Tromba d’aria a Venezia

Pubblicato il 16 giugno 2012 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro
Che ne sarà di quel Bagolario?  
di Patrizia Gioia
A Venezia, a Sant Erasmo, la tromba d’aria di qualche giorno fa ha abbattuto l’ultracentenario Bagolaro. L’albero-simbolo dell’isola. Il vento lo ha alzato come un fuscello e lo ha fatto caracollare a terra, radici all’aria. All’isola della Certosa non esiste più il parco in quella che è denominata “l’Isola Nuova”. Spazzate via oltre mille piante ad alto fusto.
A Castello, almeno una quarantina di pini marittimi si sono trasformati in “stuzzicadenti” buttati di traverso in terra. Invece è letteralmente scomparsa, rasa al suolo dalle folate di vento che hanno raggiunto i 115/120 chilomentri all’ora, la sede, sia pure provvisoria della Remiera Casteo, a due passi dal Diporto Velico. Qui, la tromba d’aria ha spazzato via tutto: trentaquattro barche a remi sono finite accatastate attorno allo scheletro di un albero reciso alla sommità. Anche il cimitero dell’isola è sconquassato, gli alberi sono caduti sulle tombe e hanno spezzato parecchie lapidi.

Da quando è successo non ho smesso di pensarci, non un pensiero violento, ma un pensiero intermittente che non mi abbandonava, un sentimento doloroso per le persone e l’isola e gli alberi. Ma era un’immagine poetica quella che vedevo, come se Dio avesse deciso di portarli via quegli alberi,
per luoghi migliori dove l’amore vive e non distrugge come a Milano filari d’alberi, raccontando menzogne di sotterranee e pericolose radici.
Che poi gli alberi siano caduti al cimitero spezzando lapidi mi è parso ancora più buon segno, un colpo forte ai sepolcri imbiancati, uno svegliare i morti affinchè smettano di rimanere tale da vivi.  Venezia non sta morendo, ma noi si.
Moriamo nelle città diventate inferni, oceanici baracconi di rumori e canti dove nessuna nota è lieta, ma un’accozzaglia di immagini non più umane,
di figli ormai senza avi, di luoghi sempre più non luoghi , tutto è compagno d’ombra. Fare nuova anche la luce.
Anche in questo momento che sto scrivendo, un assordante rumore di tamburi sotto casa s’infrange tra quello più umano dei tram e un pianto di bimbo che forse sa più di noi quello che potremmo cambiare in noi.
Che ne sarà di quel Bagolaro? E della vita che pullulava “tra” i suoi rami e le sue radici? Che ne sarà di quella sua umana città, di quei profumi e odori di foresta?  Io credo sia ora nell’orto del buon Dio, un luogo piccolo, aperto sull’aperto, si vede il mare, si gode il cielo, si è casa.
E c’è una lunga fila di silenzi, una processione chiara di nuovi intenti, un formicolare di idee, d’aspirazioni, di proponimenti.
Una vita “nova” che da San Marco declina nell’umano senza fronzoli, un umano laico dove lo Spirito vive del suo quotidiano, senza ori e pietruzze, senza segretarii, dove ogni uomo è sano e si da la mano.
Dove il divino finalmente vive tra il cosmo e un umano finalmente più umano, dove l’utopia e il disincanto continuano a darsi la mano.

One comment

  1. francesco ha detto:

    A VOLTE LE BELLE PAROLE NON RISOLVONO I FATTI E IL BAGOLARO NE E’ UNA PROVA,DOVE SI SONO NOSCOSTI TUTTI QUEI GRUPPI AMBIENTALISTI CHE PERCEPISCONO FINANZIAMENTI PUBBLICI? MENTRE NOI CHIEDEVAMO PREVENTIVI PER RIMETTERLO IN PIEDI? di tutte le ditte
    contattate solo una ci e’ venuta incontro con il prezzo le altre sparavano cifre assurde.
    comunque a nostre spese lo abbiamo messo in piedi
    ora speriamo che le sue povere fronde ci facciano
    ombra per altri cento e piu’ anni.

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