Voto e dopovoto

Pubblicato il 28 febbraio 2013 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro
Qui di seguito proponiamo alcune analisi del voto e dopovoto, che riteniamo utili rispetto alla situazione molto difficile in cui siamo, e che per questo richiede capacità di riflettere sulle pur poche possibilità di uscita dal pantano degradato creato da apparati politici palesemente incapaci o corrotti.
A. V.

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BIPOLARISMO ADDIO
Cedimento strutturale
Marco Revelli sul Manifesto di martedi 26 febbraio 2013
Doveva essere un terremoto. E lo è stato. Da questa tornata elettorale il sistema politico italiano esce a pezzi. E non solo perché l’outsider assoluto, il cane in chiesa di tutta la politica professionale – il teorico del «partito non-partito» -, balza al centro della scena politica per eccellenza. Né soltanto perché, per effetto di una legge elettorale scellerata, Camera e Senato si contraddicono a vicenda, mandando in cortocircuito il nostro bicameralismo simmetrico. E producendo l’unica cosa che tutti avrebbero voluto evitare: l’ingovernabilità.
Ma anche perché è la struttura stessa del nostro assetto istituzionale che subisce un cedimento strutturale. Sono i suoi «fondamentali» a sgretolarsi, tanto che è assai più facile dire che cosa finisca che non che cosa nasca o anche solo si annunci.
Finisce sicuramente la cosiddetta Seconda Repubblica. Quella in cui due schieramenti, di volta in volta identificati da una persona – di cui da una parte Berlusconi rappresentava la costante e dall’altra si ruotava – monopolizzavano il campo, e mimavano una sorta di alternanza. Ora il meccanismo si è rotto: la platea dei competitor si è ampliata con una presenza inaspettata, e l’impossibilità di alternarsi si conclude in una caduta libera. Finisce così anche il bizzarro bipolarismo maggioritario e più o meno egemonico, che era stato teorizzato nel 2008 (ricordate Veltroni?) e che si era già schiantato nel novembre del 2011, col «governo del Presidente». Ora che la politica esce dal lungo tunnel dei tecnici a cui aveva abdicato, si rivela impotente e bloccata. Finisce anche, malamente, la cosiddetta «sinistra radicale», travolta dall’ottusità delle proprie burocrazie residuali e dalla propria autoreferenzialità.
Gli architetti istituzionali, che questo bradisismo l’avevano messo in conto, immaginavano però un tripolarismo rassicurante, con un «terzo polo» montiano al centro, capace di crescere tra i due litiganti incapacitati a governare e a garantire un baricentro di stabilità. Invece il terzo polo è nato, ma ellittico, fuori squadra, destabilizzante e radicale come appunto i 5 stelle sono, a squilibrare il carico e sparigliare tutte le carte senza poterne distribuire nessuna. Tanto più che i due vecchi pilastri del sistema – Pd e Pdl – che si sono spartiti quel meno del 50% di elettorato disposto ancora a credergli (quello che resta dopo aver sottratto il venticinque per cento del corpo elettorale che si è astenuto e l’altro circa venticinque che ha votato Grillo), sono fragili. Umiliati dal giullare diventato re. Rosicchiati dall’interno come quegli alberi apparentemente robusti ma mangiati dalle termiti. Perché, nonostante la rimonta finale, il Pdl tutto è fuorché un partito, dipendente com’è da un leader bollito e squalificato universalmente, ancora in grado di toccare la pancia del proprio elettorato più sprovveduto ma non di governare un’accozzaglia di interessi e personalismi quale quella che abbiamo visto all’opera negli ultimi mesi, né di stabilizzare quell’alleanza con una Lega allo sbando che gli ha permesso di vincere in Lombardia al Senato. E per il Pd, c’è da scommettere che partirà presto la caccia al colpevole, e la rimessa in discussione di una leadership che dalla «vittoria mutilata» rischia di passare a una sconfitta non annunciata, e di liberare le tante anime non congruenti di quel partito dal patto di potere che le aveva tenute insieme.
Da domani incomincerà un’altra partita, dall’esito imprevedibile. Dove nessuna delle vecchie certezze varrà più. E ad ogni snodo si presenterà una situazione inedita e probabilmente drammatica, perché la crisi non è superata, anzi. E l’Europa sta sempre lì, a guardarci con occhio severo da aquila che vola basso, mentre lo spread s’impenna. E non c’è più un presidente pronto a gestire lo «stato d’eccezione» da sovrano. E il disagio sociale, ignorato, rimosso, trascurato e incompreso per anni, continuerà ad allargarsi come una piaga infetta… In questa situazione inedita, soprattutto di fronte all’ipotesi di un nuovo voto, nessuno s’illuda di poter riproporre la propria continuità, di classe dirigente. Di organizzazione. Di programma. Di «facce» e di routines. Anche di linguaggio. E a proposito di questo, almeno una preghiera: si abolisca il termine «antipolitica», soprattutto se riferita a chi – ci piaccia o meno – ha rappresentato oggi l’unico fatto politico rilevante in un panorama desolante.

