Daniel Barenboim e Edward Said in: “Knowledge is the beginning”
film di Paul Smaczny sulla storia della West-Estern Divan Orchestra, composta da musicisti israeliani, arabi e palestinesi.
di Patrizia Gioia
Senza conoscenza non può esserci amore e senza amore non c’è conoscenza.
“La vera saggezza nasce quando l’amore della conoscenza e la conoscenza dell’amore si fondono.” (Raimon Panikkar)
Il grande maestro Barenboim, con l’amico Said, è riuscito mirabilmente a dare vita a quel che Panikkar indica a noi tutti come via di Vita piena: la via del dialogo. Senza enfasi, senza pensare di cambiare il mondo, con l’umiltà e la generosità che solo la vera passione conoscono, Daniel e Edward, come due giovani ragazzi, s’ingegnano sul come può essere possibile formare una grande orchestra fatta di giovani musicisti palestinesi ed israeliani e soprattutto come farli suonare nelle terre di guerra.
Così, giovani, uomini e donne, che non hanno alcuna opportunità di conoscenza tra loro, giovani che vivono sommersi dagli ancorati pregiudizi dei grandi, giovani che parlano di politica e che patiscono un’impossibilità di relazione con quella che viene spacciata come politica, giovani che amano e praticano la musica e non trovano maestri che possano seguirli con costanza e tempo in un tempo di continua guerra, giovani che si interrogano su quello che stanno vivendo, sul dolore che patiscono e che sono consapevoli di restituire, sull’insensatezza di quello che accade, sulla mancanza di libertà e di speranza che tutto questo possa cessare e lasciare che la loro vita possa essere esperita in tutta la sua straordinarietà, hanno l’opportunità di incontro.
Daniel ed Edward non si perdono d’animo, sono tenaci e appassionati, credono in quello che sentono e aderiscono a quella spinta d’amore che sempre conduce chi dal fato non si fa trascinare, ma si lascia indicare la via. Superano ostacoli che sembrano insuperabili, passano in zone dove i ceck point hanno trasformato la bellezza del viaggio in un’interminabile sanguinolenta via crucis, si affidano ad amici che solo l’ignoranza umana può chiamare nemici, a loro si aprono porte che i più continuano a vedere inesistenti, loro sono capaci di far dialogare visibile e invisibile.
È da vedere questo film, per comprendere come nella vita è proprio l’impossibile che vale la pena di tentare e che solo insieme lo si può tentare e vivere, scoprendo che l’arrivo è l’inizio di altro nuovo passo.
Barenboim è superbo come un leone e leggero come una farfalla; sa spronare, sa correggere, sa comprendere, sa sorridere, sa abbracciare e sempre, sempre in lui il terzo occhio è aperto e in ascolto. Ieri sera ho fatto esperienza, osservando attentamente Barenboim, di come il maestro – non solo di musica – sia sempre presente come serpente ed innocente come colomba e di come sappia estrarre da ogni allievo l’essenza e di come la sappia comporre, come musica, aiutando l’altro a divenire quello che è, in una relazione dove l’ascolto è l’arte della mutua fecondazione tra trascendenza e immanenza.
Credo che in lui questo carisma si sia allenato e fortificato nell’ascolto del suo talento e in quello della musica, dove l’arte della pazienza, della disciplina, del rifare per meglio essere, sono presenti come tasti del suo pianoforte, spazio e tempo dove il maestro sa far dialogare, nella sua irripetibile peculiarità, tutta la nostra memoria e tutte le possibilità in noi contenute, mostrandoci l’evidenza e la sostanza dell’armonia, quella danza trasformativi tra la polarità distruttiva e quella creativa che ci fa co-creatori della realtà.
Barenboid non cede mai a facili commozioni e commemorazioni, sa quello che vuole e ci prova tenacemente, incessantemente, lavora, suda, ripete, potrebbe sembrare in certi momenti freddo e distante, ma non lo è affatto, è sempre “presente”; soltanto chi ha saputo incontrare fino in fondo il proprio dolore può portare il peso del dolore dell’altro. È solo la pietas che ci fa umani.
Questo film ci mostra come la vita sia rischio, un’avventura radicale dove dobbiamo essere disposti anche a perdere la nostra vita, per trovarla. Dover e poter suonare a Ramallah è rischiare il tutto per tutto.
Barenboid, rimasto ora solo dopo la morte del suo amato amico Said, ancor più non molla e mette ogni ragazza e ragazzo di fronte alla responsabilità personale di una scelta. “Siete liberi, liberi di dire di no e vi capirò, non mi arrabbierò”, dice ad ognuno di loro; ora ogni ragazzo e ogni ragazza se la vedrà con sé stesso e con la famiglia, se la vedrà con la sua paura e la sua passione, se la vedrà con l’amicizia nata con chi prima credeva nemico, se la vedrà con la politica e con la religione, è davvero una scelta di vita questo viaggio a Ramallah dove ognuno, se partirà e se tornerà, non sarà più quello di prima, anche se quello di sempre.
Vengono separati, palestinesi e israeliani, viaggeranno per strade differenti, tutti supportati ma non per questo garantiti, dal passaporto diplomatico rilasciato dalla Spagna.
Verranno scortati dalla polizia gli israeliani a Ramallah ed accompagnati al concerto e riportati via subito dopo, ma quello che al concerto succede nessuno potrà mai portarlo via a nessuno.
È un fatto storico e un atto altamente religioso e altamente politico quello che lì è accaduto, la realtà stessa ne è stata toccata e modificata. La gioia, la gratitudine, la speranza che in ognuno sono tornate a splendere erano visibili. In quella sala era l’armonia dell’amore che suonava, armonia che usciva dal suono di ogni strumento e di ogni cuore, più forte la sua potenza di qualsiasi atomica, energia che ha toccato anche noi che guardavamo il film. È in questa tempiternità che ogni morto risorge, che ogni confine, ogni odio, ogni atrocità trova redenzione e conversione. L’arte del dialogo è la vera arte dell’essere umano, lì non si difendono ideologie od ortodossie, lì sì è nudi e vulnerabili, senza precondizioni ed intenzioni nascoste.
Amare davvero il prossimo implica di conoscerlo veramente.
Questo hanno fatto Daniel e Said, il discorso da loro fatto durante la consegna di uno dei premi più prestigiosi, quello del principe delle Asturias, è stato un atto di grande coraggio e di grande umiltà. È una domanda semplice aperta al mondo intero: “Come possiamo ancora fare all’altro quello noi stessi abbiamo patito?” Come possiamo ancora non comprendere che è solo nell’incontro e non nello scontro la salvezza, l’altro non è semplicemente un ricercatore, come me, di verità, ma è fonte della mia stessa conoscenza. Senza l’altro l’uomo non è uomo.
Guardatelo e ascoltatelo questo film, davvero sarà la musica a salvare il mondo, se noi sapremo partecipare alla sua armonia, e di questo s’ha da esserne degni.
Daniel Barenboim famoso direttore d’orchestra ha fondato insieme a Edward Said un’orchestra formata, appunto, da Israeliani e Palestinesi. Un messaggio di pace.
(http://www.wuz.it/intervista/1807/daniel-barenboim.html)
W DANIEL!!!!!!
anny
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