Dialoghi con l’altro mondo

Pubblicato il 6 luglio 2013 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Salvatore Contessini Dialoghi con l’altro mondo

La Vita Felice, Milano, 2013

Il libro di Salvatore Contessini rivela, già nella scelta della tematica: «Dialoghi con l’altro mondo», di aver alzato il tiro al massimo delle proprie forze; ma non è questo un limite, anzi è un punto di forza il suo; inoltre, non è un libro di metafisica applicata alla poesia, né un libro di poesia che intende parlare di argomenti metafisici, affatto, è un libro di poesie che dialogano tra di loro, una pluralità di voci che parlano: da una parte l’interrogante (l’autore), dall’altro l’interrogato (undici poeti morti suicidi: Saffo, Carlo Michelstaedter, Georg Trakl, Atonia Pozzi, Anne Sexton, Cesare Pavese, Amelia Rosselli, Stefano Coppola, Nadia Campana, Salvatore Toma, Claudia Ruggeri). È possibile questo dialogo?, direi che è possibile soltanto attraverso una finzione, attraverso la problematizzazione della poiesis: noi sappiamo, per averlo appreso nel corso del Novecento, che più la problematizzazione investe il pensiero (poetico) più il soggetto esperiente si rivela colpito dal tabù della nominazione.

C’è una oggettiva difficoltà, da parte del poeta moderno, a nominare il «mondo» e a renderlo esperibile in poesia; c’è una oggettiva difficoltà a scegliere l’«oggetto» della propria poesia; quale «oggetto» tra i milioni di «oggetti» che ci circondano?, e perché proprio quell’oggetto e non altri?. Che l’atto della nominazione si riveli essere il lontanissimo parente dell’atto arcaico del dominio, è un dato di fatto difficilmente confutabile e oggi ampiamente accettato, ma quando la problematizzazione investe non solo il soggetto ma anche e soprattutto l’oggetto, ciò determina un duplice impasse narratologico, con la conseguenza della recessione del dicibile nella sfera dell’indicibile e la recessione di interi generi a kitsch. Mai forse come nel nostro tempo la dicibilità della poesia come genere è precipitata nell’indicibile: voglio dire che una grande parte dell’esperienza significativa della vita di tutti i giorni è oggi preclusa alla poesia, per aderire al genere romanzesco della narratività. Direi che l’ordinamento borghese del mondo occidentale con il suo semplice prescrivere il dicibile, bandisce implicitamente tutto ciò che non è immediatamente dicibile nei termini della sua sintassi, del suo lessico e della sua concezione del mondo.

L’operazione di Contessini è semplice e acuta: instaurare un dialogo con i morti (il miglior modo per parlare ai vivi), è questo il suo modo per rendere dicibile ciò che è stato bandito dal dicibile, cioè l’indicibile, ovvero, il dialogo con gli undici poeti morti. Il dialogo con i poeti morti è propriamente la nominazione secondo Contessini. Direi che è questa tematizzazione «alta» che influenza il tono dell’intera opera e contribuisce in maniera determinante alla selezione del lessico; ma «alta» qui non equivale a «sublime» o «mistico», nulla di ciò interessa all’autore, quanto di mettere a fuoco, mediante la citazione di brani degli undici poeti, il problema cardine: ciò che separa il finito dall’infinito, la morte dalla vita, il di qua dall’al di là. Una volta instradata nel piano «alto», la dizione poetica non può più abbassarsi al piano «basso», il linguaggio poetico di Contessini mantiene una ingessatura, una rigidità che è consustanziale alla tematizzazione prescelta per via del fatto che la poesia sconfina quasi nel recinto del sacro, come nell’incipit del «Dialogo Quinto» con Cesare Pavese; qui è l’autore che parla:

Quello che ho avuto mi è parso sufficiente.

Ho decretato recinto della fine

con la superbia del sapere quando.

Ho buona compagnia all’intorno

per il sentito dire, ma non l’incontro.

Anche nel vizio assurdo di reputarsi logorato

sfugge il motivo dell’impresa

il senso di donare l’afflizione

il lampo che precede il tuono del metallo.

Dimmi di umori avanti al buio.

Certo, non è il piano minimale quello scelto da Contessini per i suoi dialoghi, né all’autore interessa porre l’argomento sul piano cronachistico, la tematizzazione del tema non l’avrebbe consentito. La sua poesia parla molto più dell’«oggetto» che non del «soggetto», è attenta al lettore, si indirizza al lettore, suo principio regolatore, ultima istanza regolativa: la fenomenologia del soggetto è qui dipendente dalla fenomenologia dell’oggetto.

Il logos problematizzato e figurato condiziona i modi di espressione della soggettività: ed essa finisce inconsapevolmente nell’imbuto della reificazione delle forme espressive e la formulazione del logos subisce il tabù della nominazione, che è quell’altra forma di dominio in cui si traveste l’ordinamento borghese della rappresentazione secondo i suoi valori e le gerarchie delle sue istituzioni stilistiche. Contessini si sottopone alla verifica di de-reificazione e di de-realismo che la tematizzazione della sua poesia gli richiede. A pensarci bene, è paradossale ma vero: la poesia dell’esperienza ha bisogno di un universo simbolico nel quale prendere dimora e di un rapporto di inferenza tra il piano simbolico e l’iconico; in mancanza di questi presupposti la poesia dell’io esperiente cessa di esperire alcunché e diventa qualcosa di terribilmente autocentrico ed egolalico: diventa la carnevalizzazione di se stesso, esternazione del dicibile sul piano del dicibile: ovvero, tautologia.

Se il senso della poesia manca, manca la poesia il suo bersaglio. Non v’è orientazione semantica senza orientazione del significato. La poesia esprime il senso che può, al di qua di ciò che intende e al di là di ciò che attinge. Il compito che oggi arride alla poesia dei «poeti nuovi» è appunto ricostruire una relazione tra il significato e il significante, ma in termini del tutto diversi rispetto a quelli che abbiamo conosciuto nel Novecento.

In un mondo in cui i rapporti umani sono diventati un problema tra gli esseri riprodotti come talismani magici e ridotti a vasi incomunicanti di un messaggio che è stato soppresso dalla prassi sociale, resta il problema di come sproblematizzare il problematico, di come figurativizzare il non figurativo, di come liberare le emozioni dalla cella dell’io che racchiude l’inautenticità generale nel mondo degli oggetti semiotici.

Oggi forse, dicono alcuni, è possibile soltanto una poesia dell’inautenticità e del falso, come il tinnire di una moneta falsa la poesia la devi lasciare nel suo brodo di intrugli e di piccoli trucchi per poterla rubare agli dèi?. Non così la pensa Salvatore Contessini il quale dice chiaro che lui nell’autenticità ci crede ed anche in una poesia dell’autenticità.

Giorgio Linguaglossa

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