Anticipazioni – Franz Krauspenhaar

Pubblicato il 30 settembre 2022 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa

*****
Franz Krauspenhaar
Inediti 2022
***
Nota di lettura di Luigi Cannillo

***

Nota di poetica
Questi sono versi del patire e del riderne, dentro e fuori. Alcuni formano minerali, piante; altri, pensieri che sono grattacieli, e addirittura nuvole alte nel cielo. Senso di se’ e materia, mai pianto ma accettazione che non si spezza nella rassegnazione. Dove c’è lotta, le parole seguono.

Franz Krauspenhaar

Robivecchi

È celeste questo vino,
l’ho bevuto parlando al citofono
con un tizio nuovo, chiedevo
se per caso avessero un pc usato
da lanciare dalla finestra.
Le auto non passano più,
non trillano più telefoni, siamo
nel futuro senza termine, nel vago
mondo urbano. Sono passato la’,
dove ho vissuto l’intera vita; tutta
gente nuova, i vecchi erano morti
così come ero morto anche io.
Me lo disse
il portiere, disse che ero morto
trent’anni fa. Io dissi il mio nome,
e lui – pensando fossi un altro – disse
due volte l’enorme scavo del tempo.
Non ricordavo questo avvenimento,
a lui non dissi nulla, non mi avrebbe creduto,
era gentile nonostante le mie condizioni,
era uno straniero naturalizzato, teneva dentro
un abbraccio di residua umanità.
Gli chiesi se qualcuno del palazzo aveva
roba vecchia di cui sbarazzarsi, gli dissi
“sono un robivecchi”; ma lui non capiva
come un uomo, seppure malandato,
potesse occuparsi di cose vecchie, di cose
rimaste per anni in una casa senza scopo.
Mi disse che avrebbe chiesto, che mi
avrebbe fatto sapere.
Sono cinquant’anni che ancora aspetto.

*
Passaggio a livello.

Incatenato a Dio, una bandiera bianca
raccolta sul collo, come la sciarpa
di un condannato a morte, la fede
intatta nell’arte, che non vuole nessuno,
e nella vita, che molti disprezzano
e calpestano come la bandiera
di un nemico.
Ogni banco di terra un banco di nebbia,
la cera nelle strade, nemmeno fossimo
divenuti soldatini, sul pavimento di un bambino
del secolo passato.
Mentre le guerre fanno scorta di morti, come pile
di faccende da sbrigare in fretta, o come pile
di mezzi per sussistere, quasi la morte
fosse l’ultima salvezza, la nostra marcia
si fa fitta, in una neve invisibile, una neve
sistemata nel cuore, che sta al freddo
da innumerevoli giorni. Non sentiamo nulla,
nemmeno il cammino del sangue; forse
si è persino fermato a un incrocio, in attesa
del treno principale.
Al passaggio a livello delle nostre piccole vene
ferme, compatte e insensibili, resta ferma
la nostra vita, mentre il treno veloce
tarda a passare, diretto chissà dove.

*
Farsela bastare

Devi fartela bastare, tu, la solitudine
come compagnia, come alter ego,
come altalena e droga e alcol,
devi fartela bastare come a una gita
antica e sfocata coi tuoi genitori, la mamma
che prepara il pic nic, il papà che legge
il giornale, la Polaroid.
Non stare a misurare quanti rintocchi ha
la poesia, ora che la campana ha poco tempo,
e la poesia non conta più niente; è solo rabbia
stesa a terra, sfinita, dopo venti piegamenti
sulle braccia scolpite dai denti stretti del dolore.
Dipingi colori accesi nella doccia, dentro sangue
immaginato, nemmeno fossi in un film
d’assassini nell’acqua, il coltello mezzo
calato sul corpo, nell’ombra battente.
Nell’ombra fissa, ora, la tua solitudine, il tuo guaio,
ogni tanto la tua redenzione, se hai forza
per trovarla; laggiù, dove i ricordi si allentano
e la morte diventa ciò che è sempre stata.
Un miracolo, all’ultimo, per i torturati.

*
Il Carnevale prima dell’alluvione.

Vivo di carità, vivo di uccisioni, di notte, nel sonno,
di palazzi che crollano, di mendacia, di abominio
e panini al salame di Taiwan, vivo di speranze
che hanno cambiato nome, che hanno residenza
in un cielo, che guardiamo in cerca di una risposta.
Non sopporto più le parole difficili e i cori messianici
di quelli che vogliono spiegare la storia dei nostri
passi, sulla ghiaia bianca, una finta neve dei popoli.
Gente che legge Cioran come fosse un Vangelo,
per esorcizzare l’alienazione. La vita è morte
se chiudiamo gli occhi, altrimenti è altra vita, molta,
finché, beninteso, schiatti. Chi non crede al mondo
cieco dopo la morte avrebbe tutte le ragioni,
se però, almeno, una volta l’avesse intravisto. Appena.
Il sangue pulsa, le arterie si gonfiano, il mondo
sta per avere un infarto nell’est della carta
geografica.
Crediamo sempre in un inferno più umano.
Forse siamo ancora in tempo per arrivare
al prossimo Carnevale. Mi vestirei da temporale.
Prima dell’alluvione.

