Analisi e riflessioni critiche dopo Parigi

Pubblicato il 16 novembre 2015 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro

Selezione di alcuni articoli – da Famiglia cristiana, Manifesto e Micromega, oltre che da Pagine Online – che offrono analisi e riflessioni critiche sulle varie sfaccettature dei nuovi scenari aperti o accentuati dagli ultimi attacchi terroristici dell’Isis.

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Il terrorismo dell’Isis e le complicità dell’Occidente di Fulvio Scaglione

su Famiglia cristiana di domenica 15 novembre 2015

L’Isis è stato armato e finanziato dalle monarchie del Golfo con la compiacenza degli Stati Uniti e la colpevole indifferenza dell’Europa. Sappiamo quindi benissimo da tempo ciò che andrebbe fatto per combatterlo. Ma finora non abbiamo fatto nulla, e sono arrivate, oltre alle stragi in Siria e Iraq, anche quelle dell’aereo russo, del mercato di Beirut e di Parigi.

E’ inevitabile, ma non per questo meno insopportabile, che dopo tragedie come quella di Parigi si sollevi una nuvola di facili sentenze destinate, in genere, a essere smentite dopo pochi giorni, se non ore, e utili soprattutto a confondere le idee ai lettori. E’ la nebbia di cui approfittano i politicanti da quattro soldi, i loro fiancheggiatori nei giornali, gli sciocchi che intasano i social network. Con i corpi dei morti ancora caldi, tutti sanno già tutto: anche se gli stessi inquirenti francesi ancora non si pronunciano, visto che l’ unico dei terroristi finora identificato, Omar Ismail Mostefai, 29 anni, francese, è stato “riconosciuto” dall’ impronta presa da un dito, l’ unica parte del corpo rimasta intatta dopo l’esplosione della cintura da kamikaze che indossava.

Ancor meno sopportabile è il balbettamento ideologico sui colpevoli, i provvedimenti da prendere, il dovere di reagire. Non a caso risuscitano in queste ore le pagliacciate ideologiche della Fallaci, grande sostenitrice (come tutti quelli che ora la recuperano) delle guerre di George W. Bush, ormai riconosciute anche dagli americani per quello che in realtà furono: un cumulo di menzogne e di inefficienze che servì da innesco a molti degli attuali orrori del Medio Oriente.

Mentre gli intellettuali balbettano sui giornali e in Tv, la realtà fa il suo corso. Dell’ Isis e delle sue efferatezze sappiamo tutto da anni, non c’ è nulla da scoprire. E’ un movimento terroristico che ha sfruttato le repressioni del dittatore siriano Bashar al Assad per presentarsi sulla scena: armato, finanziato e organizzato dalle monarchie del Golfo (prima fra tutte l’ Arabia Saudita) con la compiacenza degli Stati Uniti e la colpevole indifferenza dell’ Europa.

Quando l’Isis si è allargato troppo, i suoi mallevadori l’ hanno richiamato all’ ordine e hanno organizzato la coalizione americo-saudita che, con i bombardamenti, gli ha messo dei paletti: non più in là di tanto in Iraq, mano libera in Siria per far cadere Assad. Il tutto mentre da ogni parte, in Medio Oriente, si levava la richiesta di combatterlo seriamente, di eliminarlo, anche mandando truppe sul terreno. Innumerevoli in questo senso gli appelli dei vescovi e dei patriarchi cristiani, ormai chiamati a confrontarsi con la possibile estinzione delle loro comunità.

Abbiamo fatto qualcosa di tutto questo? No. La Nato, ovvero l’ alleanza militare che rappresenta l’ Occidente, si è mossa? Sì, ma al contrario. Ha assistito senza fiatare alle complicità con l’ Isis della Turchia di Erdogan, ma si è indignata quando la Russia è intervenuta a bombardare i ribelli islamisti di Al Nusra e delle altre formazioni.

Nel frattempo l’Isis, grazie a Putin finalmente in difficoltà sul terreno, ha esportato il suo terrore. Ha abbattuto sul Sinai un aereo di turisti russi (224 morti, molti più di quelli di Parigi) ma a noi (che adesso diciamo che quelli di Parigi sono attacchi “conto l’ umanità”) è importato poco. Ha rivendicato una strage in un mercato di Beirut, in Libano, e ce n’ è importato ancor meno. E poi si è rivolto contro la Francia.

