“Il giardiniere contro il becchino” in America

Pubblicato il 27 settembre 2014 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Quaderni d’Italianistica, vol. 34, n. 1, 2013 – Toronto, Canada

Official journal of the Canadian Society for Italian Studies. Publication is made possible by a grant from the Social Sciences and Humanities Research Council of Canada.

Recensioni

Adam Vaccaro (Ed.). Il giardiniere contro il becchino.Memoria e (ri)scoperta di Antonio Porta. Milano: Associazione Culturale Milanocosa, 2012. Pp. 80. ISBN 978-88-9027-452-7. € 10.

Dal milanese palazzo Sormani a questo volume, gli atti del convegno Il giardiniere contro il becchino. Memoria e (ri)scoperta di Antonio Porta tenutosi nel 2009 si rivelano un importante strumento per scandagliare il variegato lavoro del novissimo Porta e a porsi come utile vademecum per lo studio di un poeta che ha sempre avuto un’ottima fortuna negli Stati Uniti. Non per niente, caso vuole, che l’anno di pubblicazione degli atti coincida con l’edizione più completa delle poesie di Porta in suolo americano: Piercing the Page: Selected Poems 1958-1989 (Los Angeles: Otis Books/Seismicity Editions, 2012), volume curato da Gian Maria Annovi e impreziosito sia da una precisa introduzione dello stesso Annovi sia dalla postfazione (“Porta: Rhythm and the Poetic List”) firmata da Umberto Eco.

Questo volume, edito da Adam Vaccaro, colpisce immediatamente per l’evidente desiderio di ricreare meticolosamente sulla pagina i variegati aspetti che il convegno era stato in grado di offrire. Infatti, anziché limitarsi a riproporre, come si è soliti vedere, gli interventi critici del meeting milanese, questo volumetto ricrea l’atmosfera che doveva averlo accompagnato non solo  durante ma anche nei momenti precedenti il convegno: mi riferisco in particolare alla prima sezione (Il convegno), in cui viene presentato il materiale pubblicistico relativo al convegno, dalla locandina all’agenda, per finire con l’invito preparato dal Comune di Milano, ente patrocinatore dell’iniziativa. A seguire troviamo i Contributi critici tra cui spiccano quelli di due delle massime autorità sui Novissimi, Niva Lorenzini e John Picchione: la prima, nel suo “Antonio Porta e la capacità ‘presentativa’ della poesia”, risale ai lavori visuali di Porta dei primi anni sessanta per estendere un’intuizione di Alfredo Giuliani riguardo alla prima poesia portiana (e cioè che la sua poesia fosse capace di dare il massimo di presentazione delle immagini) all’intera produzione del poeta milane- se.  Lo studioso canadese (“Poesia, comunicazione e progetto utopico nell’ultimo Porta”) si concentra, invece, sull’accresciuta comunicatività delle ultime raccolte portiane per dimostrare quanto questa non sottenda un allontanamento dai principi che lo avevano caratterizzato da poeta novissimo quanto “un progetto di comunicazione […] saldamente legato ad una visione utopica che si prospetta come antitesi ai paradigmi culturali dominanti di quegli anni” (23).

Completano questa sezione il testo di Adam Vaccaro (“Cardini e poli di senso del progetto infinito di Antonio Porta”) e quello di Gio Ferri (“‘Le radici dell’erba dipinta’. Spatola e Porta: due testualità, una lettura”). Il primo identifica ed esamina quattro nodi, “anelli inseparabili di uno stesso circuito interminabile di una poesia”, che caratterizzerebbero la poesia di Porta: “senso come esoscheletro di significante-significato, fenomenologia della mancanza e dell’utopia dell’esserci, comunicazione complessa e poesia in re”. (10-11). Il secondo, instaura un preciso parallelismo, speri- colato ma intelligente, tra alcuni testi lineari di Porta e alcuni testi visuali di Adriano Spatola. Accostare un testo lineare di un qualsiasi poeta, anche il più sperimentale, agli zeroglifici spatoliani, dove non rimangono che segni tipografici ridotti a brandelli, potrebbe di primo acchito sembrare improponibile, ma quando l’indagine si sposta sui territori di linguaggio, visualità e sonorità, il discorso sicuramente cambia: secondo Ferri, la poesia per mantenersi vitale può permettersi solo di giocare su due fronti, il primo, che si identifica con l’operazione di Spatola, “orizzontale, alla conquista di spazialità aperte e materialistiche, essenzialmente formali anche in senso puramente visivo-scritturale”, il secondo “verticale, alla ricezione delle sonorità sommesse e sommosse dell’inconscio” del poetare di Porta (12). Due percorsi accomunati, sempre secondo Ferri, da una “cosciente ricerca e la profonda esaltazione della libertà della parola”. (13)  In complesso i saggi si caratterizzano per una certa brevità che comunque non penalizza il respiro della ricerca degli autori rappresentati.

Seguono Testimonianze e Letture, due sezioni permeabili che completano nel loro porsi il percorso critico che le aveva precedute. Nella prima, infatti, non si scade mai nell’aneddoto personale e ogni voce (Gilberto Finzi, Francis Catalano, Stefano Salvi e Gianni Turchetta) recupera o presenta tracce di ricerca tuttora percorribili per un’indagine critica dell’esperienza poetica di Porta. Nella seconda, ritroviamo i testi portiani letti durante il convegno da Patrizia Valduga (Airone) e Maria Pia Quintavalla (Poemetto con la madre), preceduti però, per evitarne la possibile inerzia (è lapalissiano che la pagina non sia capace di rendere gli effetti di una lettura dal vivo, ma sarebbe stato difficile, inoltre, collegare queste poche pagine con il resto delle sezioni del volume), da noterelle critico-introduttive di Giovanni Raboni per L’airone, della stessa Quintavalla per il Poemetto. Il volume si chiude con una quinta sezione, Intervento musicale, che offre il programma sonoro della serata, i sei testi musicati (Galleria Monte lungo, poesia: vaso rotondo, agonia di una lucertola, lo specchio che hai fissato, brivido, piacere danzabile e Furto di Primavera) accompagnati dai nomi delle voci recitanti, lo sparti- to musicale per Agonia di una lucertola e un intervento finale di Giuliano Zosi, musicista e compositore della serata: Note a margine di un’esperienza creativa. E proprio le considerazioni del musicista romano si rivelano la vera chicca di questo volume, capaci come sono di portarci all’interno del processo creativo che comporta il musicar poesie, le scelte da farsi e le ragioni dietro a quelle: per ogni testo un percorso preciso, comune nella scelta di fondo (“L’idea di base fu che ogni testo dovesse precedere la musica mantenendo la propria autonomia nella lettura, e che la musica dovesse rappresentare una continuazione delle parole del testo, una specie di coda,” 69) ma allo stesso tempo differente, per riuscire a cogliere le sfumature e le suggestioni peculiari ad ognuno dei testi.

BEPPE CAVATORTA University of Arizona

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