Note critiche sulla ricerca di Adam Vaccaro

Pubblicato il 26 giugno 2019 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Ho trovato interessante accostare due visioni e modi diversi di leggere e fare poesia, come quelli di Annalisa Ciampalini e Gabriella Galzio. La seconda, rispetto alla prima, certamente con una più lunga storia anche editoriale, ma entrambe con una sensibilità, senza la quale i sensi complessi della poesia non vengono recepiti, fatti propri e ritrasmessi. Due voci, due sguardi, che sono tra i referenti più significativi, che ho avuto la fortuna e la gioia di toccare con i miei testi, e che credo possano interessare anche altri lettori.   

A.V.

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NOTA DI LETTURA AL LIBRO “SEEDS” di ADAM VACCARO (Chelsea Editions, 2014)

Annalisa Ciampalini

Seeds è il titolo della raccolta poetica di Adam Vaccaro pubblicata da Chelsea Editions nel 2014. Le poesie che vi compaiono, selezionate da Sean Mark, anche autore della prefazione del libro e traduttore dei testi in inglese, sono state scritte nell’arco di tempo che va dal 1978 al 2006.
Si tratta di un libro importante, in cui la consistente e interessante ricerca poetica dell’autore emerge sia dai singoli testi, sia dalla scelta degli stessi, sempre collegati da qualche affinità. La prima parte del volume trae la sua linfa vitale dal moto migratorio che negli anni cinquanta e sessanta è stato un fenomeno assai rilevante nel nostro paese. In questa parte sono i vari personaggi che compaiono a guidare il percorso poetico, sono testi che nascono da un’osservazione profonda dell’altro, e dove il ricordo della terra d’origine, il Molise, insieme alle varie figure di emigranti, è spesso fonte d’ispirazione.
“Non sapeva peppino quel mattino / presto di novembre-statua di pietra / sulla valigia-dove il treno e il testino / del Sud avrebbero fatto punto. (i bottoni di peppino, pag.28)
“Questa casa così scura così attesa / questa casa che al buio diventa / le pareti dei miei sogni” (pag. 38)
“Mi domandavo a volte sospeso / tra i fili rossi della vita / ma il pane – il pane- / come ride e se ne fotte / quando muore beato nella gola” (L’elettricista, pag. 44).
“Ricordo tra tutte le pietre dure della vita / quella che briciola su briciola graffiai / da ragazzo e che ora pare / riposi architrave di questa casa. (Lo scalpellino, pag. 46)
I versi di Vaccaro non mostrano mai una vena nostalgica, nemmeno quando si rivolgono a ricordi infantili o agli affetti più cari: la loro forza risiede piuttosto nel desiderio di conoscere, di collegare il proprio pensiero e sentimento al mondo esterno, alle esperienze altrui.
“curava mio nonno un luogo un / giardino per me d’incanti e fatica. / Il mio braccio-mi disse- si sposa / qui con questa terra e polla d’acqua…” (l’ortogiardino, pag.32).
Lo sguardo del poeta è rivolto a se stesso ma anche verso il mondo: questo fa sì che la poesia diventi territorio condiviso, mai canto personale. Nella seconda parte del libro viene a delinearsi una modalità di scrittura più frammentata, vari stili si alternano producendo un andamento più discontinuo. Ci spostiamo da una parte all’altra del mondo, contemporaneità e personaggi provenienti dal mondo mitologico si sovrappongono, componimenti lirici si alternano a poesie dal tono apertamente politico. In generale, in questa seconda parte, si accresce la coralità poetica già comunque presente nella prima.
“Haiti è un urlo-l’ultimo / di questa carne umana / macinata dalla macina / del dominio che decide / senza domande chi nel mondo / navigherà nell’oro o nella / merda” (Haiti è un urlo, pag. 140)
“appesi alle code dei saldi-bambini dietro / aquiloni d’affari d’oro-non siate troppo turbati / da bambini sventrati ammutoliti di terrore / sulla striscia di Gaza” (Il rosso e la neve, pag.138).

Ho incontrato Adam Vaccaro una sola volta, nell’occasione della presentazione di questo libro a Pisa, all’interno della rassegna degli incontri al Caffe dell’Ussero, curata da Valeria Serofilli. Durante quella serata, in cui si instaurò un bel dialogo tra il pubblico e l’autore, constatai quanto possa essere proficua, ampia e sempre nuova, la scrittura che nasce dall’urgenza di tradurre in canto un pensiero ricco e profondo. Siamo, in questo caso, di fronte a un autore che possiede sia un’ampia cultura, resa duttile e sfaccettata da una profonda conoscenza filosofica, sia amore per l’esperienza, per l’osservazione delle situazioni esterne.
Vaccaro sperimenta direttamente il mondo, lo sente sulla sua pelle, e avverte la necessità di trovare un canto che stia al passo col pensiero. Un pensiero che non si chiude in sé ma che si articola e si arricchisce osservando il mondo esterno, e si corrobora attraverso il ricordo. Di rilevante importanza, all’interno della ricerca del nostro poeta, è il concetto di adiacenza: ossia un modo di accostarsi al mondo che renda possibile trovare connessioni e consonanze tra i numerosi fenomeni che formano la complessità della realtà. Credo che sia con questo spirito che Adam Vaccaro osserva la realtà in cui siamo immersi, e suppongo che i suoi versi nascano grazie a una particolare duttilità mentale unita a un forte ricerca di umanità.
Desidero concludere riportando alcune frasi di Vaccaro che ho trovato all’interno della rivista letteraria online “L’ombra delle parole”, curata da Giorgio Linguaglossa, e con alcuni versi particolarmente luminosi collocati all’inizio della raccolta e che accolgono, all’interno di uno sfondo duro e difficile, il seme della vitalità del poeta.
“L’atteggiamento poetico è per me ricerca di ricchezza umana e di misura tra le polarità molteplici della complessità dell’esistente, tra le profondità del singolo e dell’immenso.” (da “L’ombra delle parole)
“bianche lenzuola stese al sole / così tanto accecanti da farsi / ali di un’anima che cerca / se stessa e nuova linfa di vita // ali lievi sui cardi e rovi secchi / che resteranno quadri bianchi / pagine da riempire tra suoni / di voci perse ruscelli e uccelli…” (pag. 24).

