Lettera di Alfredo de Palchi a Mauro Ferrari

Pubblicato il 9 novembre 2011 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Lettera aperta di Alfredo de Palchi a Mauro Ferrari

De Palchi è un autore e attore anomalo nel panorama affollato e ininfluente della poesia e della letteratura contemporanee, che vive in America ma è presente in vari modi in Italia. La lettera che segue ne è un esempio, e ho accettato di ospitarla sul sito di Milanocosa perché non ha obiettivi personali, anche se rivolta a Mauro Ferrari, con cui ho condiviso passione e amicizia, passi importanti e numerosi scambi. Ma credo, in particolare nel momento attuale denso di gravi problemi generali, che occorra privilegiare il confronto anche duro – come già fatto con precedenti forum – con il pensiero autentico e privo di remore di ognuno. Premessa, forse illusoria, per andare oltre i personalismi e i limiti del pantano anche culturale in cui siamo.

De Palchi è un poeta prezioso, capace di prese di posizione (anche discutibili) da cavaliere disarmato, senza calcoli e maschere. E’ un ragazzo novantenne che non pretende di insegnare, ma trasmette energia vitale e una carica di libertà che pochi – giovani e no – hanno. Questa sua lettera è un invito a dare vita a un forum di discussione sullo stato attale della poesia italiana.

Adam Vaccaro

…………………………………………………………..

Signor Mauro Ferrari,

leggendo la sua “Lettera agli editori e poeti” nel sito Puntoacapo che pubblicizza il primo numero di PUNTO Almanacco della poesia italiana, 2009–2010, mi accorgevo dal  tono delle sue frasi che avesse l’uguale dubbio che aumentava in me. La sua insistenza a ripetere quanta serietà fosse stata adoperata sulle varie selezioni dalla Direzione composta di tre poeti, mi ha fatto intuire un de profundis da mercante disperato, eppure sfacciato, che tenta di vendere a ciascun possibile lettore il duomo di Milano.

Per essere giusto con me stesso e con lei ho voluto vedere l’Almanacco. Non mi sono sbagliato. Appena osservate le sezioni II–Fare poesia e III–Alibi (qui l’occhio si è soffermato su L’inedito: testi insipidi e statici  che mi hanno fatto gridare il mio cinquantenne motto “se non si muove non è poesia”) ritorno alla sezione I–Il Punto. Appunto a quella che più  mi interessa per il momento. Chiaramente è sbilanciata. Non mi dichiaro sugli autori, immagino non colpevoli, fra i quali tre hanno pubblicato le loro selezioni con Chelsea Editions, e nemmeno sul valore secondo la mia opinione (non di critico) che potrei rilevare senza errare delle opere loro recensite e considerate migliori delle annate 2009 e 2010.

Ho notato cinque titoli di Puntoacapo, nove di La vita felice, il resto spartito tra altri editori, più per connotazioni amicali, editoriali e mercantili che estetiche. Altri prima di me avranno notato il discredito ma non le diranno mai quello che realmente pensano. Ammetto che la Redazione selettiva con la trasparenza si dichiara irreprensibile. Comunque, ambedue le Redazioni, oltre a incanalare acqua ai propri mulini, puntano sul silenzio. Nessuno dirà niente per “diplomazia”, non si sa mai, tanti sognano la stalla. . . Ecco una lezione di serietà e di onestà a coloro che compilano antologie e almanacchi e primi a rappresentarsi. In cinquantanni di redazione Chelsea, rivista letteraria, non mi sono mai pubblicato; e che si direbbe se con la mia poesia e con i volumi di autori italiani in versione inglese pubblicati da me, Chelsea Editions, partecipassi ai due premi importanti per la traduzione dall’italiano che portano anche il mio cognome? Non avrò mai la sfacciata attitudine di omertà, di insensibilità, di disonestà intellettuale dei miei connazionali.

Io parlo dal palco De Palchi e non solo per me. La sua lettera tenta di eliminare l’interesse, che si vede serpeggiare sotterraneo, della Direzione del Progetto, e quello abbastanza comprensibile ma non accettabile della Direzione di tre autori (nonostante lo spreco Gabriela Fantato ha la mia stima e la mia amicizia) con piccoli poteri nell’editoria. La selezione non è credibile. Si dirà che la mia ambizione è ferita, ma neanche appena, perché sono cosciente, e non sbaglio, che Foemina tellus è una delle opere migliori del 2010 per innovazione tematica e per forza drammatica; certo lo dico io che sono l’autore e ipocritamente dovrei non dirlo io ma posso permettermi tale affermazione e per l’età e per l’esperienza e per come sono stato trattato dall’Italia dal tempo di Sereni e Ferrata, di Cattafi di Erba di Della Corte e di Zanzotto, tra rari altri, che mi avevano apprezzato ma anche più che lusingato, e allora ripeto Foemina tellus le è ostica perché pubblicata dalla sua nemesis, Joker Edizioni e tanto per essere chiari non a pagamento?