Abbiamo fatto qualcosa? No. Abbiamo provato a tagliare qualche canale tra l’Isis e i suoi padrini? No. Abbiamo provato a svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi? No, al contrario l’ abbiamo riempito, con l’ Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell’ importazione di armi, vendute (a loro e ad altri) dai cinque Paei che siedono nel Consiglio di Sicurezza (sicurezza?) dell’ Onu: Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia.

Solo l’altro giorno, il nostro premier Renzi (che come tutti ora parla di attacco all’ umanità) era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico più integralista, più legato all’ Isis e più dedito al sostegno di tutte le forme di estremismo islamico del mondo. E nessuno, degli odierni balbettatori, ha speso una parola per ricordare (a Renzi come a tutti gli altri) che il denaro, a dispetto dei proverbi, qualche volta puzza.

Perché la verità è questa: se vogliamo eliminare l’Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi. Facciamoci piuttosto la domanda: vogliamo davvero eliminare l’Isis? E’ la nostra priorità? Poi guardiamoci intorno e diamoci una risposta. Ma che sia sincera, per favore. Di chiacchiere e bugie non se ne può più.

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Dopo Parigi: ripristinare il diritto contro il caos

di Domenico Gallo e Alfiero Grandi su Micromega di domenica 15 novembre 2015

I tragici fatti di Parigi, difficili persino da immaginare prima che accadessero, sono una dimostrazione eclatante della crisi dell’ordine pubblico internazionale e del fallimento delle politiche di potenza con cui, al termine della guerra fredda, le principali potenze occidentali hanno ritenuto di regolare le relazioni internazionali con la pretesa di sostituire la forza al diritto.

Dopo l’89 è stato sprecato il patrimonio di saggezza elaborato dalle nazioni che avevano sconfitto il nazismo e che puntava a creare un nuovo ordine internazionale in cui la pace era assicurata dal diritto.

L’umanità, nel corso della prima metà del secolo scorso, ha sperimentato con le due guerre mondiali, con Auschwitz, con Hiroshima, una vera e propria discesa agli inferi. Nel 1945 i leaders delle principali potenze alleate, per necessità storica, hanno deciso di chiudere la porta dell’inferno, sbarrandola con pesanti lastre di acciaio. Quelle lastre si chiamano ripudio della guerra, astensione dalla minaccia o dall’uso della forza nelle relazioni internazionali, eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, risoluzione pacifica delle controversie, cooperazione internazionale per lo sviluppo, rispetto del diritto internazionale, repressione di ogni violazione della pace, ricorrendo, come estrema ratio all’uso della forza attraverso una forza armata dell’ONU.

Il diritto internazionale, con le garanzie previste dalla Carta dell’ONU, costituiva il principale e più efficiente sistema di sicurezza collettivo. Il diritto internazionale dei diritti umani, fondato sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e le Costituzioni democratiche del dopoguerra operavano per il rafforzamento ed il rilancio del diritto internazionale e, quindi, della sicurezza collettiva.

La Costituzione italiana, traendo insegnamento dai tragici fatti della storia, coerentemente con lo Statuto della Nazioni Unite, aveva ripudiato lo strumento della guerra ed impegnato l’Italia ad operare nelle relazioni internazionali per costruire la pace attraverso la giustizia nel contesto del diritto internazionale.

A partire dalla prima guerra del Golfo nel 1991, il diritto internazionale è stato brutalmente calpestato ed è stato abrogato il sistema di sicurezza collettivo bastato sul diritto e sul ruolo di mediazione e di garanzia dell’ONU. Le nazioni che avevano in mano le chiavi della forza le hanno utilizzate per imporre i propri interessi nazionali al di fuori di ogni contesto di giustizia. In questo modo è stata avviato un percorso verso il caos, che ha raggiunto il suo massimo sviluppo con la nascita ed il radicamento dell’Isis.

Gli eventi di questi giorni sono una tragica conferma che non vi può essere sicurezza collettiva senza diritto.

Occorre ripristinare i principi di pace e giustizia e le garanzie del diritto internazionale attraverso l’intervento dell’ONU, occorre ricostruire l’unità fra le nazioni che sconfissero il nazismo per ripristinare i principi ed i valori del diritto internazionale, a cominciare dall’inviolabilità delle frontiere e dal dovere di reprimere il genocidio, nel rispetto del diritto internazionale e con le sanzioni previste dal diritto internazionale.