Pisa, marzo 2019

Annalisa Ciampalini

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IL PERCORSO POETICO DI ADAM VACCARO

Gabriella Galzio

Nel processo individuativo di Adam Vaccaro appaiono subito fortemente intrecciati il percorso esistenziale e quello stilistico. Sul piano esistenziale l’Autore compie uno spostamento archetipico dalla figura di Ulisse a quella di Enea, in un arco temporale che va dal boom economico degli anni 50-60, con il conseguente sradicamento dalle campagne (e dalla sua Bonefro), fino alla globalizzazione innescatasi con la caduta del muro alla fine degli anni 80 e che avanza inarrestabile fino ai giorni nostri. Se in una prima fase, l’Autore si sente dunque Ulisse ancora rivolto a Itaca, man mano sarà Enea che guarda avanti in cerca di una nuova fondazione.
Vaccaro, come uomo e come autore, sa di essere pienamente dentro un epos, lo è sul piano della poetica, ma non lo direi altrettanto dichiaratamente sul piano stilistico, autore così lucidamente centrato sul tempo presente, per cedere alla tentazione di indulgere nelle memorie personali, o incedere risolutamente in direzione di una narratività epico-lirica (anche se nella seconda parte di Seeds Vaccaro toccherà anche queste corde). Nel suo percorso stilistico assistiamo piuttosto a un’evoluzione fatta di affondi in avanti e di recuperi della tradizione alla ricerca di una sua cifra nuova e personale.
Da una scrittura di versi brevi , sinceri, fortemente comunicativi (de La vita nonostante, che copre il periodo fino alla fine degli anni 70) si passa a Strappi e frazioni (fine anni ’70-97) che fortemente risente dello sperimentalismo della neoavanguardia, sia pure con una sensibilità particolare che affonda le radici in una cultura artigiana e contadina di umanità e coralità. Per dirla con le parole di Dante Maffia, il linguaggio, che da pacato e quasi rotondo agli inizi, diventa via via sincopato, con passaggi repentini di ritmo, di musica e con invenzioni che scardinano le consuete strutture della sintassi mentale.
Con La casa sospesa (2003), a mio avviso libro di snodo, Vaccaro ritorna alle radici di Bonefro e ci sorprende stilisticamente con la forte musicalità e ricchezza d’immagini delle sue poesie in dialetto molisano, si affaccia alla dimensione mitica e si apre alla dimensione dialogica nel confronto generazionale Padre/Figlio. Vaccaro è tornato sì alle origini, ma per prendere congedo; da un’Itaca che non esiste più, da un nostos che non ha più ragion d’essere. C’è già la distanza della fabula “C’era una volta Bonefro”, ma anche del “Ti ricordi Milano”. E con la narratività vi è una ripresa di senso, “cercando nel passato una strada che lo proietti dal presente al futuro”, a integrare fratture violente in un canto unitario.
Superati gli estremismi, e i grafismi, e talvolta anche le vacuità della neoavanguardia, la scrittura si ricompone per individuare un canto che lo avvicini a quella che lui chiama una “terza riva”, dove la parola sia materiale, corporea, e insieme lirica, la lingua si nutra di molte lingue, e dove la poesia incarni la gioia di vivere non disgiunta dalla sua funzione sociale. In Labirinti e capricci della passione (2005), la dimensione dialogica si accentua, si fa quasi teatralizzata nello slancio dell’incontro erotico e carnale, dimensione vitale, questa, che ha sempre accompagnato Vaccaro (anche quando metterà in versi la vicenda drammatica dell’amore tra il giovane affetto da SLA e la sua donna).
Infine, dopo una prima raccolta La piuma e l’artiglio (del 2006), occasione importante di ripensamento di tutto il suo percorso espressivo in un arco di più di trent’anni, Vaccaro perviene a una seconda raccolta stavolta bilingue, Seeds (2014) che, nella sua II parte (contenente anche molti inediti), risente dell’acutizzarsi della crisi sociale, e dunque appare ancor più fortemente orientata nel senso della critica della civiltà, fino a lambire la favola di Esopo, o a toccare quelle corde di narratività del mito che alla luce della neoavanguardia degli esordi sarebbero parse impensabili.

Milano, 12 marzo 2019

Gabriella Galzio

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