A questo punto il mio “PUNTO”  il mio secondo motto: ”Antologie di poesia che evitano di inserire il mio lavoro, e almanacchi che non considerano la raccolta Foemina tellus o altro di mio personale, valgono le miserie che antologizzano”. Anche di questa ingiustizia non sbaglio. Giacché menziono antologie, ritiro le poesie inedite richiestemi da un suo collaboratore che conosco in America,  da considerare per una possibile antologia Puntoacapo di poeti italiani in America. Le ritiro per due semplici motivi validi per me: non permetto che la mia poesia sia giudicata favorevole o sfavorevole da lei che non la capisce e, siccome già vacillavo, ora ho la perfetta occasione di non permettere che mi si ghettizzi dentro una gabbia. Esisto anche senza antologie.

Sicuramente non prevedeva una risposta simile alla mia, però lei ha firmato una lettera che offende poesia e onestà intellettuale.

Indignato,
Alfredo de Palchi

10 comments

  1. MAURO FERRARI ha detto:

    Stimato Alfredo De Palchi – e le assicuro che l’aggettivo è usato a ragione – mi sorprendo a non essere per nulla “indignato” dalla sua virulenta lettera e delle accuse personali e no che lei muove.
    Non sono indignato perché la apprezzo come poeta e persona, (e Roberto Bertoldo, per citarne uno, sa come parole ho parlato della sua antologia, che avevo definito il libro dell’anno); non sono indignato perché so prendermi le mie responsabilità e perché so quanta passione e quanta serietà siano dietro al progetto di Punto e chi ci ha lavorato – i direttori, ma anche ogni singolo collaboratore: tutte persone che per due anni hanno raccolto titoli da vagliare (e leggere, attenzione, e discutere), idee e proposte di ogni tipo e hanno accettato una tale mole di lavoro ben consapevoli che un’opera del genere, specie all’inizio, sarebbe stata sotto gli occhi di tutti e più che mai esposta a ogni sorta di critica, benevola o malevola.
    Potrei dirle della mole di discussioni e analisi, dei riscontri positivi, dei dibattiti suscitati nelle numerose presentazioni in tutta Italia, persino delle vendite che sono andate oltre ogni previsione, delle pressioni di questo o quell’editore per includere un titolo o un nome, o anche – ed è la cosa che più consideriamo importante – dell’attenzione con cui si segue la preparazione del n. 2. Cose ovvie, che non mi interessa sottolineare perché chi le nega semplicemenmte è in malafede; come è inutile dire che nessuno ha avuto o avrà mai la benché minima pressione per acquistare copie o che altro – il che demolisce il suo penoso tentativo di farmi passare per un trafficante…
    Del resto lei non conosce direttamente né me né puntoacapo, e potrei persino spiegarle documenti alla mano come il termine “nemesi” sia singolarmente distorto, ma anche qui servirebbe solo se avesse una conoscenza diretta di certi fatti – e se l’avesse, la spiegazione sarebbe inutile, perché comprenderebbe tante cose.
    Non ho nessuna intenzione, presami la mia responsabilità della scelta finale anche con pareri contrari, di trasformare questa in una querelle fra di noi: ho passato venticinque anni a promuovere la poesia, lavorando non di rado contro tutto e tutti, spesso rimettendoci di tasca mia – e chi mi conosce lo sa. Lei sottolinea il numero di titoli attribuiti, nella lista di recensioni, a certe case editrici: diciamo subito che, fatta la tara degli inevitabili errori critici, e della non conoscenza di certi titoli (alcuni già inseriti nella lista dei recuperi del n. 2), sono convinto che questo corrisponda alla situazione della poesia in Italia, non solo in relazione a puntoacapo e La vita felice.
    Per inciso, posso dimostrare come proprio io abbia proposto di NON includere i “nostri” titoli fra quelli recensiti, spiegando la scelta in una nota; e come la lettera sia non solo mia, ma della direzione congiunta. Ma cosa servirebbe, se uno è mosso da malanimo?
    Ha notato quanta attenzione è stata data alla piccola e piccolissima editoria, ai titoli di difficile reperibilità, agli autori meno noti, esordienti, non gravitanti intorno a Milano? Avrà anche notato come, al contrario, nessuno possa dire che ci sia stata un’attenzione speciale per la grossa editoria – anzi. Questa è una delle caratteristiche più apprezzate di Punto, in effetti, che ci permette di presentarlo a Roma o in Puglia senza subire critiche di milanocentrismo. Del resto, i collaboratori provengono da ogni parte d’Italia, non ci sono state preclusioni di sorta e stiamo lavorando proprio in questa direzione – che non è esattamente quella che praticherebbe chi andasse alla ricerca di potere…
    La sua accusa di avere incluso i titoli “più per connotazioni amicali, editoriali e mercantili che estetiche” si rivolge quindi contro tutti i migliori libri dell’anno, o quasi, non le fa onore e offende non me ma tanti bravi poeti. Quanto all’altra accusa, di gestire un “piccolo potere”, mi perdoni ma non so neppure cosa significhi: sono reduce da una Fiera festival che mi è costata una gran fatica ma anche un migliaio di euro, tanto per… L’ho fatta perché andava fatta. E non credo che qualcuno dei cento intervenuti possa dire che ho maneggiato, fatto pressioni, proposto scambi o che altro. Certo, so bene chi le ha instillato questa idea di me, ma davvero non mi tocca, come è ben noto: non l’ho fatto come direttore di altre case editrici, né come direttore di rivista, né come poeta o operatore, né lo faccio ora che – se fossi diverso – potrei gestire effettivamente un certo potere, se non altro per il peso della casa editrice e il prestigio dei suoi progetti. Semplicemente, perché non so neppure come si faccia. Semplicememte, so bene che chi fa qualcosa commette anche errori, si fa dei nemici, non agisce mai in maniera inattaccabile. Mi scuso per quello che lei ritiene un errore critico, mi giustifico nelle mie scelte, ma assolutamente non accetto le sue critiche personali.
    Cordialmente,

