Vette e limiti dell’umano

Pubblicato il 16 luglio 2014 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Vita di Michelangelo – Romain Rolland – Rizzoli Editore

Oilmè, Oilmè, ch’i’ son tradito…

di Patrizia Gioia

Diventare vecchi ha i suoi lati buoni, il tempo e lo spazio per esempio acquistano dimensioni altre, l’allenata conoscenza del nostro castello interiore fa si che, avendo più tempo per sostare, lo sguardo s’allarghi benevolo sulle stanze che avevamo già attraversato, ma che ora si concedono diversamente a noi, come quando dopo molto tempo torni nella casa dei nonni e ritrovi quel che ricordavi ma che ancora non conoscevi come ora invece puoi fare.

Quel quadro che ricordavi accanto alla finestra, che ricordavi buio con la cornice nera, t’accoglie ora illuminato d’una luce lontana, la barca ferma sulla battigia contiene, tra le reti, piccoli pesci e  persino una piccola scatola di ferro arrugginita con dipinta sopra un’ancora d’un azzurro cupo e straniero. Ti stupisci e, in questo estraneamento noto, t’inoltri curioso, una nuova vita ti aspetta tra le cose che da sempre sono tue ma che in altro modo parlano e chiedono il tuo ascolto. (Una nota, divertente e tragica, in casella ieri il volantino di un rigattiere diceva. “si comperano ricordi della nonna “) .

E’ in questo nuovo tempo e nuovo spazio che la mia libreria si “è aperta” facendomi trovare tra le mani un piccolo ingiallito libro, messo lassù, nel ripiano più alto e dimenticato. La copertina, di cartoncino color terra di Siena chiara, quasi mi si sfoglia tra le dita, le pagine s’aprono odorose di lino e azzurro iris:  Biblioteca Universale Rizzoli, prima edizione: ottobre 1949, volume doppio, lire cento. Titolo originale dell’opera: VIE DE MICHEL-ANGE, scritto da Romain Rolland e tradotto dal nostro Oreste del Buono.

Romain Rolland è un autore che amo, uno dei pochissimi uomini di quella Cultura che a noi ormai difetta, e che nei primi anni del novecento sostenne il mio caro Hermann Hesse, nel coraggioso disinnescamento d’ogni guerra. (E’ dedicata a lui la prima parte del Siddharta.). Un inno d’amore “ Non di questi toni amici”, parole di Hesse da rileggere ogni qualvolta la brutalità umana vorrebbe riprendere anche in noi il sopravvento, parole che ci riportano al nostro serio compito dove lo spirito critico e la passione del cuore sono inseparabili.

Da questo libricino di Rolland emerge un Michelangelo che non conoscevo, uomo aristocratico pur nelle sue rughe contadine, un uomo pieno di passione e di furore, capace di innamoramenti improvvisi, sia per uomini che per donne. Un uomo poco amato. La sua sola vera amica fu Vittoria Colonna che lo comprendeva forse come nessuno mai l’aveva compreso, un’amicizia casta, fatta di vicinanze e lettere, di doni che l’artista non sapeva accogliere tanto era scontroso e duro, seppur presente al bisogno altrui. Fu lei che lo presentò a Dio, dimensione d’inseparabilità umana in Michelangelo, seria e devota: chè non si può lavorare con le mani una cosa,  e col cervello una altra, e massimo di marmo”.

Fu sempre vicino alla sua famiglia, forse a volte troppo presente nelle loro vite, ma la sua era una presenza fatta di giusta distanza, odiava i dottori che lo volevano curare, non voleva interferenze di nessun genere, né nella vita né nel lavoro. Si faceva tutto a modo suo, cupole statue e dipinti, matrimoni e dolori. Pur se ricco e pieno d’onori, viveva da povero, in piccole stanze e con scarso cibo, tanto che preoccupò più di una volta per la sua cagionevole salute. Ma la sua cura era l’Arte, medicina e veleno.

Scrive Rolland: “ Francesco I e Caterina dei Medici gli rendevano omaggio, Cosimo dei Medici volle nominarlo senatore; e quando egli andò a Roma, lo trattò da suo pari, lo fece sedere accanto a sé e lo intrattenne confidenzialmente. Il figlio di Cosimo, don Francesco dei Medici, lo accolse con il berretto in mano, testimoniando così un rispetto senza limiti per un uomo così raro. In lui si onorava tanto il genio quanto la sua “gran virtù”. La sua vecchiaia fu circonfusa d’una gloria pari a quella di Goethe o di Hugo. Ma egli era un uomo di natura diversa. Non aveva né la sete di popolarità dell’uno, né il rispetto borghese dell’altro, per quanto libero fosse, per il mondo e per l’ordine stabilito. Michelangelo disprezzava la gloria , disprezzava il mondo; e, se serviva i papi, era per costrizione. Egli non nascondeva  che “perfino Sua Santità talvolta mi annoia e mi importuna, quando mi chiede con insistenza perché non vado a trovarlo più, e che non c’è bisogno ch’io corra ad ogni sua chiamata……..”

Ma è la nota finale del libro che vorrei condividere con voi, CONGEDO la nomina Rolland, che scrive:

Al termine di questa tragica storia, mi sento tormentato da uno scrupolo. Mi domando se, volendo dare a coloro che soffrono dei compagni di dolore che li sostengano, io non abbia fatto forse altro che aggiungere il dolore di questi al dolore di quelli. Avrei dovuto piuttosto, come hanno fatto tanti altri, mostrare degli eroi soltanto l’eroismo, e stendere un velo sull’abisso di tristezza che è in loro?

Ma no! La verità! Io non ho promesso ai miei amici la gioia al prezzo della menzogna, la gioia a qualsiasi costo. Io ho promesso loro la verità, anche a prezzo della gioia: la verità virile, che plasma le anime eterne. Il suo respiro è duro, ma è puro: bagniamo in essa i nostri cuori anemici.

Le grandi anime sono come le alte cime. Battute dal vento, avvolte nelle nubi; ma vi si respira meglio e più forte che in altri luoghi. L’aria lassù ha una purezza che netta il cuore dalle immondizie: e quando le nubi si allontanano, si domina il genere umano.

Tale fu questa colossale cima. che dominava l’Italia del Rinascimento, e di cui noi vediamo da lontano perdersi nel cielo il profilo tormentato.

Non pretendo che gli uomini comuni possano vivere su tali vette. Ma che, un giorno all’anno, vi salgano in pellegrinaggio. Vi rinnoveranno il respiro dei loro polmoni e il sangue delle loro vene. Lassù, si sentiranno più vicini all’Eterno. Poi, ridiscenderanno verso la pianura della vita, con il cuore temprato per la lotta quotidiana”.

Fermiamoci e meditiamo su queste parole, noi uomini e donne di pianura, che c’inchiniamo ai peggiori, che non conosciamo più il valore trasformativo dello studio e del lavoro, che vogliamo tutto e subito, ridendo di chi è serio e tenace, di chi conosce il valore della verità e la disonestà della menzogna, di chi s’inchina al “daimon” che ha dentro e che chiama forte, a fare della tua vita il capolavoro.

Noi quelle vette siamo solo stati solo capaci di ridicolizzarle in pubblicità, arrivando a violare la bianca cima, fino a poco tempo fa inviolata, del monte Kailash, sacro invece a tutte quelle persone che ancora oggi sanno e vogliono inchinarsi davanti al Mistero, invece che davanti al misero poteredi re o papi, proprio come fece  Michelangelo.

i semi della gioia

www.spaziostudio.net

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