Musica/Poesia di Giuliano Zosi

Pubblicato il 28 aprile 2015 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Giuliano Zosi, Musica/Poesia, Sedizioni, Mergozzo 2014

Un libro che ripercorre il viaggio affascinante e millenario nato dalle relazioni tra le due arti.

Laura Cantelmo

Nella confusa fase storica in cui ci è dato vivere si torna a prendere in considerazione quel rapporto tra parola e musica che fin dall’antichità era costitutivo della poesia. Ci si chiede se i testi dei cantautori abbiano dignità poetica, si discute se dei versi di qualità, accompagnati dalle note di un buon compositore, possano felicemente raggiungere un buon esito. Spesso si separano le due espressioni, quella musicale dal testo letterario, come entità autonome che si fondono in una sintesi nella canzone.

Nello studio di Giuliano Zosi, noto compositore “sperimentale” e docente presso il Conservatorio di Milano, l’operazione di quella non facile relazione è analizzata al di fuori di ogni banalizzazione, in termini assai diversi: Musica/Poesia – una sbarra, un semplice slash separa ciò che l’Autore vive nel suo lavoro creativo come un unicum.

Per Zosi la sperimentazione è un impulso insopprimibile. La sua profonda cultura musicale lo spinge a ricercare nuove armonie, ad azzardare le disarmonie che nascono dalle lacerazioni  del tormentato mondo attuale che con l’Amleto shakespeariano ci sentiamo di definire “fuori squadra”.

Riflettendo sul proprio percorso creativo egli ripercorre la storia della musica nella relazione con la parola poetica a partire dall’antichità, individuando il filo rosso che ricongiunge la “poesia sonora” da lui coltivata con i grandi compositori del passato che hanno segnato la strada di quella  nuova forma poetico/musicale, sempre nell’ottica di una ricerca del nuovo, dello stupefacente, dell’emozione raffinata che magicamente confina con il mistero.

Dallo stretto legame con la rappresentazione orale, di carattere popolare o curiale, di aedi e rapsodi oppure dai versi dei trovatori provenzali e dei Minnesinger medievali di area germanica, fino al “recitar cantando” del Libro dei madrigali di Monteverdi (1605) si dipana quel sentiero che nelle Stagioni vivaldiane offre un nuovo codice linguistico costituito da parole che si fondono con l’armonia delle note, con il quale la partitura “traduce” le vibrazioni della natura nelle varie fasi dell’anno, mediante un uso sapiente degli strumenti. Poiché “compito fondamentale della musica non è tanto di descrivere immagini, bensì di cogliere emozioni dalle immagini e svilupparle” (pag. 9), ne scaturisce un’opera che elude qualsiasi rapporto di subalternità tra i due linguaggi, un’opera autonoma alla quale in Italia faranno riferimento compositori del secolo scorso della portata di  Malipiero, Dallapiccola, Petrassi e Nono.

In questo senso, dopo gli apporti degli oratori di Bach, una delle pietre miliari è il poema sinfonico Prèlude à l’Après-midi d’un faune (1894) dovuto alla stretta collaborazione tra Mallarmé e Debussy. Opera d’impronta totalmente innovativa grazie all’espressività che si plasma nella fusione della musica con la parola poetica.

Interessante notare quanto il capolavoro di Debussy e Mallarmé abbia tratto linfa dalla lussureggiante pianta offerta dalle relazioni d’eccezionale raffinatezza, dalle conversazioni e dalle letture di un salotto culturale, uno di quei salons che nella Parigi del tempo facevano germogliare e fiorire forme d’arte, linguaggi che lentamente avrebbero attenuato la diffidenza del pubblico, trovando faticosamente strada in tutta Europa verso la fine del secolo XIX.

Attraverso l’esperienza di un dibattito tra persone di notevole spessore intellettuale e culturale, mediante letture e suggestioni che si spingevano arditamente oltre i confini del linguaggio poetico, nella mente e nel cuore di Mallarmé germinava una nuova idea di poesia. A sua volta Debussy oltrepassava i canoni della musica contemporanea rivoluzionando le possibilità espressive di uno strumento quale il flauto, la cui melodia riesce misteriosamente, o forse anche mistericamente, a comunicare l’atmosfera incantata e sensuale del testo di Mallarmé.