*

Nota Biobiblio
Franz Krauspenhaar, Milano 1960, è uno scrittore, poeta e musicista. Ha pubblicato finora vari romanzi, tra i quali Le cose come stanno (Baldini & Castoldi), Cattivo sangue (Baldini Castoldi Dalai) Era mio padre ( Fazi), L’inquieto vivere segreto (Transeuropa), Le monetine del Raphael (Gaffi), Grandi momenti (Neo.), Brasilia (Castelvecchi), La presenza e l’assenza ( Arkadia) e due saggi narrativi, su Francis Bacon e il calcio. Ha partecipato a varie antologie ed è stato, tra le altre cose, redattore dei blog letterari collettivi Nazione Indiana e di La poesia e lo spirito, del quale è stato uno dei fondatori. Collabora con la rivista letteraria cartacea Il Maradagal. In poesia ricordiamo la silloge Franzwolf (Manifattura Torino Poesia), Effekappa (Zona), il poema Le belle stagioni, il monologo poetico Biscotti selvaggi, la silloge Capelli struggenti, questi ultimi per Marco Saya Edizioni; e la silloge Nella foresta (Ensemble). Nel 2008 ha vinto il Premio Palmi Speciale per la narrativa con il romanzo Era mio padre ( Fazi, 2008.) Ha partecipato a varie antologie con suoi racconti inediti ed è presente nel Dizionario della poesia italiana 1945-2020 a cura di Mario Fresa (Società Editrice Fiorentina.) Opera anche in campo musicale con dischi digitali prettamente di musica elettronica con distribuzione Believe Music.

*
Nota di lettura
Questi inediti di Franz Krauspenhaar partono dalla percezione di un isolamento al quale arrivano le manifestazioni del mondo. Vivere/scrivere in uno spazio nel quale si generano immagini, parole in associazione libera rispetto alla realtà comune e alla consuetudine poetica. A volte potremmo considerarli brandelli di linguaggio onirico, nel quale la logica interna e i collegamenti non corrispondono a quelli più convenzionali. Percezione di un auto esilio, anche. Nel primo testo l’apertura è di tipo quasi surrealista, con l’associazione tra diversi elementi: il vino, il colore celeste e l’impulso di un bisogno. Successivamente il paesaggio diventa distopico e la necessità viene riferita alla percezione del proprio non-essere (vivo). “L’enorme scavo del tempo” ha operato una perdita e un ritrovamento di sé, uno smarrimento ben oltre la ricerca del PC, oggetto feticcio dell’era contemporanea. Anche in “Passaggio a livello”, titolo che richiama a una sospensione tra un prima e a un dopo, l’inizio punta su un’immagine fortemente rappresentativa, la bandiera sciarpa bianca. Si tratta di candore e di resa allo stesso tempo. Poi la progressione delle figure di morte e della marcia di resistenza, il divenire o l’essere divenuti, e l’espansione del bianco, nella neve, nel raggelarsi dell’energia vitale: “[…] Non sentiamo nulla/ nemmeno il cammino del sangue, forse/ si è persino fermato a un incrocio, in attesa/ del treno principale./” Si compie così lo slancio iniziale dell’immagine: da una prima sequenza più evocativa dal punto di vista sensoriale alla condizione del Soggetto, condivisa.
E al Soggetto si riconducono in modo più immediato gli altri due testi: Alla sua condizione di isolamento e di scrittura, là dove la poesia non è meccanica trascrizione ma visione, tensione, possibile redenzione: “Non stare a misurare quanti rintocchi ha/ la poesia, ore che la campana ha poco tempo”. E il tempo non è intervallo o sospensione, ma termine e sollievo: “e la morte diventa ciò che è sempre stata./Un miracolo, all’ultimo, per i torturati.” La notte è il tempo dato per attraversare l’incubo, il passaggio a livello incustodito. Allo stesso tempo in Krauspenhaar può manifestarsi un rovesciamento successivo, un dubbio ulteriore, anche nel rapporto tra Vita e Morte: “[…] La vita è morte/ se chiudiamo gli occhi, altrimenti è altra vita, molta,/ finché, beninteso, schiatti […]. D’altra parte l’autore stesso nella sua sintetica nota ai testi conclude mettendo in rilievo l’aspetto fondamentale della conflittualità come origine della scrittura: “Dove c’è lotta, le parole seguono.”
Negli accostamenti come quello dell’ultimo inedito tra Carnevale, temporale e alluvione entrano in gioco maschere e rappresentazioni del reale sviluppando di volta in volta effetti deformanti, paradossi, iperboli. Si tratta di rispecchiamenti e visioni nel segno di una scrittura al di fuori dei più facili stereotipi della poesia contemporanea, lontani dal minimalismo e dalla chiusa autoreferenzialità. Krauspenhaar mette in scena e in discussione, proprio grazie al proprio isolato osservatorio, gli aspetti più inquietanti e tragici del vivere comune. Lo fa con linguaggio parlato e colloquiale, nella successione delle sequenze all’interno del testo, in una versificazione disinvolta, al di fuori di ogni leziosità. Forse così la poesia può contare ancora: nel suo essere tagliente, nella luce della lama del coltello “mezzo calato sul corpo” che lampeggiando ci può mostrare uno scenario che non avevamo ancora considerato.

Luigi Cannillo

One comment

  1. Laura Cantelmo ha detto:

    Un percorso distopico quello di Franz, ricco di ossimori e paradossi che rappresentano con sarcasmo quasi diabolico l’assurdità del tempo attuale. Grazie a Cannillo che ha abilmente letto tra le tortuosità di questo lucido e insieme onirico labirinto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *