Anticipazioni – Francesca Farina

Pubblicato il 15 maggio 2019 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa

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Francesca Farina

Tre sonetti inediti
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Con commento di Adam Vaccaro

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Nota dell’Autrice
Si parla di un’orchessa, nel primo dei miei tre sonetti, a simboleggiare un eccesso di vita quasi spaventoso di cui è emblematica appunto quella gran “ficona” di cui parlo, come l’ho definita ironicamente utilizzando un linguaggio volgare per uscire dalle secche del petrarchismo vieto, nel quale si rischia di impantanarsi quando si usa una forma classica come il sonetto, appunto. Si tratta di una delle tante “super-donne” che ho intravisto, conosciuto, frequentato in una delle mille occasioni mondane, che si succedono spesso nelle nostre città. Una donna appariscente, insomma, sguaiata, senza alcuna remora o riserbo verso il prossimo, spesso assai ignorante, evidentemente ricca soltanto della sua fisicità.
A tanto eccesso di vitalità si contrappone negli altri due sonetti la scarsissima considerazione di cui gode la Poesia, che tocca la stessa scrivente, mentre sente su di sé sia l’esaltante sensazione di un surplus di vita che la abita, sia quelle premonizioni di estinzione che sono in ogni persona e in ogni cosa, perfino negli alberi, nelle rocce e nelle stelle.

Francesca Farina

Per un’orchessa.

La Bestia, la grandissima maiala,
Questa ficona che ti siede avanti,
Nascondendoti il mondo, spalla e fianchi,
Crinito il capo di bionda e spessa lana,

Si scoscia per il caldo, poi dipana
I suoi vestiti scrollandoseli dai lati,
Spampanandosi tutta per i canti
Della poltrona e tutta già dilaga

Per la sala infiammata dal suo corpo
Di balenessa sconcia ed infoiata
Senza ritegno nel domare le sue carni.

Sembra che sia la sposa di quell’orco
Della fiaba maestra e sregolata,
Divorando lo spazio con suoi panni.

*
Degli inutili e vani crucci.

Dimentica le tue piccole offese,
Quelle miserie dei poveri meschini,
I falliti, i rabbiosi, i manichini
Manovrati dal fondo dell’inferno!

Dimentica gli insulti, il lutto eterno,
Le frasi a mezza bocca, lo sconcerto
Simulato di fronte al tradimento
E guarda in faccia al sole: non la sciocca

Parola ti distrugga, il tuo governo
È dell’Angelo, adesso, che piumato
Ti sovrasta e ti mira dall’Empireo;

Presto ti chiamerà verso il fatato
Regno della tua gloria ed il martirio
Che hai sofferto negli anni è cancellato.

*
Lo sfacelo degli anni.

Corpi in sfacelo, orecchie che non sentono,
Occhi appannati, bocche assai impedite,
Pupille catarattiche, menti che non comprendono,
Gambe traballanti e poi spalle ingobbite,

Tutto si fa sfuggente, ne risentono
I sensi ottenebrati, le erratiche
Idee con tutti i segni che mentono
Della realtà, ormai inafferrate.

Ti cadono adesso i denti ed i capelli,
Gli organi interni marciscono, disfatte
Le facoltà vacillano ed i ribelli

Anni tuoi vissuti, eterna estate,
Crollano come frutti marcescenti
E si allontanano in pianto le tue fate.

*

Notizia biobiblio
Francesca Farina, nata in Sardegna, ha compiuto gli studi classici a Siena e quelli universitari a Roma. Nel 1998 ha pubblicato il volume “Framas”, “Fiamme” in sardo. Nel 2008 ha pubblicato il volume di poesie “Tragoedìa” per la Casa Editrice Zona. Negli ultimi anni ha pubblicato quattro plaquettes poetiche presso l’Editore Artista Claudio Granaroli: “Fleurs”, “Sonetti estremi” con Tomaso Binga, “Lai” e “Luoghi”. Il suo romanzo “Casa di morti”, pubblicato da Bertoni Editore, è risultato finalista nel 2017 al Premio Feronia-Fiano Romano, presieduto da Mario Quattrucci. Nel 2018 ha curato per l’Editore Bertoni l’antologia “Roma – Omaggio in versi” e nel 2019 “Il sole di Auschwitz – Poeti per la SHOA”, sempre per l’Editore Bertoni, Attualmente dirige la Collana di Poesia Miele presso Bertoni Editore. Il suo blog poetico-culturale è www.poeticontemporanei.blogspot.com.

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Nota di lettura
Toccare l’intoccabile, cioè la realtà. Ché, appena ne nomini uno scorcio – un sorcio, un cigno o un pavone – il nominato diventa altro. Ma la poesia degna del suo costitutivo originario sogno e bisogno di dare nome alle cose, siede su tale paradosso e crinale scomodo, che se non dà pace ai propri lombi, non si può evitare.
C’è nel tessuto dei versi di Francesca Farina questa coscienza di tale complessità che fa la forma della poesia. Nel primo testo c’è il disegno sarcastico di “un’orchessa”, “grandissima maiala”, del bestiario antropologico dei salotti mondani, che appare, sembra lì, presa, e poi sfuma in un alone di fiaba, “Divorando lo spazio”. È un personaggio che si fa allegoria del dire la difficoltà di dire, non eterodiretta ma posta qui e ora, nel mucchio di immondizie e menzogne spacciate dalla moderna platonica caverna mediatica, dalle sue ombre prese per realtà.
Nel secondo e terzo testo, come anticipa l’autrice anche nella nota di poetica, è la stessa poesia, o meglio l’arranco di chi non smette di cercare di farla – la stessa scrivente, esempio di autoironia, molto raro in tanti poetanti – nonostante “la scarsissima considerazione di cui gode” lungo le derive socioculturali in atto.
Ma non cede lo scatto e l’invito – nato proprio dalla coscienza di sedere su quello scomodo crinale – a non farsi incapsulare nei moduli piangenti “dei poveri meschini,/ I falliti, i rabbiosi, i manichini” del ”lutto eterno”. Resiste la fiducia che “Presto ti chiamerà verso il fatato” – castone della magia cercata di un verso fatato.
È tale ricerca che innerva la scrittura di Francesca, seppure tra “Pupille catarattiche, menti che non comprendono,/ Gambe traballanti”, “Tutto si fa sfuggente”, e “con tutti i segni che mentono”, “Ti cadono…i denti ed i capelli” e gli “Anni tuoi vissuti…come frutti marcescenti…allontanano in pianto le tue fate”.
Seppure, dunque, la favola si colora di scuro, l’arma che la poesia non deve deporre è lo sguardo impietoso, con l’unica consolante sorella della natural burella, data qui, non a caso, dalla scelta della forma sonetto.

Adam Vaccaro

One comment

  1. Paolo Quarta ha detto:

    mi verrebbe da dire “su, coraggio che la vita è bella comunque, con la cataratta o senza” ma sarebbe un commento vero e, nel medesimo istante, superficiale. certo, leggendo “L’orchessa” mi sembra di vederla espandersi ma anche lei, l’orchessa, ha un suo ruolo nella piramide alimentare. lasciamola lì, pervasa di se stessa e pervadente sugli altri (soprattutto, noi maschietti). e poi l’orchessa è tanta roba. nutriamoci di lei. è per quello che esiste e lo sa anche lei.

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