In un clima del tutto diverso, nella Vienna di fine Ottocento, il giovane Schönberg componeva Verklärte Nacht (Notte trasfigurata) per soli archi, da una lirica del poeta Richard Dehmet. Una storia di carattere intimista profondamente sensuale, ispirata a una passione amorosa, manifestamente stimolata dagli interessi psicologici che permeavano la cultura viennese. Anche in questo caso la sintonia tra il musicista e il poeta è profonda, fino a  raggiungere l’immedesimazione con gli stati d’animo di quest’ultimo e cogliendo il mistero che è cuore pulsante di ogni testo poetico di valore.

Nella storia della musica occidentale l’uso della voce come libera espressione delle emozioni sulla scia di Monteverdi trova nel Lied tedesco di origine medievale un caposaldo fondamentale. I capolavori in questo ambito sono innumerevoli: anche se non si potranno ignorare le creazioni mozartiane in cui risuona la parentela con Monteverdi, in particolare in alcune arie del Don Giovanni, i massimi compositori di questa forma tipicamente tedesca sono Schubert, Brahms, Strauss e Mahler (che li inserisce all’interno delle proprie sinfonie).

Anche nel caso della composizione del Lied il fermento creativo dà i suoi primi segni all’interno della temperie culturale il cui fulcro sta nella illustre città universitaria di Tubinga, già nel Settecento sede di studio di pensatori dell’importanza di Hegel, Schelling, Hölderlin e in seguito centro di aggregazione di studiosi la cui riflessione su concetti come la libertà di vita e di pensiero diffusi poi da varie riviste in tutto il mondo germanico doveva approdare al Movimento romantico.

Il giovane Schubert ebbe a individuare con rara perspicacia la novità insita in quelle riflessioni che coinvolgevano il rapporto tra musica e parola poetica. L’esito furono seicento Lieder, canzoni la cui forma musicale riproduceva se non addirittura mimava il ritmo del metro poetico esprimendo al contempo l’ansia e il desiderio di libertà del Movimento e l’amore per la Heimat, con il recupero  dei cicli della mitologia nordica in quanto riscoperta della propria storia insieme al fascino della natura del territorio. Indimenticabile per gli amanti della musica il madrigale Gretchen am Spinnrade (Margherita all’arcolaio), scritto su ispirazione di un passaggio del Faust di Goethe nel 1814, a diciassette anni, in una sintesi straordinaria del testo cantato con le note eseguite dallo strumento. In generale il Lied sviluppa tematiche di vario genere, sempre adeguando la partitura al testo letterario, nel quale Schubert coinvolse alcuni tra i più grandi poeti romantici e lo affermò come espressione identitaria del mondo austro-tedesco, per il quale la musica non è semplicemente una forma d’evasione, bensì orgogliosa affermazione della propria tradizione culturale.

Dal Lied trarranno  energia vitale sia la musica da camera di Schönberg, con l’uso dello Sprechgesang (voce recitante come un cantato privo di intonazione) nel Pierrot lunaire , in cui il testo poetico è recitato come un canto, sia quella dell’austriaco Alban Berg che in Lulù (1937) elabora i versi  ricorrendo “agli stessi artifici del mondo dei suoni”.

Il secolo scorso vede anche nel nostro paese una fioritura di esperimenti nel campo della poesia sonora. Zosi cita il futurista Francesco Cangiullo, che nel 1922 compose poesie “parolibere”  (Golfo estivo: poesia pentagrammata) inserendo nel pentagramma parole al posto di note. Ma fecondi per il nostro Compositore appaiono soprattutto l’incontro e lo scambio con il poeta Arrigo Lora Totino, autore di Poesia liquida, (1968) in cui Zosi stesso troverà stimolo e ispirazione.

Tracciando la storia del rapporto Musica/Poesia emerge come elemento imprescindibile per la nascita della poesia sonora l’esistenza di una clima comune di discussione e di ricerca, di affermazione di sensibilità affini e condivise con un gruppo di appassionati di quella forma espressiva. In questo ambito nasce e prende ali l’esperienza di “poeta sonoro”, frutto di quel fertile rapporto di Zosi con Lora Totino, che nel 1980 giungerà a maturazione con Phonos, primo lavoro in tal senso, ricco di riferimenti a esperienze indiane di respirazione e uso della voce suggerite dai mantra. I Phonos che ne seguirono, nell’intento del Maestro dovevano dare linfa a una nuova espressione letteraria che attingeva all’inconscio collettivo, al mondo esoterico, facendone emergere, come nella psicoanalisi, elementi a volte inconfessabili.

Opere per voce sola, di grande difficoltà tecnica, a cui seguirono nei decenni successivi composizioni musicali intrecciate con ritmi e sfide vocali molto ardite, ottenendo un effetto teatrale di grande intensità emotiva, tra cui vanno segnalati alcuni brani classici di Zosi, quali Chirac (1996), Poema atomico (1997/2010) e Bunga Bunga Party (2011). In quest’ultimo è di innegabile impatto l’effetto satirico, favorito dalla sperimentazione di un pastiche linguistico mutuato dal giornalismo e dalla musica popolare.

I canoni della poesia sonora, come distinta dalla poesia lineare/letteraria, vengono quindi individuati dal Maestro Zosi in tal modo: la condizione primaria è che il compositore deve amare il testo poetico di riferimento, coglierne il mistero rispettando sempre il mondo interiore del poeta. Inoltre la poesia sonora si ascolta e non si legge (essendo fruibile unicamente in occasione di esecuzioni pubbliche, nella stesura viene stabilito il primato della voce). Per di più il poeta sonoro sviluppa il testo dando spazio all’improvvisazione fino a creare un clima ludico nel quale il pubblico è coinvolto in un’atmosfera che si può definire dionisiaca. Molti gli spunti derivanti da elementi multimediali, dalle canzonette popolari e dal folk, da proiezioni video, da luci psichedeliche, tutti fattori che, unitamente all’utilizzo di registrazioni su nastro di varia provenienza, tendono a porre in atto una importante sperimentazione volta ad arricchire la varietà delle tecniche compositive sia in ambito poetico che musicale: in definitiva ne nasce un evento scenico nel quale è preponderante la presenza del corpo, nella gestualità e nella voce, che impongono sottolineature al testo poetico. L’elemento di novità dovuto all’importante ruolo giocato dalla fisicità corporea, dall’uso della voce  contribuisce innegabilmente alla qualità dionisiaca della performance.

A questo proposito sorge la querelle tra apollineo e dionisiaco in poesia, allorché Zosi  attribuisce alla categoria del dionisiaco solamente la poesia sonora. Forse troppo schematico nella separazione tra le due forme creative, Zosi sembra negare che la poesia lineare possa presentare momenti dionisiaci, restando vincolata alla classica staticità apollinea. La discussione merita ampio spazio e profonda riflessione, non potendo esaurirsi in poche righe. Mi pare innegabile, tuttavia, che la poesia lineare non sia scevra da un forte elemento dionisiaco, si pensi per esempio a certi testi d’impronta surrealista, allo “sregolamento dei sensi” di Rimbaud, alla poesia dello Sturm und Drang oppure ai versi prodotti dalle avanguardie novecentesche. Ma il tema merita di essere sviluppato ulteriormente in altra sede.

Innegabilmente la spinta propulsiva delle avanguardie artistiche che aveva segnato una grande stagione creativa nel Novecento, consentendo spazi di libertà sovente eccessivi al verso, all’uso della parola, ha subito un rallentamento sullo scorcio del secolo, benché negli anni ’80 alcuni raggruppamenti di poeti ed artisti sia visivi che musicali si siano attivati promuovendo una proficua collaborazione tra le varie espressioni.

Durante quel periodo, in ambito milanese, ad esempio, importante fu il contributo della poetessa Antonietta Dell’Arte che riuscì a raccogliere un certo numero di artisti, tra cui Zosi, dando vita al Festival Poyesis Symphone. Successivamente, la collaborazione con poetesse quali Milly Graffi, Fausta Squatriti e altri artisti che si riunivano in Milanocosa condurrà Zosi all’approfondimento della ricerca nella direzione della poesia sonora. Come sempre quando si presentano nuove forme e modalità espressive, si registrarono difficoltà non indifferenti di rappresentazione pubblica, specie a livello delle amministrazioni locali, che si  mostravano a volte diffidenti e rifiutavano di “esporre” i cittadini a novità spiazzanti.

All’inizio del 2000 il Maestro Zosi incontra e fa amicizia con il poeta Adam Vaccaro, iniziando la collaborazione con l’Associazione Milanocosa, nata da un’idea dello stesso Vaccaro, che intendeva  favorire un intreccio di diversi linguaggi artistici, ricreando quel clima accattivante che in epoche ed esperienze passate aveva alimentato stimoli e suggestioni nella collaborazione tra esponenti delle varie arti.

