Poesia contemporanea: Francesco Dalessandro

Pubblicato il 16 gennaio 2012 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Francesco Dalessandro, L’Osservatorio, Moretti & Vitali, Bergamo, 2011

L’Osservatorio di Francesco Dalessandro fu pubblicato, per la prima volta in plaquette,  nel 1989 presso le edizioni Il Labirinto di Roma, e poi nel 1999 dalle edizioni Caramanica. Questa nuova versione ci consegna l’pera più significativa e cospicua del romano Francesco Dalessandro, appartenente alla generazione degli anni Ottanta,  che aveva il suo fortilizio nella rivista «Arsenale» con Gianfranco Palmery e altri valenti collaboratori. Cosa dire?, a distanza di più di due decenni l’opera di Dalessandro sembra acquistare smalto e consistenza proprio a causa della sua impoliticità di fondo: per quella poesia che sembra accarezzare il «paesaggio» e gli oggetti che fanno parte di quel paesaggio. Ecco, credo che oggi quello che risalta è l’impoliticità di fondo di quest’opera; altro aspetto che qui vorrei mettere in evidenza è che il paesaggio è quello visto dall’autore ogni giorno durante il suo viaggio di andata e ritorno dal luogo di lavoro. Ovviamente, è un viaggio privo di avventura e di scoperte. In una brevissima recensione del 1989 ricordo ancora chiaramente che scrivevo di «posizione estatica» di Dalessandro cercando di salvaguardarne l’immagine di poeta non necessariamente contemplativo pur nell’ambito di una categoria heideggeriana.
Certo, il libro rispecchia quelle che erano allora le linee della tarda poesia bertolucciana, il ritorno ad una poesia che si rivolgesse di più alla scatola acustica e meno alla temperie impegnata, civica o politica; era una poesia che sembrava aver messo nel ripostiglio dell’oblio le proposte di poetica che non provenissero dall’assunto di un indiscusso primato del Politico e da un rigorosissimo e severo controllo dell’organo della vista. Tuttavia, l’organo della vista (o meglio della visione) sembra dilagare ed effondersi in questa poesia quasi per prestare alle cose l’aura che le cose non hanno più o che la poesia sembra non essere più in grado di replicare in sé.
Ma la poesia di Dalessandro non vuole essere soltanto poesia di visione (pur se visione ad occhi aperti), né una poesia di veggenza; il moto lento e ondulatorio della visione dell’occhio segue docilmente l’andirivieni dei versi che si susseguono e si rimandano l’un l’altro senza soluzione di continuità, in un inseguimento incessante (quasi mai interrotto da segni di punteggiatura) non del senso ma dei sensi plurimi nei quali si cristallizza il senso delle visioni. Non una poesia a pendenza elegiaca (anche se l’elegia è la spia dominante di questo genere), non poesia del paesaggio quotidiano, anche se il quotidiano sembra trapelare un po’ dappertutto, non poesia di colori della città, anche se Roma è la protagonista assoluta di questa poesia.
Quello che allora, sul finire degli anni Ottanta appariva chiaro, è adesso agli inizi degli anni Dieci alquanto oscuro. La cornice degli eventi è cambiata e con essa è cambiata anche la cornice di lettura di un libro, è questo l’aspetto più interessante, credo.
Con gli anni Novanta apparirà chiaro l’infausto destino della poesia contemporanea: quello di essere costretta a muoversi all’interno di una scrittura tellurizzata, decentrata, bucherellata, spezzettata, psicosomatica, idiosincratica, persoanalitica, una sorta di periferia dei linguaggi peristaltici, mobili, dis-metrici, dis-tassici che nuotano in una geografia-topografia di rovine (lessematiche, semantiche, significazioniste). Allora, invece, si credeva ancora possibile ricostituire una parola politica, o meglio che fosse possibile riformularla secondo un linguaggio poetico che riuscisse a conciliare l’aspetto lessematico e quello fonosimbolico, tonosimbolico.  Ma tutto ciò non sembra scalfire  gli intenti di Francesco Dalessandro, né i suoi progetti per una poesia che riunisse la leggibilità con un ritorno alla tradizione. Gli anni Ottanta sono anni di riflusso ma possono contare su una cospicua serie di poeti di sicura qualità rispetto a questi nostri confusissimi anni di stagnazione economica, politica e spirituale, in cui è davvero difficile mantenere un orientamento. A quell’epoca c’era ancora un dibattito sulle sorti ultime e progressive. C’erano ancora i generi letterari con la sicurezza delle loro divisioni.

Giorgio Linguaglossa

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