Loris Mazzetti : il Pd scelga 5 stelle e rinunzi agli F35 e al TAV

di Loris Mazzetti sul Fatto quotidiano di mercoledi 27 febbraio 2013

L’Italia è uno strano Paese. La coalizione di centrosinistra vince l’elezioni ma non ha i numeri per governare. Il centrodestra perde ma ha i numeri per impedire a chi ha vinto di governare. Il Pdl grida vittoria perdendo, rispetto al voto del 2008, oltre 6 milioni di voti pari al 16% e tra gli italiani all’estero non ha superato il 15. Che dire del Pd che dopo aver buttato via un anno fa la maggioranza per scendere a patti con Berlusconi per il governo Monti ( più che di tecnici di dilettanti) che ha recuperato, sì un po’ d’immagine in Europa, ma a scapito delle tasche degli italiani.

Un atto di responsabilità, così lo ha definito Bersani, che è costato al partito 3 milioni e 400 mila voti. Monti flop, la Lega dimezzata e Ingroia ha buttato una grande occasione optando per gli antichi Diliberto, Di Pietro e Ferrero a scapito della società civile che aveva aderito inizialmente agli arancioni di De Magistris.

Per ultimo il primo: Beppe Grillo. Il risultato del Movimento 5 Stelle non è stato una sorpresa ma la conferma degli ultimi sondaggi. Massimo Gramellini ha definito il risultato: “Una sollevazione di massa contro le élite”. Un voto che non rappresenta solo risentimento ma anche sentimento. Un elettore su quattro ha votato a favore di un programma che sarà portato avanti da persone dalla faccia pulita e dalla fedina penale immacolata che nulla hanno a che fare con i tanti poteri. Un voto di protesta? No. Una rivoluzione generazionale nata lontano dalla tv, sulla Rete, che rispetto alla tv generalista rappresenta lo strumento della moderna democrazia, se poi lo si associa alla piazza, al contatto con le persone, il risultato è la vittoria finale.

Il risultato dimostra che Internet è frequentata da ben più di quel 35% degli italiani come raccontano i vari rapporti. Cosa accadrà domani? Se Bersani o chi per esso deciderà di accogliere la proposta di Berlusconi per un governissimo, la marcia di accompagnamento del Pd sarà il Requiem di Verdi, se invece i democratici apriranno a Grillo, prendendo a modello la Sicilia di Crocetta e Cancelleri, mettendo sul piatto delle riforme, non solo la legge elettorale, ma il conflitto d’interessi, lanticorruzione, la rinuncia agli F35 e il Tav, credo che risulterebbe difficile per il Movimento rifiutare la proposta. Se, invece, l’alternativa è tornare al voto c’è una riforma che è più urgente di quella elettorale: regolamentare i politici in tv. Sarebbe insopportabile vivere un’ulteriore occupazione di Berlusconi come è accaduto in questi giorni.