    Mauro Ferrari

  2. Alfredo de Palchi ha detto:

    Gentile Adam,

    il “ragazzo novantenne” ripete a chi l’ascolta che ha un patto da compiere: vivere fino a 120 per aizzare i dormienti italiani a imitarmi. Non succederà.
    Ma ti assicuro che di anni ne ho appena 85, in dicembre.

    Grazie.
    alfredo de palchi
    New York, 10/11/11

  3. Alfredo de Palchi ha detto:

    Signor Mauro Ferrari,

    avrà notato che non c’è un’altra voce. Vale continuare? Per me, sÌ, se non alro per risponderle indirettamente e chiudere la faccenda.

    Nonno Carlo, anarchico di mente, inviso, con la famiglia completa alle fiamme dell’inferno dalla chiesa locale perché non si era di chiesa, mi istruì, che ero ragazzino, a guardarmi dalla ipocrita, credente, e vile popolazione del paese natale, e oltre. A 85 anni me ne guardo ancora, dovunque mi trovi. Perciò, sento sbrisciare giù per la schiena l’inimicizia quasi solidale dell’esercito di poetini–moreciole e di letterati trafficanti. Non mi pesa, è schifo. Forse questa volta sparisce il quasi.

    Nella melma letteraria predomina la pusillaminità. Nessun commento estraneo che sorprenda piacevolmente lei, Mauro Ferrari. Mi chiedo se ci sono dei fedeli alla linea Puntoacapo oppure a lei, editore. Indubbiamente c’è l’omertà mafiosa, la scomunica per chi s’intromette. C’è questo e c’è la psyche tarata da secoli d’impicci, etc.

    Si sa senza scandalizzarsi che il silenzio, si diceva d’oro, stona, come il testimone oculare che vede compiersi un crimine ma mente piagnucolando che non ha visto niente. Allarmato, nega “sono incensurato, mai stato neanche testimone”, eguagliando testimone al crimine, di psyche in ritirata; di ritirate secolari alla Caporetto che abitano ormai nel sangue con il falso contrario, sentito da balilla, “terra di santi di poeti e di eroi”.

    Avevo previsto sarcasticamente l’incosciente scatenato coraggio, lo spirito di eroi silenziosi, di “moreciola” in attesa di difendere lei, Mauro Ferrari, se lei li elegge poetini della scuderia. Ma lei dovrebbe adesso essersi convinto che i deboli tarati––con sentimentalismo alla “Cavallina storna”, con sospiri singhiozzi e pianti crepuscolari alla Corazzini––non faranno mai poesia, intanati dentro buchi, tra muri, nei solai, terrorizzati di farsi notare da una o dall’altra parte.
    Non una difesa per lei, nè un’accusa per me, o viceversa.

    Però le stesse moreciole si mostrano intrepide sparlando sottovoce di Maurizio Cucchi e probabilmente anche di lei. Nonostante io sia contrario ai criteri politico-poetici dell’odierno specchio mondadoriano e la Mondadori ricambi l’antipatia, Maurizio Cucchi e lei, Mauro Ferrari di Puntoacapo, siete onesti in quello che coltivate, lanciate, indicate, spingete su una strada poetica, convinti che sia quella giusta; sbagliate, non sbagliate, almeno credete di fondare una scuola nuova con poetica nuova. Io sono però convinto che quella strada, stettissima, e limpida come uno specchio a macchie antiche rifletta il mondo simil-natura morta, sia fallimento, ripetizione di canoni. Per ora non è presente e nè prevista nell’esercito di poetini la scoperta di un talento solitario che butti via i canoni lisi e consumati che voi inseguite.

    Ripeto che i poetini di ogni regione provincia paese e rione scrivono versi abbastanza puliti patetici sonori fiacchi vuoti. Ogni verso, pentagramma di una sola riga con la stessa nota bemolle una dopo l’altra; così lineare che ti conduce nella camera funeraria a sentire musica celestiale, quasi non udibile. A loro piace la parola morta, quindi l’immagine o la mente morta, quindi il verso morto, quindi la morte morta. Testi che non si muovono come la vita, quindi non esplodono trasfigurati in poesia. E certa critica in pompa funebre si sgonfia a vocaboli difficili, complicati, scartando la verità, il genuino, la trasformazione interiore della vita reale.

    Si smetta di sentimentalizzare, lacrimare, singhiozzare, e sospirare alla
    luna. E il paroliere che si azzarda a scrivere versi pseudo erotici, legga almeno un manuale, se c’è, e smetta di usare il bellissimo volgare “fica” senza darle un minimo di universo; è convinto di aver creato la femmina da una sua costola. Dico che i poetini non sanno dire la verità su nessun soggetto, tanto meno sull’erotico di cui si autorizzano maestri. Mi ricorda un amico di tanti anni passati che mi raccontava letteralmente ”ieri notte ho fatto sei scopate”, gli chiesi “ma lei se ne è accorta?”.

    Chi da una corrente e chi dall’altra, sa ridere dei pensierini puerili scambiati per poesia––e pubblicati? Si faccia coraggio signor Mauro Ferrari, e abbia fiducia in de palchi che le dice la folle verità. Dall’esercito non leggerà qui neanche una bugia. Le bugie le trova tutte nelle versioni in bemolle, e quando le parlano senza guardarla in faccia.

    Alfredo de Palchi
    New York, NY, 21 nov. 2011

    Nella melma letteraria predomina la pusillaminità. Nessun commento estraneo che sorprenda piacevolmente lei, Mauro Ferrari. Mi

  4. Adam Vaccaro ha detto:

    Questa lettera-commento di de Palchi è – per me – un ulteriore motivo per ritenere prezioso l’amico Alfredo, come poeta e come persona.
    E fornisce (anche allo stesso Ferrari) la conferma di quanto detto all’inizio, che la motivazione di fondo non era personale ma innervata nel dolore per lo stato delle cose, su cui incide poca poesia, mentre dilaga la glassa poetica che ricopre le miserie umane e le supponenze ignoranti incapaci di misurarsi con i nodi più duri della realtà.
    Il dolore di de Palchi per la pochezza e l’ipocrisia sono per me sale salutare che genera commozione e condivisione fraterna. E compensano la delusione per i silenzi furbeschi e accovacciati intorno.

  5. mauro ferrari ha detto:

    Caro De palchi, qui il pubblico e privato si fondono – stante appunto la discussione tutta interna fra di noi, e ciò che fratenamente ci siamo detti in altri messaggi privati -.
    Io credo che lei debba però valutare serenamente ciò che viene fatto e pubblicato da puntoacapo: mi ritrovo in buona parte in ciò che lei dice, sia nella parte destruens che in quella construens: che è poi quella per cui vale davvero la pena lottare, e anche serenamente litigare. Non sono per nulla un atrocinatore di quello che io – credio per primo, e dieci annifa – ho etichettato autobiografismo minimalista. La collana Format, del resto, ha detto NO a tanti poeti molto noti – per ospitare le operecomplete di Sannelli, Cappi, Bertolino, Baldassari, Annino, Ceni. E altri stanno arrivando, e oso dire tutti al di fuori del cicaleggio mainstream.
    La setssa atmosfera si respira nelle altre collane: cito fra i recenti (ma non vorrei offendere gli esclusi, faccio i nomi per me più evidenti per chiarezza) Marià, Neri, Grasso, Larocchi, Zoico, Bragaja, Castagna, De Santis. Noti o meno noti, direi che individuano se non una linea (cosa che un editore non può e forse non deve fare) alemno una poetica, un controcanone che è lontano mille miglia da ciò che leggo in Mondadori o Einaudi. Non è tanto un discorso di “qualità”, ma di “tipologia” del discorso poetico e delle sue finalità.
    Non la faccio lunga, i permetterò di inviarle una scelta di titoli.
    Un abbraccio, sperando di vederci e dicutere davvero a voce.

    Mauro Ferrari

  6. Alfredo de Palchi ha detto:

    Gentile Mauro Ferrari,

    mi congedo dai commenti muti e da quelli silenziosamente d’oro.
    Nessuna opinione importa, la mafia di ogni professione cambia per
    il pegggio e la sua opera per niente misteriosa è considerata normale
    onestà, e l’esercito di imbianchini di pagine bianche si adatta al
    sistema.

    Sulle raccolte di poesia scelte da “PUNTO-Almanacco della poesia
    italiana”––spero siano davvero le miglori delle annate 2009–2010––
    non ho emesso opinione perché non le ho lette, e non le leggerò per
    non doverle valutare contro la definizione migliori. Nel frattempo
    credo di aver perso un’amica, Gabriela Fantato, e guadagnato odio
    e inimiciza dovunque, ma è il rischio accettato volentieri.

    Infine, tanto per buttare fuoco nell’acqua inquinata, per quanti
    secoli ancora si deve imitare dolci fresce acque. Nessun
    epigono migliorerà l’originale di settecento anni fa, tanto
    meno con l’acqua inquinata del 21mo secolo gassata in bottiglia.
    Le auguro buona fortuna con Puntoacapo.

    Ringrazio Adam Vaccaro per avermi ospitato con le mie incursioni.

    Alfredo de Palchi
    28 novembre 2011

  7. anonimo per scelta ha detto:

    (…) Era capace di attraversare la città in bicicletta, dai suoi Navigli alla mia Porta Venezia soltanto per controllare un’ultima volta assieme a me un elenco di poeti da mettere in un’antologia o da invitare a una manifestazione.
    Non si trattava di perfezionismo, ma di un impulso profondo e naturale a non anteporre mai il rispetto per il suo lavoro (che pure aveva, e giustamente, acutissimo) all’attenzione per il lavoro altrui; lo stesso impulso che più d’una volta, parlando dei testi di altri poeti (l’ho sentito con le mie orecchie, e giuro di non aver sentito niente di simile da nessun altro) gli faceva dire: “Ecco, qui ha fatto meglio di me”.
    G. R.

    Personalmente auguro a Puntoacapo di continuare l’ottimo lavoro di scelta consapevoli che sono i lettori a dare valore alle loro pubblicazioni.

  8. Sono ex innamorata di Alfredo De Palchi quando era settantatreenne ed io bellezza quarantenne. E da innamorata lo lasciai dopo cinque anni per Cristo. Mi aspettavo furie, tristezze, accuse; niente, capì a volo e commentò “non si vince contro Cristo”. Mi insegnò tutto quello che ora so e ho, e tra altri due esempi maestri inerenti alla discussione come De Palchi la intuisce: cosa e come leggere poesia, e come amare con amore. Diceva che sarebbe un fallito se scrivesse poesia e amasse senza amore. Ed io sono testimone delle sue profonde qualità.
    Uomo gentilissimo, direi di classe, generoso verso poeti di molto più giovani che stima, complimenta e aiuta con pochissimo successo perché non ha alcun potere aldifuori di se stesso. Ho deciso di inoltrare la mia opinione di lettrice (non scrivo poesia, prosa, o critica) dopo aver letto il commento, preso in prestito, dell’ ”Anonimo per scelta” quando De Palchi si era già congedato dalla rissa.

    [. . .] Era capace di attraversare la città in bicicletta dai suoi Navigli alla mia Porta Venezia . . . Che meraviglia, senza bussola un Cristoforo Colombo milanese moderno! Chi si firma, “Anonimo per scelta”, ha estratto un paio di paragrafi da uno scritto di G.R., e non si accorge quanto ridicoli appaiono dal tono––le iniziali G.R. mi fanno presumere che il signore già abitante di Porta Venezia sia quello incontrato con De Palchi nel 2000; ma quell’ era capace. . . impressiona, si pensa a un coraggio fenomenale, a una impresa straordinaria. Purtroppo, il breve estratto descrive colui che andava in bicicletta a Porta Venezia, a giudicare versi stitici di poeti mediocri, fosse cosciente della propria mediocrità.

    .. . . “naturalmente la moreciola, come De Palchi chiama il topolino nel suo dialetto, appena il gatto smette di pazientare, esce dal buco ardita in cerca di rosicchiare, e dai Navigli sotterranei è capace di attraversare la città fino a Porta Venezia dove il collega l’attende per ascoltarla dire, sai, quella moreciola è meglio di me . . . mi si stringe il cuore di emozione per questa sua grande generosità anonima, gnerosità così dimostrativa da autoantologizzarsi con modestia nelle antologie di poeti migliori per primo e per forza partecipare alle manifestazioni. Veramente, mi si crepa il cuore che ciò si faccia anonimamente”.

    È una derisione. Ho appreso ironia e sarcasmo dal maestro De Palchi. Ma dal punto di vista espresso più volte anche per iscritto, De Palchi ha assolutamente ragione quando afferma che l’antologia in generale se non include del suo lavoro vale ben poco o niente. Vorrei indicare nomi inutili, sui quali forse De Palchi sarebbe o non sarebbe d’accordo, anonimi sia pure con nomi e cognomi. Io stessa sono anonima.

    Sappiamo che l’anonimato si addice a noi italiani/e: una volta le madri abbadonavano anonimamente i loro neonati nei buchi degli orfanatrofi ai portoni dei monasteri e delle chiese, spie anonime imbucavano accuse anonime nelle fessure speciali come oggi imbucano lettere anonime indirizzate a casa, ai giornali, e ovviamente ai siti. E da qui il balzo al ricatto è prossimo.

    Anonimo per scelta non fa valere o sentire la modestia che vorrebbe si accogliesse dall’estratto, e dal suo pedestre commento finale: I lettori. . .
    Probabilmente quelli dei fumetti.

  9. Roberto Bertoldo ha detto:

    Ho criticato a volte Alfredo de Palchi per la sua eccessiva aggressività e non condivido del tutto il suo giudizio negativo sulla poesia italiana di oggi, anche se condivido in pieno certe sue critiche che riguardano molti comportamenti presenti nel mondo letterario. Devo però, purtroppo, dargli di nuovo ragione sul fatto che c’è nei suoi riguardi un’emarginazione assurda e controproducente per la nostra cultura.
    In questi giorni ho contattato il sito “Le parole e le cose” per chiedere uno spazio nel quale presentare una lunga poesia di de Palchi in modo di permettere a tanti ottimi critici che frequentano il sito di valutare il valore storico e letterario di quella poesia (per la cronaca, “Un ricordo del 1945”. Ve la riproporrò a fine lettera). Ecco la risposta della redazione (non riporto il nome di chi ha risposto perché è stato comunque molto gentile): «Il nostro parere è il seguente: il materiale che ci manda in visione è certamente degno di nota, ma LPLC non è la sede adatta per pubblicarlo. Preferiamo infatti concentrarci su progetti di poesia contemporanea, legati al dibattito attuale; la sua proposta ci sembra avere un valore soprattutto storico, che sarebbe meglio valorizzato da riviste sensibili al recupero filologico e alla tradizione dell’avanguardia (penso a “Belfagor”, o al “Verri”)».
    Sarà vero, ma Belfagor ad una medesima precedente identica proposta non ha neppure risposto.
    Riguardo il punto di vista di LPLC, ecco a titolo esplicativo il mio rilancio andato a vuoto: «Capisco e naturalmente accetto la “Vostra” decisione, vorrei però ricordarle che Alfredo de Palchi è un poeta vivente che scrive e pubblica ancora poesie di innegabile valore letterario. Proprio perché vi interessate, quanto il sottoscritto, di poesia contemporanea, non potete negare, leggendo l’opera intera di de Palchi, che molti autori oggi gli siano debitori – e non sempre involontariamente. Non c’è nessun interesse distorto a proporre ai lettori di LPLC uno di coloro che hanno liberato la poesia italiana dalla maniera ermetica senza cadere nell’anaffettività delle avanguardie tout-court. Non voglio entrare qui in questioni tecniche, ne ho già parlato molto altrove, ma le assicuro che il poeta in questione è ancora oggi molto più contemporaneo dei tanti poeti che state pubblicando ».
    Negare ai lettori di confrontare la scrittura di de Palchi con quella dei poeti che il sito pubblica è un atto per me incomprensibile e che nessuna giustificazione, soprattutto quella datami, ha senso.
    Ora tutto ciò mi deprime non perché io ritenga vitale la questione, ma perché dimostra il disinteresse che gli scrittori hanno per la letteratura, al punto che alla fine dei puri epigoni vengono salutati come maestri. E mi deprime il classismo insito in certe operazioni. E’ evidente che la cultura italiani è sempre più in mano ad una oligarchia tale e quale a quella presente in ambito politico, finanziario, ecc.
    Se così non fosse, un certo ascolto si darebbe ad un addetto ai lavori che propone disinteressatamente uno scrittore apprezzato, quando era ancora uno sconosciuto, niente meno che da Vittorio Sereni. Sodale di Raboni, Erba e Zanzotto, e a mio modo di vedere superiore a loro dal punto di vista poetico, de Palchi è ingiustamente emarginato. E’ vero, lo sono molti validi scrittori italiani, ma se questo avviene è perché gelosie e rivalità e assenza di generosità umana e di onestà intellettuale e, aggiungo, di umiltà, fa sì che noi scrittori assai raramente peroriamo la causa degli scrittori di valore, quasi per timore che offuschino la nostra opera. Ma quando uno scrittore ha una propria spiccata personalità non deve temere di essere offuscato da un altro e se anche lo fosse lo sarebbe per una giusta causa.
    Mi scuso con Adam Vaccaro per lo spazio occupato, ma so che anche Adam è a favore della difesa della vera poesia.
    Ecco la poesia, mi piacerebbe leggere i commenti, pro o contro, dei lettori. La faccio precedere da due righe introduttive.
    Alfredo de Palchi, nato a Verona nel 1926, vive a New York. Questo testo del 1948, pubblicato da Mondadori nel 1967 in Sessioni con l’analista, su iniziativa di Vittorio Sereni e di altri importanti critici di allora (tra gli altri, Giuliano Manacorda, Silvio Ramat, Marco Forti, Glauco Cambon), testimonia l’originalità della scrittura. Naturalmente occorre storicizzarla: siamo appunto solo nel 1948, anni in cui l’epigonismo ermetico era diffuso; de Palchi anticipa, senza mai forzarle in chiave sperimentalistica, tecniche poi rivisitate dalla neoavanguardia.

    UN RICORDO DEL 1945
    (Procida 1948)

    1

    I vecchi mietono allori smistando
    carte, vino allegro di collina
    il dio dei padri assassini
    dio assassino
    e seguono a orecchio chi rincorre
    in sé creatura riversa sulla chitarra
    la parola: fumo della mente;
    la lingua lecca la parola
    suono crudo, lingue
    crude come fette di carne;
    corde danzano e dita sul buco empio,
    io gorgheggio vino
    sudore della terra, ruggine
    che rinsalda la vigna priva di rimorsi.

    Poi, berretti oscurano i volti,
    tre Tipi al tavolo:
    – il tuo nome? – a voce unita, senza febbre;
    l’occhio mi si placa sulle facce
    coni di nasi d’osso forti
    – come
    come ti chiami? –
    – Meche – (il mio nome);
    ecco l’intesa occhiata
    – esci con noi –
    io mi alzo finendo il bicchiere.

    2

    Abbassate serrande di botteghe
    alcuno rincasa a topo
    altri in fretta sbuca dal nero corridoio
    sgomento si ferma
    sul lastrico riprende fiato, lingua cruda,
    con più certo passo prosegue senza
    mai voltarsi indietro
    e scompare d’improvviso dietro l’angolo
    dietro la porta mille porte finestre cortine;
    si spia ci spiano mi spiano.

    Vie storte, schiarite
    da lampade ora rade, ai sobborghi
    pietrificata allegria d’alberi
    inghiottita dal ragno di cemento
    e notte vescica impura.

    3

    non parlano, io non oso
    a . . .
    ‘dove ma dove’

    ecco il luogo la casa,
    uno apre il cancello
    il secondo mi spinge mi spinge
    ‘ma la porta la porta’
    dentro la casa
    il terzo mi indica la sedia
    si tolgono le giacche, sudano;

    e il Capo – lo conosci? –
    – non lo conosco, mai visto –
    mai vista la faccia veritiera
    della foto, non so chi sia
    – non lo conosci, mai visto? –
    mi colpisce con mano potente
    – spogliati –

    occhi insistenti sulle ombre
    schiacciate con enormità sui muri
    bianchi muri,
    eccomi nuda, saccheggiata la pelle
    mia vescica impura

    la tavola sbarra l’uscio
    spostata la sedia
    nuda quanto me la stanza.

    4

    A cenno del Capo
    dai fianchi si tolgono cinghie grosse
    cuoio del dio assassino
    cuoio che cade, mani
    accarezzano il cuoio grosso largo, odore
    di animale seviziato di uomo odore
    di assassino;
    a labbra tirate di livore mi vengono
    alle spalle il mondo alle spalle
    il mondo cade,

    tremo paura o freddo
    febbre di mota, pallore tratto al volto
    e arsura in gola
    roccia da cui l’acqua dei millenni non sgretola
    il sale del mondo
    il mondo sale;

    parole suoni indistinti
    nell’orecchio, lontano brusìo, vicinanza
    di insetti e vermi
    insetti
    e vermi si domandano l’accaduto
    domandano la provenienza il nome

    – sono Meche, mi avete portato qui –

    ridono mascelle d’osso bianco,
    chiedo acqua acqua
    il Capo ride e porge la tazza
    – bevi –
    è acqua sapone e peli di barba.

    5

    Scendiamo al fiume, non una finestra
    accesa delle case oltre l’opposta riva
    – qui sei sotto il ponte
    e qui Meche incontrerai il fratello
    Meche da te ucciso –
    – incontrerò il fratello Meche
    da me ucciso –
    da qui si porta via, sradica il segreto
    il fiume che si dibatte a gorghi.

    Solo con la colpa, mia notte,
    bagnata terra:
    mi ci stendo, è refrigerio
    nelle bocche urlanti delle piaghe
    nella piaga della colpa;
    tra gli archi di acciaio
    l’alba della indifferenza e lume
    in me avrò da quel baluginare incosciente.

    Alba apatìa
    biancore che non mi schiara;
    il passato resta aggrappato
    e tra le sue maglie il sogno si arresta:
    presente paleolitico,

    ch’io sia e che vogliono,
    non ho amici da sempre
    se ho colpa, come posso
    disbrogliare l’incubo della notte
    quella casa
    la mia nudezza
    la casa.

    6

    Più alto il sole più grande il suolo
    e dentro l’acqua reti di luce;
    sulla riva opposta verdi persiane aperte,
    case sveglie, uomini scamiciati
    caricano ghiaia sulle barche
    fumano la sigaretta arrotolata,
    corre il parlare sulla pelle d’acqua
    contenente vita, pesce doloroso
    mortale emblema.

    Vuoto stomaco, doloroso,
    bocca storta per frenare
    rigurgiti di vomito
    pesce della mia esistenza;
    tre Tipi
    mi hanno dimenticato, no no,
    gusto acido in bocca, mi hanno
    chiesto il nome
    li ho seguiti e qui
    dove son nato già abbandonato
    il sentimento della colpa
    mi trascino dalla nascita che affievolisce,
    dio
    abbandonato
    assassinato
    assassino.

    7

    Il sipario alto cremisi
    scena in cui sono personaggio
    coltello arma cinghia
    cuoio odore di uomo
    animale la sua innocenza in fuga uccisa
    dio personaggio
    senza volontà, colpa
    che rimorde e si dibatte alla cinghia.

