Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Christian Tito
Poesie inedite
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Con un commento di Adam Vaccaro
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La più poderosa sensazione che Milano sia una città estremamente affascinante e di una bellezza non convenzionale la ebbi guardando il tempo dei gitani di Kusturica attraverso gli occhi di Perhan, giovane protagonista che, per una serie di vicissitudini legate alla sua uscita dalla Jugoslavia, precedente alla dissoluzione della repubblica titoista, si trova a vivere la capitale lombarda in una randagia vita marginale. Abitavo a Milano da poco più di un anno e sentii, guardando quel film, felicità e stupore per i brevi frammenti che ritraevano la città in cui vivevo da poco sotto una luce completamente nuova. Saltavano improvvisamente tutti i comprensibili stereotipi legati a moda, design e aperitivi fashion e si apriva un ventaglio molto più ampio sulle sue contraddizioni e i suoi contrasti da cui mi sentivo molto attratto. A quei tempi lavoravo per le Farmacie comunali che erano in prevalenza dislocate nei quartieri periferici. Nei lunghi intervalli lavorativi amavo girare a piedi; spesso in solitudine. Di frequente attraversavo le strade più nascoste di Corvetto, Quarto Oggiaro, Barona, Giambellino e, soprattutto grazie alla mia professione, entravo nelle case di chi in quelle zone ci abitava.
Milano e la sua gente, ovvero tutti gli uomini che in essa vivono o quotidianamente vi transitano, sono state e continuano a essere per me fonte di ispirazione e questo, mi accorgo oggi, dopo 16 anni in cui è qui che vivo, ha generato un legame forte; un affetto profondo.
Christian Tito
Da dove sto scrivendo
Nel ginepraio di via Dino Villani numero 3
cerco Alessandro il matto
quello grasso e le infradito anche in gennaio
lo cerco quando è sera
e il fiato fuma
e i nomi sui citofoni sono segni fracassati
allora entro
tento dentro
ogni scala è un segreto che collassa
eppure chi cerco esiste
e quello che cerco per esistere
vuole essere cercato
salgo ad ogni piano e busso
“Alessandro, sono il farmacista
abbiamo sbagliato a darti le compresse
dobbiamo cambiarle Alessandro”
lui apre al sesto piano
coi piedi scalzi e le caviglie gonfie
con le unghie nere e un Modigliani al muro
e c’è odore di brodo
e ci sono macchie rosse sulla canottiera
sarà sugo spero
“Alessandro è sugo, vero?”
è vero
è tutto vero
lo capisco qui
qual è il mio mestiere:
sbagliare per uscire
per entrare nelle case
per uscire dalla casa
a fianco a Modigliani una donna
– è la mamma era qui
ora è sul muro
ora
incastrato tra le mura ci sono io –
“sì ci sei tu Alessandro
non io
non più
ciao Alessandro
vado
ciao”.
*
In via Monticelli
ogni giorno Vasile siede
e io ogni giorno passo
saluto
allungo
talvolta una moneta
che sia in luglio
o nel ghiaccio
lui sempre sorride
saluta
pure chi sputa
per terra
ringrazia
e io mi chiedo
ogni giorno
dove va poi a dormire
a come si vede il mondo
seduti
in via Monticelli
a come vede
le genti
dal basso
a piedi quei piedi
a quanto ci mette
a riempire il bicchiere
per bere
mangiare
se la sera sparisce
o solo si sposta
ogni giorno
ogni santo giorno
poi quello di Natale
Vasile scompare
e non torna più.
*
Farmacia 13
Un minuto di ascolto totale
non posso darti che questo Nina
così mi porto via da Piazza Bonomelli
almeno la tua voce la tua luce
“sono venuta dalla Persia”
dici
“dietro me c’è una sventura”
dici
“due lauree non bastano a colmarla
e con la seconda mi hanno dato un lavoro.
Si può dire stage lavoro?
Qui in Bonomelli è pieno di arabi,
Milano è piena d’arabi.
Quando mi hanno scelta sembravano felici
– finalmente avremo qualcuno che può parlare agli arabi –
ma io l’arabo non lo conosco.
Io
vengo dalla Persia”
ambita e ben pagata è l’ignoranza
questo accade sotto luce e sottovoce, qui, Nina
per questo tifo buio
e, del rumore, l’assenza.
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Metro device
Leggendo l’estensione del dominio della lotta
sulla gialla tra Zara e Maciachini
mi giro a guardare il mio bambino
ha un orecchio scoperto, prende freddo,
glielo copro col cappello, lo accarezzo
quattro uomini di fronte ci hanno visto
siamo noi lo schermo tra gli schermi
osservo i loro volti riempiti da qualcosa
di cui tutti abbiamo sete
stando fuori dal dominio della lotta
stando fuori dal black mirror della specie.
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Nota Biobiblio
Christian Tito (Taranto, 1975), scrittore e film-maker, vive a Milano dove lavora come farmacista. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Dell’essere umani, Manni, Lecce, 2005; Tutti questi ossicini nel piatto, Zona, Arezzo, 2010 e la Plaquette Ai nuovi nati edizione a tiratura limitata nella collana “Fiori di torchio”, a cura di Corrado Bagnoli e Piero Marelli. In prosa: Lettere dal mondo offeso con L. Di Ruscio, Arcolaio, Forlimpopoli, 2014. È tra i fondatori e redattori del blog di poesia e arte contemporanea Perigeion.