“L’AMACA” di Michele Serra

Su Repubblica di martedi 26 febbraio 2013

Ogni mio commento, di pancia o di testa, è il commento di un quasi sessantenne benestante. Che è cresciuto e si è formato nella prima Repubblica, con quei valori (soprattutto l’antifascismo) e quell’idea della democrazia rappresentativa. Penso che la spallata delle Cinque Stelle sia soprattutto una spallata generazionale, di trentenni e quarantenni che non si sentono più rappresentati dall’Italia dei padri (cioè la mia), di ventenni che non hanno niente da perdere e niente da sperare. Non mi piacciono i modi e i toni del loro capo, trovo ripugnanti i “vaffanculo” di massa e mi fa paura chiunque si senta depositario della virtù e indichi tutti gli altri come incapaci o farabutti. Ma credo che l’avanzata travolgente di quell’esercito di sconosciuti fosse inevitabile e fisiologica. E che non sia assolutamente esorcizzabile come “antipolitica”. È politica allo stato puro.
Per anni ci siamo chiesti come mai le nuove generazioni fossero mute. Ora possiamo dirlo un po’ di meno. Hanno parlato, e se lo hanno fatto a modo loro, con mezzi propri, idee proprie, significa che il nostro mondo, come tutti i mondi, comincia a diventare vecchio.
Ps. Spero che Ingroia torni in Guatemala e ci resti per sempre.

Buongiorno di Massimo Gramellini
Pancia e sentimento, la rivolta contro le élite di una nuova
comunità
Massimo Gramellini sulla Stampa di martedi 26 febbraio 2013
Così un comico diventato leader ha riunito malesseri, speranze, solitudini
Di sicuro, in queste elezioni, c’è solo che Grillo ha vinto. E dire vinto è poco. Le urne hanno ospitato una sollevazione di massa contro le élite. Almeno un elettore su quattro ha votato per la lista del Gabibbo Barbuto, spesso senza nemmeno avere la cortesia di anticiparlo ai sondaggisti, considerati elite anche loro. E non si può ridurre sempre tutto alla pancia, per quanto la pancia brontoli, se è vuota anche di più. Qui c’è del sentimento, non soltanto del risentimento. C’è la disperata speranza che i parlamentari a Cinque stelle siano diversi, che non rubino, ma soprattutto che ascoltino: gli altri non lo facevano più.

E’ come se da mille stanze si fosse levato l’urlo di mille solitudini connesse fra loro attraverso i cavi dei computer. Un’emozione virtuale che nel tempo si è fatta piazza. Radunando individui che si ritengono incompresi e sovrastati dall’ombra sorda di troppe congreghe: la Casta dei politici, dei giornalisti, dei banchieri, dei raccomandati. Ogni membro della comunità ha una storia e una sconfitta diverse: chi ha perso o mai trovato il lavoro, chi la fiducia nel domani, nello Stato e nei corpi intermedi come partiti e sindacati. Non odiano la politica, ma chi la fa di mestiere da troppo tempo, senza averne né la competenza né l’autorità morale. Intorno a queste desolate solitudini esisteva un vuoto di attenzione e Grillo lo ha riempito. Dapprima con un vaffa, poi con una serie di proposte concrete e una buona dose di utopia. Ha disegnato panorami che ciascuno ha poi colorato come voleva. Dal punto di vista della composizione sociale il suo movimento è un franchising: a Torino ci trovi (anche) i centri sociali che vogliono abbattere il capitalismo, a Bergamo i padroncini in lotta con Equitalia, a Palermo i disperati e gli allergici a qualsiasi forma di oppressione pubblica e privata. Ovunque c’era un malessere, Grillo gli ha messo a disposizione un format e una faccia, la sua.

I politici professionisti non hanno saputo o forse potuto offrire un’alternativa. Sarebbe bastata un’autoriforma dignitosa, qualche taglio nei costi e nel numero dei parlamentari, una campagna elettorale che parlasse non solo di cifre ma di ambiente, di vita, di futuro. Invece hanno snocciolato cifre fredde, discusso della Merkel e borbottato metafore inconsistenti, persi nel loro altrove. A combattere qui sulla Terra sono rimasti un vecchio impresario con le tasche piene di biglietti omaggio per il paese dei balocchi e un guitto che ha talmente studiato il meccanismo seduttivo di Berlusconi da essere riuscito a sublimarlo. Grillo ha scelto il linguaggio dello spettacolo, l’unico che gli italiani mostrino di comprendere dopo un ventennio di vuoto, ma ha deciso di usarlo per dire cose serie. Lo hanno aiutato la sua popolarità, la sua energia e persino i suoi difetti. Anche la selezione di candidati sconosciuti e scarsamente rappresentativi si è rivelata un punto di forza. Se fra le tante nuove offerte politiche l’unica ad avere sfondato è la sua, è anche perché – a differenza di Monti e Ingroia – non l’aveva infarcita di pseudo vip, algidi tecnocrati e notabili polverosi.