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“Hollande paga il sostegno sistematico ai terroristi” intervista di Giuseppe Acconcia

sul Manifesto di domenica 15 novembre 2015

Abbiamo raggiunto al telefono a Parigi, Samir Amin, filosofo ed economista, direttore del Forum del Terzo mondo, con sede a Dakar, per commentare i gravissimi attacchi jihadisti che hanno colpito la capitale francese venerdì notte.

Quali sono le cause degli attacchi terroristici a Parigi?

Era un evento atteso. Finché le cose vanno avanti in questo modo in Siria non si tratta certo di una novità. La responsabilità più grave delle potenze occidentali è di fare del presidente siriano, Bashar al-Assad, il problema principale. E questa strategia ha la conseguenza che ad essere sostenuti dalle potenze occidentali, inclusi Turchia e Qatar, siano i jihadisti. Tutti gli estremisti dovrebbero essere colpiti senza distinzioni. Invece ora la Francia paga anni di sostegno sistematico agli estremisti isliamici.

Ci sono responsabilità specifiche del governo francese e del presidente François Hollande?

La Francia è in prima fila, insieme agli Stati uniti in questa strategia. Pretendono che al-Assad sia il nemico principale. E così proteggono gli islamisti contro il regime siriano. Questa è una politica stupida perpetrata dalle potenze occidentali.

Eppure Hollande ha attaccato l’Is in Siria e i jihadisti hanno fatto riferimento a questo nella loro rivendicazione.

Li hanno colpiti appena appena. Tutti i gruppi terroristici in Siria sono legati gli uni agli altri. Non basta attaccare a fasi alterne Is. Bisogna sconfiggerlo. Questo non può farlo che al-Assad. Se non viene sostenuto l’esercito di al-Assad non si sradica l’azione dei jihadisti.

È quello che sta facendo la Russia di Putin. Eppure, non è vero forse che anche Mosca ha subito le reazioni dei jihadisti con l’attentato contro l’aereo sul Sinai?

Certamente, ma in quel caso la responsabilità del successo dell’attacco è da ricercare nell’insufficienza della polizia egiziana all’aeroporto di Sharm el-Sheikh.

Prima della cancellazione, il presidente iraniano Rohani avrebbe dovuto visitare Parigi. È questo uno dei motivi che spiega la tempistica degli attacchi?

Non conosco nei particolari i calcoli di questi terroristi. Di sicuro volevano danneggiare l’incontro programmato tra Hollande e Rohani. Il motivo che li avrebbe spinti a farlo è il sostegno che l’Iran ha sempre assicurato ad al-Assad contro i gruppi islamisti.

L’attacco di Parigi è avvenuto dopo la presa di Sinjar dei kurdi. C’è un legame con gli attentati?

Il presidente turco Erdogan sostiene l’Is perché vede nei kurdi in Iraq e Siria il suo nemico principale. Le potenze occidentali non lo criticano per questo e continuano ad avere buoni rapporti con Ankara perché la Turchia è membro della Nato.

Quindi Usa e Francia vengono colpiti da Is perché non sono abbastanza incisivi nel combatterlo, mentre Russia e Iran vengono attaccati per il loro impegno anti-Is?

Le diplomazie politiche occidentali, ma soprattutto Usa e Francia, hanno sostenuto e continuano a sostenere i jihadisti, pretendendo che si debbano fare delle differenze. Tra al-Qaeda, Is e al-Nusra non ci sono differenze. Appartengono tutti alla stessa famiglia, usano le stesse strategie e ideologie.

Qual è la differenza tra gli attacchi a Charlie Hebdo e al Bataclan?

Nessuna. Gli attentati di ieri sono su grande scala per numero di morti e feriti. È molto probabile che ci siano legami tra i jihadisti di Is e estremisti locali. Sono tanti i francesi arruolati da Is in Siria.

È possibile che anche i Servizi francesi abbiano permesso questi attacchi per mancanze nei sistemi di sicurezza o per connivenza con i jihadisti?

Non saprei. Al-Assad ha subito detto che con questi attacchi la Francia raccoglie i risultati della sua politica negli ultimi cinque anni in Siria. Può essere che una parte dei Servizi francesi si opponga a questa strategia del governo francese.

Come dovrebbe reagire Hollande?

Spero che riveda la sua politica estera in Siria anche se dubito che lo faccia.

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Per la sinistra terrorismo è una parola tabù

di Tonino Perna sul Manifesto di domenica 15 novembre 2015

Pochi giorni fa il manifesto ha pubblicato un inserto/dossier (da lunedì 16 sarà possibile anche acquistare il pdf sul sito, ndr), ispirato e curato da Norma Rangeri, dal titolo significativo “C’è vita a sinistra ”.