L’incontro con Vaccaro si trasforma in un felice connubio creativo per la eccezionale sintonia sull’idea relativa al ruolo dell’artista già affermata dal poeta Antonio Porta, che ha consentito feconde riflessioni sul ruolo della poesia d’ispirazione civile. Non a caso la prematura scomparsa di Porta è stata avvertita nell’ambiente come una ferita mai sanata, anche se le sue riflessioni e le relative composizioni continuano a vivere come riferimento e ispirazione. Tra Zosi e Vaccaro nasce un legame artistico improntato alla critica della società contemporanea, alla sua indifferenza culturale e artistica marcata da un bieco mercantilismo, come già preconizzava Antonio Porta. L’Associazione Milanocosa conterà all’inizio un considerevole numero di iscritti, le cui adesioni si riveleranno purtroppo negli anni spesso poco attive e propositive, in triste sintonia con i tempi.

Tuttavia si costituisce un gruppo interessato e fortemente motivato di poeti, di artisti visivi e di musicisti la cui energia volta a resistere al conformismo e all’apatia generale condurrà ad eventi importanti come Contagio, progetto nato dall’iniziale parolamia e di cui Vaccaro sottolinea nella presentazione dell’evento che si tenne alla Fondazione Mudima nel marzo del 2004: “ha raccolto poesie e interventi teorici (vedi il sito www.milanocosa.it), che costituiscono un tessuto di voci e chiavi di lettura da più punti di vista e linguaggi. L’obiettivo era di far brillare (sia nel senso di illuminare che in quello di far esplodere) l’apparente senso individualistico del titolo, per far emergere quel cuore comune in cui ogni parola e segno sono nomadi ospiti di tutti e di nessuno.”

La riflessione e la creatività si mossero parallelamente fino al progetto Poièin (2005/2006), che vide collaborare un certo numero di poeti di Milanocosa insieme a noti compositori, tra cui Zosi, Luca Cori, Zanolini, Rocco Abate e altri al raggiungimento di una più pregnante fusione tra parole e musica con esiti emotivi davvero toccanti.

I versi convergevano, ciascuno in felice sintonia e convinta collaborazione, nel profondo della  composizione di un musicista che si sentiva attratto dallo spirito del testo letterario. Il concerto  avrà luogo in un primo tempo a San Donato Milanese e successivamente alla Palazzina Liberty di Milano, eseguito dal gruppo da camera Thema Ensamble diretto dalla pianista Rossella Spinosa.  Si realizza a questo punto ciò che per Vaccaro è un nuovo rapporto tra poesia e musica.

Nell’evento Canti e Discanti, tre incontri realizzati da Milanocosa nel 2008 al CAM Garibaldi di Milano, venne inserita una prima esecuzione di un’opera come Demain encore  (Cantata  profana), nella quale la sensibilità di Zosi relativamente a tematiche di carattere civile, a guerre e persecuzioni si è pienamente manifestata con martellante e ossessiva potenza nel suono e nei testi, relativi alla tragedia dei regimi totalitari e delle deportazioni nella Seconda Guerra Mondiale.

L’opera fu poi replicata, sempre con la collaborazione con Milanocosa, sia nel 2009 nella duecentesca Chiesa di San Cristoforo sul Naviglio in ricordo dell’11 settembre, sia con alcuni ritocchi anche nel 2014.

Il dato importante è la fervida partecipazione  degli Autori e dei Compositori, che ha richiesto un confronto personale da cui sono emerse in generale  affinità e comunione di intenti. Insomma quella misteriosa sintonia che aveva legato Mallarmé a Debussy.

Ne consegue che l’opera d’arte non può nascere se non all’interno di un milieu favorevole e ricco di fervide corrispondenze emotive, intellettuali, affettive, il che di per sé è un presupposto che si potrebbe considerare rivoluzionario nel liquido e frantumato ambiente in cui ci troviamo.

Una forma di resistenza che richiede molta volontà, un desiderio insopprimibile di umano scambio, perfino nella fase del più puro esercizio razionale. Restiamo umani potrebbe esserne il motto, frutto di ben altre esperienze storiche e sociali, ma che deve essere accolto e  profondamente condiviso nell’intimo di ciascuno di noi per preservare la nostra identità più profonda.

Ed è appunto quanto si percepisce da questo dotto e insieme intenso, coinvolgente saggio del Maestro Zosi.

Laura Cantelmo

Milano, aprile 2015

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