Censura su Mandela e Castro

Pubblicato il 11 dicembre 2013 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro

Si possono avanzare anche parecchie critiche a Castro e al regime cubano, ma sono indubbi i contributi internazionalisti dati, per esempio, alla lunga lotta di liberazione guidata da Nelson Mandela. Il quale non è stato un pacifista o una specie di Gandhi africano – come le retoriche dei media e dei leaders occidentali lo hanno voluto incorniciare – ma deve essere ricordato anche per la lunga e complessa lotta armata, senza la quale nulla sarebbe cambiato.

A.V.

Censura su Mandela e Castro

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di Atilio A. Boron

Articolo del politologo argentino Boron che ricorda i rapporti stretti tra Mandela e Castro ed il ruolo di Cuba nella sconfitta del regime razzista sudafricano.

Nelson Mandela è morto e ci lascia davvero soli in questo mondo cinico. Il cordoglio unanime, però, trascura alcuni aspetti del complesso e travagliato destino di Mandela e del suo popolo, per esempio, la necessità, negli anni 60 di far ricorso alla lotta armata a causa della sordità e della violenza della controparte; per esempio, il ruolo di Cuba, attraverso la sua partecipazione alla guerra in Angola, su richiesta del MPLA di Agostinho Neto. Lo storico italo-statunitense Pietro Gleijeses ha già da tempo documentato l’importanza dell’intervento cubano in una scacchiera in cui il Congo, la Namibia, l’Angola, il Sudafrica erano scenario di interessi non solo nazionali. La penetrazione sudafricana in Angola, dopo aver occupato la Namibia, è stata arrestata e sconfitta dalla battaglia di Cuito Cuanavale di cui si parla nell’articolo di Atilio Boron pubblicato qui sotto. (A.R.)

Atilio A, Boron

(Editorialista argentino, Direttore del PLED, Centro Culturale per la Cooperazione “Floreal Gorini”)

Censura su Fidel e Mandela

La morte di Nelson Mandela ha provocato una caterva di interpretazioni sulla sua vita e la sua opera; tutte lo presentano come un apostolo del pacifismo e come una specie di Madre Teresa del Sudafrica. Si tratta di un’immagine essenzialmente e premeditatamente sbagliata che trascura il fatto che dopo la strage di Shaperville, nel 1960, il Congresso Nazionale Africano (CNA) e il suo leader –lo stesso Nelson Mandela- adottarono la via armata e il sabotaggio a imprese e progetti di rilevanza economica, senza attentare a vite umane. Mandela viaggiò in diversi paesi dell’Africa in cerca di aiuto economico e militare per sostenere questa nuova tattica di lotta. Fu arrestato nel 1962 e, poco dopo, fu condannato all’ergastolo, restando recluso in un carcere di massima sicurezza, in una cella di due metri per due, per 25 anni, salvo i due ultimi anni in cui l’enorme pressione internazionale per ottenerne la liberazione avevano migliorato le condizioni della sua detenzione.

Dunque, Mandela non era “un adoratore della legalità borghese” ma uno straordinario leader politico le cui strategie e tattiche di lotta cambiavano come cambiavano le condizioni nelle quali librava la sua battaglia. Si dice che è stato l’uomo che l’ha fatta finita con l’odioso apartheid sudafricano, ma questa è una mezza verità. L’altra metà del merito corrisponde a Fidel e alla Rivoluzione cubana che con il loro intervento nella guerra civile dell’Angola ha determinato la sorte dei razzisti sconfiggendo le truppe dello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), dell’esercito sudafricano e dei due eserciti mercenari angolani organizzati, armati e finanziati dagli Stati Uniti attraverso la CIA. Grazie a questa eroica collaborazione, in cui ancora una volta si è dimostrato il nobile internazionalismo della Rivoluzione cubana, è stato possibile mantenere l’indipendenza dell’Angola, gettare le basi per la successiva emancipazione della Namibia e tirare il colpo di grazia contro l’apartheid sudafricano. Per questo, venuto a sapere del risultato della cruciale battaglia di Cuito Cuanavale, il 23 marzo 1988, Mandela scrisse dal carcere che la conclusione di quella che è stata chiamata “la Stalingrado africana” era stata “il punto di svolta per la liberazione del nostro continente, e del mio popolo, dal flagello dell’apartheid.” La sconfitta dei razzisti e dei loro mentori statunitensi ha assestato un colpo mortale all’occupazione sudafricana della Namibia e ha accelerato l’inizio dei negoziati con il CNA che, poco dopo, avrebbero finito col demolire il regime razzista sudafricano, opera comune di quei due giganteschi statisti e rivoluzionari. Anni dopo, durante la Conferenza di Solidarietà Cubana-Sudafricana del 1995, Mandela avrebbe detto che “i cubani sono venuti nella nostra regione come dottori, maestri, soldati, periti agrari, ma mai come colonizzatori. Hanno condiviso le stesse trincee nella lotta contro il colonialismo, il sottosviluppo, l’apartheid. [… ] Non dimenticheremo mai questo incomparabile esempio di disinteressato internazionalismo”. E’ bene ricordarlo a coloro che ieri e ancora oggi parlano della “invasione cubana dell’Angola”.

Cuba ha pagato un prezzo enorme per questo nobile atto di solidarietà internazionale che, come ha ricordato Mandela, ha costituito il punto di svolta della lotta contro il razzismo in Africa, Fra il 1975 e il 1991, circa 450.000 uomini e donne dell’isola sono andati in Angola a giocarsi la vita. Poco più di 2.600 l’hanno persa combattendo per sconfiggere il regime razzista di Pretoria e i suoi alleati. La morte di quello straordinario leader che è stato Nelson Mandela è un’ottima occasione per rendere omaggio alla sua lotta e, anche, all’eroismo internazionalista di Fidel e della Rivoluzione cubana.

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