L’ho trovato molto interessante e ricco di spunti di riflessione, ma anche carente di un quid che non riuscivo ad identificare. Come se tutta la discussione fosse fuori dal tempo che stiamo vivendo perché non prendeva in considerazione qualcosa che ha modificato profondamente lo “spazio politico”, per usare una categoria di Bourdieu. Sentivo che alla nostra discussione mancasse non un tema, sia pure importante, ma proprio una dimensione che caratterizza il nostro tempo.

Purtroppo, adesso mi è chiaro: quel qualcosa che mancava, quella dimensione ignorata, si è tragicamente materializzata nella strage di Parigi, un vero e proprio 11 settembre per l’Europa. Questa forma di terrorismo ha un impatto devastante sulla popolazione europea, crea un panico generalizzato, un senso di insicurezza tale che si traduce sul piano politico in una richiesta pressante di Ordine, Vendetta, Guerra.

Altro che politiche di accoglienza, che integrazione di immigrati, che società multiculturale, con questa orrenda strage cambia lo scenario politico europeo, spalancando un’autostrada per la cultura della Destra xenofoba, razzista e guerrafondaia. Che poi siano i governi socialisti o socialdemocratici a portare avanti questa politica non fa che aggravare la situazione.

Certo, lo sappiamo che l’Occidente ha praticato un terrorismo sistematico nei confronti di molti popoli del mondo, che i droni che uccidono civili in Afghanistan o in Iraq sono più buoni dei terroristi islamici solo perché non vediamo gli effetti di queste azioni: i media non ci fanno vedere donne e bambini massacrati, povere case sventrate e ridotte in macerie. Come nella striscia di Gaza, dove Israele ha compiuto veri e propri atti terroristici, con molte più vittime di quelle che ha fatto finora l’Isis in Europa.

E potremmo continuare, ma servirebbe a poco per convincere la maggioranza degli europei che la strada della guerra, che Hollande ha già abbracciato con entusiasmo per vendicarsi della strage di Charlie Hebdo e che oggi ripropone con più forza, ci porta verso l’autodistruzione.

Provate a convincere i nostri concittadini, quelli che non leggono il manifesto, che bisogna ritornare a una pratica politica di ampio respiro per sconfiggere il terrorismo.

In primis, isolando il governo dell’Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo che finanziano il terrorismo da molti anni, ed anche quelli occidentali che agiscono attraverso i servizi segreti. Allo stesso tempo contrastando il governo israeliano con tutti i mezzi — anche con le sanzioni — finché rimangono occupati i territori palestinesi, e poi sostenendo tutte le esperienze democratiche che tra mille difficoltà resistono nel Nord Africa ed in Medio Oriente, a partire da un sostegno forte e convinto al governo tunisino. Ci siamo già dimenticati della strage dell’Isis al museo Bardo di Tunisi che ha causato tante vittime e un danno enorme alla fragile economia tunisina: da quel momento le navi da crociera hanno saltato la tappa di Tunisi e complessivamente i flussi turistici sono crollati dell’80 per cento!

Un fatto è certo: il Califfato Islamico ha una strategia politica e usa gli attacchi terroristici come strumento per conseguire i suoi fini.

Di contro, l’Occidente risponde istericamente, accecato dalla sete di vendetta, non ha più una visione e una strategia politica, e ripete i tragici errori fatti dopo l’11 settembre in Afghanistan ed Iraq.

Come non si è mai sconfitta la mafia mandando l’esercito, così non verrà mai sconfitto l’Isis con le bombe.

Anzi, i bombardamenti occidentali, colpendo tanti civili innocenti (i famosi “effetti collaterali”) fanno crescere l’odio e la sete di vendetta dei parenti delle vittime, procurando al Califfato islamico un “esercito terrorista di riserva”.

Fare vedere che esiste concretamente un’altra strada per combattere il terrorismo islamico è oggi una priorità politica per chi vuole costruire un futuro diverso per l’Europa.

Questa è la più grande sfida per la Sinistra Europea nel XXI secolo.

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Tutte le fallacie del dopo 13 novembre

di Cinzia Sciuto su Micromega di domenica 15 novembre 2015

La riflessione dopo le stragi di venerdì scorso a Parigi deve fare i conti con dinamiche economiche, politiche, religiose e ideologiche complessamente intrecciate, e ogni riduzionismo è fuorviante. Ma di quali valori parliamo quando diciamo di voler difendere i “nostri” valori? “Nostri” di chi? Quelli della democrazia o quelli di Salvini?