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Nota di lettura
Poco frequenti i testi poetici che partono da un moto di immersione nell’altro a corpo intero, e non dal mondo del Soggetto Scrivente (SS). Christian Tito è tra questi e lo fa con la capacità di trasmettere il desiderio di essere solo tramite, di essere nel tra, sapendo di non poter mai raggiungere l’altro. È un SS che sa farsi dito teso e segno di condivisione. La pietas più autentica è quella che sa il senso del limite, l’insuperabilità che non consente all’amore di cadere nel delirio del sogno fusionale.
La tensione – qui priva di ogni ideologia buonista – è verso i dolori ignoti del quotidiano ignoto degli ultimi. Ma il primo dolore è intrecciato alla coscienza del suddetto limite. Che tuttavia non ha alternative: lezione etica e sociale per cui possiamo solo approssimarci, renderci prossimi a quel limite insuperabile persino da Dio – vedi quell’icona e senso del sacro, nel gesto centrale della Cappella Sistina. Quindi questi testi, che si muovono a volo radente, lungo strade case e persone, riescono a volare ben oltre il qui e ora, pur evitando cieli incielati da lembi di platonismus perennis, di uno spirito staccato dal corpo.
Tale complessità è espressa con una tessitura testuale di cui è chiaramente co-autore tale altro che il SS cerca di toccare. La tensione e la ricerca di condivisione si fanno fonte di una forma insofferente, che a tratti tende a ridursi a brandelli. Riesce così a far sentire il respiro che ansima, nel sogno-dito impossibile di toccare il dolore dell’altro. Sufficiente però a riaffermare quell’unità antropologica, senza la quale precipitiamo nella perdita di senso, o in esercizi di lettere morte, ricche solo di ideologia del testo.
Altro punto fondante di queste poesie sta nella pedagogia dei luoghi e del punto di partenza, in testi privi di rarefazioni chiuse nel SS. Non è acribia gratuita indicare “Da dove sto scrivendo”, “Nel ginepraio di via Dino Villani numero 3/ cerco Alessandro il matto/ quello grasso e le infradito anche in gennaio”.
Testi di atti d’amore per “Milano e la sua gente”, sorta di corti, brevi film girati da un SS che sa di essere sempre sul punto di “sbagliare”, ma cerca “i nomi sui citofoni…fracassati”, perché vuole “entrare nelle case/ per uscire dalla casa”. Case mentali e ambiti devastati, “black mirror della specie”, come quelli dipinti da Michel Houellebecq, in Estensione del dominio della lotta, sui “volti riempiti da qualcosa/ di cui tutti abbiamo sete”.
Adam Vaccaro
Non conoscevo l’autore e sono grato a Milanocosa per la bella scoperta. Testi veri ed essenziali che bucano il foglio e trasformano l’esperienza vissuta in pregnante messaggio poetico con versi decisi e scultorei, direi. Illuminanti come “in ambita e ben pagata è l’ignoranza / questo accade sotto luce e sottovoce, qui, Nina” dove si dà un messaggio chiaro sulla nostra civiltà del compiaciuto e colpevole auto-inganno; la toponomastica precisa, il dettaglio biografico si sublimano in una dimensione di umano universale, che è appagante leggere, per quanto lacerante il sostrato che lo permea.
Grazie molte Fabrizio, per il passaggio e le tue generose parole.
Grazie infinite alla redazione di Milanocosa per l’ospitalità. Ringrazio profondamente in particolare Adam Vaccaro per le sue intuizioni sul senso del limite come elemento fondante dell’etica. Sono considerazioni sulla mia poesia che mi riempiono di gioia poiché, per arrivare a questo grado di accostamento all’altro da me, ho dovuto lavorare moltissimo in primo luogo proprio su me stesso e, nel percorso, frequenti sono stati gli errori e le cadute. Non possiamo che soffrire e gioire “con” gli altri, mai “per” gli altri ( a proposito del mortifero sogno fusionale…). Solo così possiamo realmente testimoniare della nostra vita nell’incontro con le vite di chi ci è prossimo.
Christian
Sono felice delle conferme date da Christian, nei confronti della mia nota di lettura, e gli auguro di procedere nella ricerca espressiva che ho evidenziato.
Adam
Sono colpita ed emozionata nel leggere le poesie di Christian Tito, anche perché abito nei luoghi da lui descritti. La parola poetica di christian va verso l’essenziale della resistenza al limite del senso. Il confronto con storie reali di un territorio preciso, rende visibile attraverso il movimento la condizione della scrittura e il ” fare poesia” come conseguenza necessaria.Grazie!
Tituzzo! A sua é grande poesia. Bem brasileira.
Leggo i testi di Christian ora,che lui ci ha lasciato. La commozione di percepire tanta vicinanza al dolore,ai cosiddetti diversi, la semplicità del linguaggio che comunica la profondità del suo essere con loro. Persona rara, caro Christian. Una perdita incolmabile.