La casa rotta di Annelisa Alleva

Pubblicato il 24 marzo 2010 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

La casa rotta di Annelisa Alleva, edizioni Jaka Book, 2010

Un discorso tenacemente abbarbicato al quotidiano – i numeri di telefono, le scale, il vento – e contemporaneamente squarciato scenario per l’intervento altrui attraverso cui irrompe il mito: “ e opponi il tuo vento che soffia e lancia/ frecce contrarie in direzione di Spagna”. Il quotidiano è reso imperfetto non solo da tale confronto, ma da una costante indagine che scopre macchie, peluria, malattia sulla superficie e dentro le cose. Non è che un passo e la voragine si spalanca: nulla è ciò che appare, tutto è in guerra con tutto e certo ostacola il cammino a chi vorrebbe costruire la propria felicità o almeno adattarsi a ciò che lo circonda.

Annelisa Alleva, nel suo nuovo libro di poesia “La casa rotta”, Jaka Book, ci consegna immediatamente il travaglio con cui intesse la propria poesia facendo letteralmente esplodere il quotidiano con intarsi di visionarietà che mettono a nudo un assemblaggio del reale non addomesticabile, non coercibile: “Aggràpati laggiù al Soratte,/ al gatto pezzato come una coperta/ lavorata a mano, a un braccio”. Non è poesia priva di spigoli e di asprezze, non vi è nessuna voglia di rendere meno crudele ciò che procura ferite lancinanti.

Sappiamo benissimo che è solo la sensibilità di chi recepisce a rendere il reale insopportabile o gradevole, amaro o accettabile e la capacità dell’Alleva di stravolgerlo e di piegarlo come un ferro incandescente, sorprende, proprio perché in grado di tenere bassa la tenzone, di lavorare la realtà frontalmente e di sostenerne i contraccolpi sferrando attacchi tramite un linguaggio piano quanto acuminato, a bassa voce diremmo, quanto potente: “Si ammaccano i tubetti di pomata sul comodino/ per strisciare carponi senza essere visti./ Le ciabatte – due frecce perse sotto il letto.”.

Vi è maestria nel tenere separati gli ordini del discorso, quello tematico (il racconto delle visite alla madre in casa di cura) e quello degli indizi (le medicine, il cuscino, il ventilatore) attraverso cui la spola poetica di Annelisa tesse passato e preveggenze, relazioni e dinieghi: due livelli separati, ma solo quello degli oggetti sembra essere la chiave di volta della creazione del senso, dell’accettazione. In ogni caso, il passato non è mai sopito, richiede continuamente di essere impiegato come un materiale di risulta appartenuto a precedente costruzione, e infatti nella sezione “La casa rotta”, vero e proprio palcoscenico ove gli oggetti si animano di vita propria: essi sono i ribelli che bisogna ricondurre a nuovo ordine o con cui semplicemente accettare di giocare a rimpiattino, creando nuovi ruoli.

Ma la calma e ferma voce dell’Alleva è anche veicolo di amore: accarezza gli utensili, costruendo storie che loro possano interpretare, favole tornitissime, che non amano gli orpelli, ma che investono di tagliente luce le cose, donando loro nuovo aspetto: “Guarda quella casa abbandonata/ con la bocca sorpresa spalancata/ e due scope morte ai fianchi/ accanto all’autostrada”. Amore che si manifesta anche nella volontà terapeutica di riparare ciò che rotto appare, di ripristinare con la propria voce poetica una realtà che presenta buche e ammanchi, ma a cui la poesia può restituire nuova apparenza. Scabra e porosa, certo, senza sconti, poiché l’Alleva è inflessibile con se stessa e con gli altri, eppure risanata realtà.

Rosa Pierno

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