C’è chi nelle ore successive agli attentati di Parigi di venerdì scorso ha avuto solo parole di ammonimento per coloro che, in maniera spontanea e immediata, hanno voluto manifestare la propria solidarietà e vicinanza al popolo francese con gesti simbolici – una foto su fb, un fiore davanti ai consolati francesi, un pensiero, una preghiera per i morti e i loro parenti. Tutti colpevoli – a detta di coloro che sempre tutto sanno – di ipocrisia: “Perché tutta questa solidarietà ai francesi, mentre ogni giorno siriani, iracheni, palestinesi, libanesi… vivono massacri ben peggiori?”. Un argomento infondato e cinico.

È come se, dopo una catastrofe naturale in casa nostra, non ci fosse permesso piangere, disperarci, commuoverci e magari rimboccarci le maniche perché “ogni giorno nel mondo quante alluvioni, terremoti…”, o come se non ci fosse permesso partecipare al dolore di un nostro parente ammalato perché “sapete ogni giorno quanti malati anche più gravi soffrono e quanti soprattutto nei paesi poveri muoiono anche per un raffreddore ecc ecc”.

Come non capire che questo argomento – apparentemente universalista – è invece alla base dell’individualismo più cinico? Siamo esseri finiti, la nostra empatia è strettamente legata alla vicinanza – fisica, ideale, politica, familiare – con le altre persone e il lodevolissimo tentativo di universalizzare questo sentimento di empatia fino a farci sentire anche l’essere umano più lontano da noi come un nostro parente può essere perseguito non certo negando quello nei confronti dei propri vicini, ma semmai partendo da quello.

Come non capire, poi, che per la stragrande maggioranza degli europei è uno schock ritrovarsi la guerra in casa? Dopo la fine della II guerra mondiale e con la costruzione dell’Unione europea, nei popoli d’Europa s’è diffusa la convinzione – l’illusione? – che la guerra in casa propria fosse ormai roba del passato, da leggere sui libri di storia, che i propri figli e nipoti non avrebbero mai più vissuto nel terrore. Non sorprende affatto che le reazioni a massacri come quelli di venerdì scorso siano improntate innanzitutto all’incredulità, al dolore, allo sgomento, alla paura. Sentimenti che non impediscono certo, a freddo, di fare analisi, porsi domande, cercare di capire le dinamiche economiche, sociali, politiche, religiose, ideologiche che stanno dietro alle stragi.

Tutte dinamiche dannatamente complesse e inestricabilmente interconnesse, sicché – con buona pace dei semplificatori di ogni risma – è impossibile ridurle ora a questa ora a quell’altra. Suonano davvero ingenui i dibattiti – e i nostri governanti ne sono maestri – che si focalizzano esclusivamente sul profilo ideologico-religioso del terrorismo islamico e che tutto riducono a un “è un attacco ai nostri valori, dobbiamo difendere il nostro stile di vita, non vinceranno”, senza fare minimo cenno alle dinamiche geopolitiche, alle scelte economiche, alle decisioni strategiche che sono state prese almeno negli ultimi quattordici anni. Non sono beceri complottisti a sostenere che l’attuale terrorismo islamista e persino la nascita dell’Is siano da ricondurre in ultima analisi alle scellerate scelte dei paesi occidentali nella gestione del dopo 11 settembre e in particolare alla guerra in Iraq: lo sostiene Toni Blair, che di quelle scelte porta una gran fetta di responsabilità.

Ma altrettanto ingenuo è pensare che la religione e le ideologie siano semplicemente foglie di fico per coprire dinamiche esclusivamente politico-economiche. Il riduzionismo economicista non funziona perché i moventi che spingono gli individui ad agire sono di norma un groviglio inestricabile di fattori tra loro molto eterogenei, in cui quelli religiosi e ideologici non sono pura sovrastruttura ma elementi capaci di operare direttamente nella storia, strettamente intrecciati ai fattori economici e politici. Lo dimostra molto bene la complessa condizione dei cosiddetti immigrati di seconda generazione, che poi “immigrati” non sono, perché nella stragrande maggioranza dei casi sono nati nei paesi dove i loro genitori sono immigrati, o vi sono arrivati che erano molto piccoli. Ebbene, queste persone, questi giovani, rendono palese che la costruzione della propria identità è un percorso complesso in cui giocano un ruolo fondamentale non solo fattori “di classe” ma anche elementi culturali, religiosi, linguistici che non possono essere sottovalutati.