    Non posso non posso
    andare, aspetto
    oscura imposizione, scena che deve
    seguitare;
    e la pubblica sorpresa il padrone dio
    il soldo il suo sudore di miniera di sudore
    se me ne vado; i tre Tipi
    non mi hanno detto ‘resta’
    ma attendo il mio rifugio
    e non ho casa
    non amici
    aspetto e sono

    al mondo che cade
    nell’erba che cade
    al freddo che cade
    che mi rincorre il cane
    alba che cade
    pane pane che cade.

    8

    Cade l’ubbidienza
    su l’uomo, sul groppo della sostanza
    e non protetto
    solo in epoche malandrine
    leggi malandrine leggi
    di città cantieri navi soldi
    e case
    case
    muratori e mattoni
    soldi duri
    libertà dura uomo duro mattoni duri
    cantieri muratori mattoni
    tutti duri;
    ogni giorno affamato
    anni non sfamati
    ignoranza
    dio non sfamato

    a sedici anni lavoro
    notte ragazze
    ‘come sai di buono sei caro’
    ma odiato dai compagni ‘attento
    sono per noi, tu sei Meche’, nome
    già maturo sepolto nella polpa battuta
    ‘non vengo più’
    e mani bianche
    in mezzo la strada ch’io fuggo.

    9

    Campane di mezzogiorno
    erba matura piega
    un parlottare piega:
    i tre Tipi
    siedono, ecco pane e mela a forma
    di mondo a me
    che piego
    mangio silenzio il suo verme
    alla riva bevo silenzio,
    eco di sasso cade e cerchi si allargano
    si espandono nell’universo d’acqua
    il suo verme divora.

    In piedi attendono – andiamo –
    – son nato qui, mi ci avete portato
    consegnato, era
    notte della mia nascita che affievolisce –

    laggiù case strade uomini
    la delinquenza onorata, volumi di leggi
    la città informe, verme che si divora.

    10

    Li seguo, dicono e non capisco
    guardo case le vie, a dito m’indica
    la gente – hai ucciso –

    ma la verità è milioni di uomini

    ma sento questa colpa
    vedo la colpa alle finestre nelle strade
    nell’occhio insano dell’uomo,
    i loro passi felpati;
    in me cresce il rumore il volume della colpa
    l’irreale vittima
    e il senso diventa carne
    e cammina con me, dentro di me il peso della vittima
    si dibatte
    accanto a me si dibatte la vittima,
    fratello, bocca strappata, eguali;
    trascinano il colpevole,
    son io quello, e solo Meche riassume l’innocenza
    che non sopporta il peso; piccioni
    disertano la piazza
    noi svoltiamo ed ecco la campagna la notte
    la casa ci viene incontro.

    11

    Stessa stanza
    tavola
    sedia
    si tolgono le giacche, sudano

    – spògliati –
    mi spoglio
    – a terra –
    nudo a terra, piaghe aperte grumi di sangue,
    – girati –
    mi giro, petto senza peli bianco,
    – hai ucciso –
    giornale in fiamme alle ascelle
    – ho ucciso –
    cinghie cuoio pelle afrore di uomo
    segnano il petto
    e piccioni fuggono dalla bocca che offende,
    il dio assassino insiste
    – sì

    ho ucciso, basta! –

    mi nettano lo spirito delle piaghe
    non bevo acqua
    sul pavimento chiazzato dalle mie bocche
    ho vino e pane.

    12

    Città estranea
    senza nome di un fiore inodore
    priva di nome stabilito:
    case a un solo piano, eguali;
    su questa città
    non fumi, soffitti bianchi di calce
    mani devastate dal ghiaccio della indifferenza,
    finestre spente uomini in ozio, miserie
    collera, alte muraglie intorno agli edifici
    e crepuscoli di zolfo
    sulla città senza tempo e misura,
    uomini senza nome vestiti eguali di pelle
    impura, giorni di liti fame
    pane all’immondizia, sprezzante gesto
    della indifferenza.

    13

    Senza volto la città
    antichità senza storia;
    vicoli ciechi dove antico senza tempo
    l’uomo passa sulla pietra
    sulla propria escrescenza, a se stesso
    occulto come Meche
    come me maschera innocente
    colpevole conoscenza.
    La colpa innocente, il dio assassino bianco
    che fugge la colomba umile
    libera abitante di questa città di tutte
    le città dove vive
    chi uccide il fratello Meche sotto la sferza
    che cade
    come il mondo
    con le mie spalle a terra
    cade.

  10. adam ha detto:

    No, non ti devi scusare, Roberto, perché considero questo tuo commento un regalo, un bicchiere d’acqua nel deserto sia per ciò che richiami, sia per i versi di Alfredo che sono per me attualissime sferzate sulla faccia, nostra e del mondo che vuole o è capace di ascoltare!
    E’ un commento che ha anche una sua autonomia rispetto al dibattito precedente e ne faccio perciò un nuovo post.

    Adam

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