destinate a confluire nel 1966 nei Rapporti, in particolare Europa cavalca un toro nero e Vegetali, animali, Giuliani, oltre a consigliargli letture che ritiene utili per la sua formazione (Pound, Villon, intanto, e Robbe-Grillet) si appuntava un elemento che resta a tutt’oggi fondamentale per la comprensione della poesia di Antonio Porta. Con il fiuto del critico di razza Giuliani coglieva infatti in quei testi, in particolare in Europa cavalca un toro nero, una singolare “energia di immagini” e una “volontà schietta di rappresentare e narrare l’inferno della cronaca”, una volontà, scriveva, che faceva ricorso a un “montaggio violento e spesso illuminante”. E parlava ancora di “violenta espressività” del vedere, seppure ancora presente “allo stato brado” (questa la riserva che avanzava, di fronte a quei primissimi testi).
Lampi di memoria
Gilberto Finzi
Ho voluto cheil titolo di questa breve comunicazione fosse “Lampi di Memoria”: come quei fulminei ritratti che compaiono fuori dal sogno, o come quelle rapide scene evocate da un movimento, da una figura, da un’inezia di cui la memoria subito s’impadronisce riportando alla superficie quello che era rimasto lungamente nel profondo.
“Le radici dell’erba dipinta”
Porta e Spatola, due testualità, una lettura *
Gio Ferri
Il piacere e il dramma delle neoavanguardie poetiche del secondo dopoguerra consistono essenzialmente nella coscienza critica del fare. Di una parola che vuole spezzare apertamente le barriere di un significato univoco, tanto banale quanto oppressivo, per rivolgersi – tra felicità ludiche, amorose, pericoli, abissi insoluzioni autodistruttive – ai territori del significante come segno polivalente e metamorfico. In cui la comunicazione si faccia comunione, carnalità e sensitività testuale, materialità biologica. Una propensione che viene anche da lontano, dal secolo XIX, ma che trova anche oggi nella crisi totale (cioè nella poesia come crisi) la prova inequivocabile di una disincantata coscienza e di una programmatica autocritica. E’ sull’abîme che la poesia delle neoavanguardie, e, oltre le neoavanguardie, la poesia attuale (quando sia poesia! E solo i singoli testi ce lo possono dire…) cercano la loro plausibilità.
Biblioteca comunale di Milano
Palazzo Sormani – Sala del Grechetto
Via Francesco Sforza 7 – MILANO
9 dicembre 2009 – ore 17,30-21
Milanocosa
presenta
Il giardiniere contro il becchino
Tema portante il consumismo contemporaneo, del trionfo e della morte dell’oggetto,
ci interroghiamo su come abbiamo raccolto l’eredità anche
spirituale che ci hanno lasciato e di cosa lasceremo in eredità, di questo degrado
siamo tutti corresponsabili. In un mondo sempre più legato alla moda e a un
consumismo frenetico, che utilizza e scarta i beni prima che vengano realmente
consumati. Questa esposizione si propone l’intento di recuperare quei valori che
ci portano a consumare e dimenticare. In una recente intervista citavo il
monologo finale di Roy, l’androide morente di Blade Runner: ”ho visto cose che
voi umani non potreste immaginarvi…”, che trovo estremamente attuale, siamo
circondati da montagne verdeggianti che crescono su accumuli di rifiuti, quando
riusciamo a mascherarli, altre volte ci limitiamo a nasconderli nelle profondità di
grotte, come se le viscere della terra fossero enormi pattumiere, oppure li
lasciamo cullare dalle onde, o sommersi nelle profondità marine.
Ma gli oggetti prodotti e spesso non consumati ma solo passati di moda, hanno
una loro vita, la storia e la memoria dell’uomo che li ha costruiti, usati e
dimenticati, un legame imprescindibile che lega la loro sorte a quella dell’uomo.
Un momento di riflessione anche per imparare a fruire dell’arte con
consapevolezza e non solo meramente estetica delle opere, in una concezione
della realtà umana come capacità di permeare nel tempo e tramandarsi nelle
generazioni. Daniela Dente
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