Ecco perché il discorso sull’islam rimane fondamentale. Che “i musulmani non sono tutti fondamentalisti” è un’affermazione tanto vera quanto vuota. Perché il fatto che la stragrande maggioranza dei musulmani non sia fondamentalista non può essere argomento sufficiente per sollevare la comunità islamica dal prendere parte attiva alla lotta contro il fondamentalismo. La frase retorica “non tutti i siciliani sono mafiosi” – tecnicamente verissima – troppo spesso è usata per scrollarsi di dosso la responsabilità dei siciliani nella lotta alla mafia. Responsabilità che invece è anche (ovviamente non solo) di quei siciliani non mafiosi, che però con la loro indifferenza contribuiscono a creare il terreno favorevole per la diffusione del fenomeno mafioso. E lo dico da siciliana. Ecco, che i musulmani siano per la stragrande maggioranza pacifici e tolleranti non può costituire un alibi per l’inazione. Perché è comunque dentro la grande e frammentata e complessa e irriducibile comunità islamica che il fondamentalismo islamista trova in qualche angolo terreno fertile e spetta anche (ovviamente non solo) a quella grande e frammentata e complessa e irriducibile comunità prosciugargli il terreno intorno.

E veniamo infine a “noi”. È una guerra – si dice – ai “nostri” valori, al “nostro” stile di vita. Ma “nostri” di chi? Io e Salvini non abbiamo in comune nessun valore, nessuno stile di vita. Quali valori sono minacciati, i miei o quelli di Salvini? Sono in tanti, infatti, anche tra di “noi” che dei valori della democrazia (presa sul serio), della laicità, della libertà di pensiero, dell’autonomia dell’individuo, della sovranità di ciascuno sul proprio corpo, dei diritti dei lavoratori, dell’eguaglianza radicale di tutti i cittadini e via elencando farebbero volentieri carta straccia. E di fatti ogni giorno ci troviamo a dover condurre battaglie – in casa nostra – contro omofobi, clericali, iperliberisti, misogini e chi più ne ha più ne metta. E poiché la battaglia è costante anche appunto “in casa nostra”, non c’è alcun dubbio che l’accoglienza e l’integrazione non possono essere incondizionate – come vorrebbe un certo approccio multiculturalista – ma al contrario rigidamente ancorate ai valori costituzionali dell’eguaglianza, dell’autonomia, della libertà, la cui conquista – sempre instabile e precaria – così tanto ci è costata.

4 comments

  1. Carla Paolini ha detto:

    Grazie Adam, molto interessante il materiale che proponi che ci permette di riflettere meglio su temi che in questo momento non possiamo ignorare.
    Ciao
    Carla Paolini

  2. Adam ha detto:

    Grazie a te dell’attenzione e un caro saluto
    Adam

  3. giorgio linguaglossa ha detto:

    Prima di procedere con l’esposizione di questo redazionale proviamo a fare il gioco del Risiko sullo scacchiere mondiale in questo modo potremmo anche cercare di interpretare quanto accaduto a Parigi lo scorso 13 Novembre. Pertanto vediamo chi è amico di e nemico di. La Russia per retaggio storico e culturale è ancora un naturale nemico degli USA, la Russia tuttavia è ancora il partner energetico chiave per l’Unione Europea, quest’ultima alleata militare e culturale degli stessi USA: ricordiamo a tal fine la crisi in Ucraina e l’embargo occidentale verso la Russia. La Siria è uno storico alleato della Russia in Medio Oriente, le dotazioni dell’esercito siriano sono di derivazione sovietica, nel porto della città di Tartus è situata l’unica base navale russa che consente il presidio e la possibilità di intervenire nelle acque del Mediterraneo. Per la Russia questo porto di appoggio logistico e militare è più che strategico, direi quasi vitale, senza di esso infatti non potrebbero effettuare rifornimenti ed assistenza alle altre forze armate che dovessero essere collocate nelle coste del Mediterraneo o intervenire eventualmente in Medio Oriente. La Siria è inoltre alleata naturale dell’Iran per ovvie ragioni ideologiche, l’Iran per la sua recente apertura al mondo occidentale è in pieno contrasto con i paesi islamici di chiara matrice ortodossa, nonostante questo non può essere considerato un paese alleato agli USA. Quali sono invece i paesi ortodossi nel mondo islamico in piena divergenza con l’Iran ? In prima battuta abbiamo l’Arabia Saudita, il cinquantunesimo stato degli USA, ancora primo esportatore di greggio al mondo ed anche primo cliente della difesa statunitense.

