E.Busani

Emilio Zucchi – Transazione eseguita

Pubblicato il 27 ottobre 2019 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Emilio Zucchi, Transazione eseguita,
postfazione di Giuseppe Conte, Passigli Editori srl., Magno a Ripoli – Firenze 2019, pp.50

Il lettore deve essere grato a Emilio Zucchi per aver pubblicato la raccolta in parola, che nel panorama della poesia contemporanea offre ai predetti e agli artigiani del verso poetico un urlo: la poesia è un lacerto di voce che vola – o si dissolve – nelle obliquità sottili di una rete, unica agorà, che tutto raccoglie, cataloga, disperde. Il lettore, fin dai versi iniziali, percepisce un inferno rarefatto, notturno, anche se il lume è acceso. Un’immagine kafkiana diventerà la bussola del viaggio nella contemporaneità: un’esistenza orba – ammonisce il poeta – della società umana che si consuma, assorbendo frammenti di parole, di “luce dissonante/ sull’acqua lacrimosa”, mentre il pensiero rincorre i capitoli di un catalogo di spensieratezza sgargiante.
Il poeta parmigiano offre in queste sue liriche brevi – ad eccezione per una catalogazione storica di tragedie consumate – squarci di vita, che individuano anime e cose naufragate in una fanghiglia paludosa. I versi rincorrono il desiderio di ricordare, con l’auspicio di essere dimenticato, per poi confondersi tra pietrisco e calcinacci … umili materiali inerti mescolati “in fondo a un terrapieno/ ferroviario locale”; il lettore, nel silenzio della mente, condivide il bisogno della dimenticanza, perché essa si addice ai Poeti!
La dimenticanza è urlo senza voce che grida ciò che si è perduto nel trascorrere della storia e della cronaca. In queste liriche scarne non manca il dondolio armonico della follia che s’incarna nelle parole per concludersi con la banalità di una Transazione eseguita.
La raccolta poetica di Zucchi regala versi simili a frammenti di riprese cinematografiche, montate e poi smontate che narrano spasmi e sussulti, che si contrappongono, s’ignorano e si mescolano, confusamente: insonnia, mutuo, riduzione d’orario… Kiss and fly, Sharm el-Sheikh, selfie… Low cost e botox. Parole contratte, striminzite, senza respiro – forse – progetti di vita. Tra queste pagliuzze errabonde traspare il tradimento, forse un debito per una colpa, una moneta in cui le due facce sono l’eco l’una dell’altra, mentre tutto si consuma.
Nel pensiero, appaiono così le ombre bianche, in un vortice senza fine; baratri che si chiudono, che ingurgitano il tradimento e le lacrime.
La poesia, in questo grido, illustra e medita sopra un presente, che è vittima del delirio immobile che attraversa luoghi che cancellano la propria identità per seguire cartoline illustrate che dissimulano il vuoto riempito di nulla. Il mostro è vivo. La circolarità sembra non aver fine.
Edmondo Busani

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Edmondo Busani – Itaca non esiste

Pubblicato il 11 febbraio 2019 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Singhiozzi che denudano il ritegno
Adam Vaccaro

Edmondo Busani
Itaca non esiste
Diabasis srl, Parma 2015

Un Autore e un libro dallo sguardo lucido e a tratti livido, verso sé stesso e l’Altro. Graffi che vogliono incidere e lasciare il segno, sul proprio corpo, nella propria memoria e in quella altrui. Una ricerca espressiva che, nell’arte visiva richiama quella del grattage dei surrealisti. Max Ernst e Joan Mirò la utilizzarono come gesto teso a graffiare la pellicola superficiale per scovare strati e policromie materiche come forme dell’invisibile e dell’inconscio, moltiplicando le percezioni immediate del visibile. La tecnica venne successivamente sviluppata e affinata nel frottage (sfregamento), in particolare da Hans Hartung, con l’utilizzo di strumenti più disparati, non solo utensili appuntiti, ma anche pennelli particolari, rulli e altro. L’intento e il senso è di andare oltre la superficie, frammentare e insieme rivelare la pulsazione materica, il respiro cosmico e quel confine tra luce e ombra che normalmente ci sfugge.
I testi di Edmondo Busani fanno ricordare tali tecniche. Partono sempre dal tempo presente per poi sprofondare con tempi al passato – anche remoto – e aprirsi a visioni evocate da un dire che sa dire oltre il detto. Ne scaturisce una sorta di ansimare tra vuoti e pieni, un respiro trattenuto che poi si libera in singulti: “I singhiozzi denudano il ritegno/ / Un grido infernale gonfia il volto/ squassa le ossa consuma l’anima/ tace la parola”. Sul limite di parola e silenzio, “La luce si spegne senza rumore/ s’ovatta nello spazio/ l’accidente patito// Nell’orto la neve sbiadisce…”(p.16). L’ultimo verso segue dopo un doppio intervallo e il testo chiude con una immagine che, più che metafora, è allegoria, aperta (vedi i puntini finali) sul proprio stato interiore. Un graffio che scava sotto la pelle del visibile.
Lo stato interiore che viene fatto trasparire è un’ombra di luce che trasmette sensi di solitudine, di viaggio da fermo, di sguardo che guarda impotente. Ne dà ulteriore conferma il testo successivo di p.17, che merita di essere riportato per intero: “Ballano nello specchio/ del tempo le maschere// furono corpo erano cervello/ impasto di carne e nervo/ di muscoli e sangue// Vagano bianche le secche figure/ il timido passo lecca la vita/ la fiutano col moccolo al naso// Svagate si guardano/ sciamani giocano le carte/ propongono numeri/ fingono di dormire per non parlare…// i loro profili scarniti/ danno il braccio alla luna/ lasciano nell’aria un tanfo lieve/ sul tavolo un’aspirina.”
I puntini sono segno ricorrente, del limite tra detto e nondetto che questa scrittura cerca, per coscienza acuta e lezioni della stagione ermetica che sono diventati nucleo del proprio stile. “La debolezza/ sarà la carta vincente”(p.25) dice con autoironia che denuncia lo stato di blocco, ribadito anche a p.66: “Guardo la rotaia perdersi all’orizzonte…”, ma, “Resto in piedi all’entrata/ granello nella fila per l’altrove.”
Tra le figure cui dà corpo la trama del testo c’è sicuramente l’ossimoro, che tra graffi sull’infimo e tensione alla totalità sa rendere il respiro della materia cosmica e dell’universo (interiore ed esteriore), tra luci e ombre che si creano a vicenda – “il grido delle rondini rompe le parole/ le ombre scavalcano il fascio di luce/ per spegnersi nel cortile perlato”, p.37 – immaginando altri possibili orizzonti.
Sola vendetta possibile per chi “Rimane vincolato alla terra”(p.36), e quindi irride “Itaca non esiste”, fermo con la penna in mano, a cercare di dare conto della propria fragile sostanza umana, rotta e indifesa, nel rumoroso silenzio e vorticoso tempo fermo spacciato dal tempo presente.

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