Fra i suoi seguaci storici si può trovare di tutto: il sognatore pragmatico come il vittimista cronico. Ma fra i tanti elettori dell’ultima ora prevale, credo, la fusione di due umori in apparenza contrapposti. Da un lato il desiderio passionale di collassare il sistema, nella speranza che dalle macerie delle varie Caste possa sorgere una classe dirigente nuova. Dall’altro il calcolo razionale di mandare in Parlamento un manipolo di alieni dalla vista acutissima che illumineranno i maneggi del potere. Un amico che ha scelto i Cinque Stelle dopo avere invano votato Renzi alle primarie del Pd mi ha detto: «Non so se metterei mai un grillino ad amministrare il mio condominio, ma se si tratta di fare le pulci all’amministratore, nessuno è più affidabile».

E adesso? Il movimento degli spulciatori affidabili è talmente nuovo da restare misterioso persino a molti di coloro che lo hanno votato. Grillo è il padre-padrone della squadra o è solo l’arbitro che vigila sul rispetto delle regole e fischia le espulsioni? I parlamentari riceveranno ordini da lui o, come assicurano in coro, solo dal popolo della Rete a cui sottoporranno ogni proposta, da quella di un improbabile accordo di governo al nome del prossimo Capo dello Stato? L’unica domanda che è davvero sciocco porsi è se i Cinque Stelle siano di destra o di sinistra. Grillo non ha tolto voti agli altri partiti. Si è limitato a raccogliere quelli che hanno lasciato cadere. E la prossima volta potrebbero essere ancora di più.

E ora l’alleanza Bersani – Grillo

di Carlo Freccero sul Manifesto di martedi 26 febbraio 2013

Grillo ha vinto indipendentemente dal risultato finale. Ha vinto perché se anche il Movimento 5 stelle non fosse la prima forza, questa clamorosa affermazione ha comunque definitivamente archiviato il bipolarismo e, di conseguenza, la convergenza al centro. Il successo indica proprio il rovesciamento dello schema: non il taglio delle ali, ma la loro valorizzazione, dando voce alla protesta di destra e di sinistra. I grillini dicono che non si tratta di protesta ma di proposta. Proprio quel che viene contestato dai commentatori.
Analisti e commentatori che, tuttavia, sembrano aver dimenticato il fenomeno Lega, scoperto e raccontato dal programma televisivo Profondo nord. Ci sarà occasione di tornare su questo punto di analisi per spiegare la differenza tra televisione e web proprio in rapporto ai due concetti di maggioranza (il campo della televisione generalista) con quello di moltitudine (territorio dei nuovi media).
Grillo ha anche riportato in scena le piazze che mancavano dall’epoca del maggioritario. La caratteristica politica è di non essere né di destra, né di sinistra, ma di intercettare la protesta sociale dei due campi.
Il suo messaggio è riuscito a fare del piccolo imprenditore il nuovo proletario evidenziando un elemento di fondo: oggi le realtà che si fronteggiano a livello politico non sono più l’imprenditore e il proletariato, ma a contrapporsi sono il mondo del lavoro reale (vedi Bersani) contro la finanza e le banche (vedi Monti).
A questo punto ho il sogno di un’alleanza non fra Monti e Bersani ma tra Bersani e Grillo: funzionerebbe come a suo tempo ha funzionato l’accoppiata Forza Italia/Lega. Il partito più strutturato costruisce localizzazione mentre il partito/movimento produce la contaminazione in direzione del rinnovamento. Gli elettori non hanno proposto l’accoppiata Monti/Bersani, ma hanno suggerito, al contrario, uno scenario alternativo che apre spazi all’innovazione, più che alla conservazione.
Leggendo i dati oggettivamente, vediamo che gli italiani hanno dato un’indicazione precisa, nel senso del cambiamento. I voti di Grillo sono stati probabilmente sottratti a destra alla Lega e a sinistra al Pd e a Rivoluzione civile, soprattutto a causa della frattura tra Ingroia e i movimenti Cambiare si può e Alba, probabilmente confluiti nella lista 5 stelle. E il fallimento della sinistra tradizionale si spiega con l’incapacità di identificare la sinistra di oggi con i movimenti dei beni comuni.

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