    Oltre all’Arabia Saudita abbiamo anche il Qatar ed il Kuwait smaniosi di conquistare una fetta del mercato energetico europeo, soprattutto il mercato del gas. Sullo sfondo mancano ancora due importanti attori dell’area, l’Irak e la Turchia: il primo è un paese non allineato agli USA nell’area medio orientale (non penso che serva spiegarne le ragioni), mentre il secondo, soprattutto ora con la nuova governance di Erdogan, sempre più vicino a Washington ed i suoi alleati con in testa tutto il blocco continentale europeo. Ultimo l’ISIS, presente ormai per due terzi in Siria e per un terzo sul territorio iracheno. Sullo sfondo di fianco a questi attori troviamo il secondo e più ricco mercato dell’energia al mondo, quello europeo, che come molti sanno ha sempre avuto come principali partner energetici la Russia e la Libia (quest’ultima ora sotto assedio ISIS), entrambi in eterno conflitto con gli USA. Chi porterà il gas in Europa ed in che modo lo farà nei prossimi anni rappresenta al momento la principale sfida mondiale in campo energetico che coinvolge gli interessi di almeno una dozzina di paesi sostanzialmente schierati in due fazioni, chi sta con sotto l’egida di Washington e chi sta con Mosca. I principali esportatori di gas al mondo (escludendo gli USA) sono in ordine di riserve detenute Russia, Iran, Qatar e Arabia Saudita. Nello specifico il più grande giacimento di gas al mondo denominato South Pars North Dome con un potenziale estrattivo di oltre 50 trilioni di metri cubi è ubicato proprio nel Golfo Persico tra la costa qatarina e quella iraniana con una estensione di circa 10.000 km quadrati, il 60% dei quali competono a diritti di sfruttamento del Qatar ed il restante 40% all’Iran.

    Quali saranno le arterie che porteranno energia all’Europa, chi le costruirà e soprattutto chi le controllerà rappresenta una mossa di strategia geopolitica vitale per il controllo degli equilibri planetari nel futuro. Pensate solo ad un Europa che viene allattata da un partner amico della Russia (sempre più in sintonia con la Cina) piuttosto che da un paese alleato con gli Stati Uniti. Progetti di nuove pipelines (leggasi gasdotti) sono in gestazione da anni ed alcune sono anche andate vicine anche alla loro fatidica implementazione. Il più famoso è stato il gasdotto South Stream, che doveva unire la Russia all’Unione Europea, attraversando le acque territoriali turche, passando per la Bulgaria e la Serbia. Politicamente i leader che ne avevano reso possibile l’ideazione nel 2009 furono Putin, Erdogan e Berlusconi, mentre il consorzio di general contractor che si era impegnato alla sua realizzazione era formato da ENI (NYSE: E – notizie) , Gazprom e EDF (Parigi: FR0010242511 – notizie) . Tuttavia l’embargo commerciale dell’UE (richiesto da Washington) che venne istituito contro la Russia per la gestione della crisi ucraina portò come conseguenza l’abbandono del progetto da parte della Russia proprio un anno fa (Dicembre 2014). Sempre in parallelo, nello stesso periodo viene formulato il progetto di un secondo gasdotto, il Nabucco, volto a rafforzare la capacità di approvigionamento energetico dell’EU mediante un nuovo corridoio che partiva da Baku (Azerbaijan), passava per Georgia, Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria sino ad arrivare in Austria.

    Il Nabucco avrebbe dovuto rifornirsi non dalla Russia rispetto a South Stream, ma da più partners fra loro indipendenti come Kazakistan, Turkmenistan, Irak e Iran. Nel (Londra: 0E4Q.L – notizie) 2013 il progetto del Nabucco viene abbandonato per fare spazio al TAP (ossia il Trans Adriatic Pipeline), questo in considerazione degli elevati costi di realizzazione del Nabucco (quasi 8 miliardi) e dei rischi sistemici legati al transito del gasdotto in paesi non ancora garantisti e politicamente instabili. Il TAP porterà in Italia (con aggancio in Puglia nel territorio leccese) il gas proveniente da approvigionamenti nel Mar Caspio passando per Grecia ed Albania, questo vi fa capire l’importanza che riveste la Grecia per Washington. La realizzazione del TAP è stata formalmente autorizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico nel maggio di ques’anno come infrastruttura di pubblica utilità ed urgenza. Con il TAP autorizzato e destinato ad agganciarsi in Turchia ad un altro gasdotto, il TANAP ossia il Trans Anatolian Pipeline, possiamo finalmente inquadrare gli episodi di cronaca nera di Parigi. Per inciso TAP e TANAP rappresentano l’ossatura portante del Corridoio Sud del Gas, infrastruttura strategica per consentire l’accesso al mercato europeo a fonti energetiche diverse da quelle russe. A questo punto possiamo presentare il progetto di gasdotto avanzato da Qatar ed Arabia Saudita, denominato con molta fantasia in Turkey-Qatar Pipeline, il quale prevede un’arteria di collegamento tra i giacimenti estrattivi del Qatar, passando per l’Arabia Saudita, transitando per Giordania e Siria, con approdo in Turchia per collegarsi al Corridoio Sud del Gas di cui abbiamo fatto menzione prima.

    Sostanzialmente in questo modo vengono estromessi Iraq, Iran, Russia e Siria, quest’ultima che verrebbe ridimensionato non poco il proprio potenziale logistico. Nel 2011 il governo di Assad rifiuta il progetto di gasdotto proposto da Qatar e Arabia (immensamente sponsorizzato da Washington, ricordate sempre il ruolo dell’Arabia Saudita nell’economia statunitense) ed invece avanza e propone l’ipotesi di un secondo nuovo gasdotto denominato anche questo con grande fantasia Iran-Iraq-Syria Pipeline successivamente ribattezzato in Islamic Pipeline (caldamente sponsorizzato dalla Russia) in cui la Siria riveste un ruolo strategico nell’infrastruttura in quanto il gas arriverà nelle coste siriane e da lì mediante rigassificatori rifornirà le navi metaniere che andranno nei porti europei, mentre nel primo progetto il gas arriverebbe direttamente in Turchia, un paese schierato ed oggi alleato agli USA. All’Irak il progetto di Assad pare un sogno sia per i diritti di transito di cui beneficerebbe sia per lo schiaffo morale che potrebbe dare in questo modo agli USA stessi. A questo punto possiamo capire l’entrate in scena dell’ISIS (fatalità nello stesso periodo) e di chi lo finanzia ossia Turchia, Qatar, e Arabia Saudita, paesi che vogliono destabilizzare il governo di Assad per sostituirlo con uno compiacente in grado di avallare il loro progetto di gasdotto. Si tratta pertanto di una faida in seno a tutto il Medio Oriente il cui scopo non è più di tanto il denaro in sè, ma la sudditanza energetica dell’Europa e chi potrà controllare e governare questo rapporto di sudditanza. Gli USA temono infatti nei prossimi due decenni di perdere la loro egemonia valutaria (e per tanto il dominio su tutto) qualora dovessero perdere influenza ed ingerenza nelle scelte di politica energetica di paesi oggi partner ma domani forse. Gli attentanti di Parigi al pari di quelli di New York nel 2001 hanno smosso e scosso l’opinione pubblica tanto da osannare un immediato intervento militare nell’area in un momento di impasse che vedeva il fronte occidentale in difficoltà per il supporto ed assistenza sovietica. Solo dopo questo intervento potremmo capire quale progetto di gasdotto verrà imposto alla Siria, magari proprio quello voluto da Washington, rispetto a quello sponsorizzato da Mosca. Alla fine gli USA non fanno altro che proteggere e rafforzare sempre i propri interessi in ottica di lungo termine a scapito di altri paesi, tuttavia proprio come ha sempre fatto lo stesso Assad per il proprio paese.

    Eugenio Benetazzo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online

  4. adam ha detto:

    Commento ricco di elementi ulteriori che, al di là di ogni altro aspetto, fa capire cosa è in realtà in gioco dietro la passione e priorità “democratica” di Obama nei confronti di Assad. E dietro le contrapposizioni Obama-Putin, in cui l’Europa non è il terzo giocatore ma solo la buca in cui segnare il (proprio) punto. Su questo, al momento, l’appoggio di Putin al petto guerriero del tragicomico Hollande in cerca di credibilità, è la più lucida mossa del cavallo contro i giochi imperiali americani sull’Europa – che siano i Bush, gli Obama o altri in sella.

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