Scrittura e Letture

Prima – Gabriella Cinti

Pubblicato il 20 febbraio 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

L’Origine e l’Oltre il presente
Adam Vaccaro
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Gabriella Cinti, Prima, puntoacapo Ed, Pasturana (AL) 2022, pp. 122

Sono due i termini e polarità di senso che strutturano questo libro di Gabriella Cinti: Origine e Oltre. Origine con sensi che già sono intrecciati all’oltre, in quanto non riguarda l’origine del Soggetto Scrivente, ma la complessità costitutiva della vita, dalle sue forme elementari e minime a quelle più complesse, di cui è parte il percorso, umano, sociale e culturale dell’Autrice.
È una ricerca ambiziosa quanto affascinante, piena di domande sull’ignoto, che rimarrà ignoto, ma diventa materia di azione di un poièin che non si accontenta di giochi verbali, autoappagati e indifferenti al crescente accumulo di problemi insoluti nell’Altro da sé. Lo sguardo di Gabriella continua a tradurre in versi la sua ansia di conoscenza e di passione antropologica, entro una affettività che fa diventare presenze adiacenti anche evocazioni lontanissime: “Ninfa del Miocene/ chissà se piangevi?// Le viridate tue lacrime,./ il dolore scoperto nel sale sulle labbra, / a terra cadevano/ hai accolto così in te anche /il pianto delle tue sorelle di prima. // Trenta milioni di anni per assaporare/ il soffrire come un sapore…”.
È il primo testo del libro che trasmette ricchezza di sensi, preziosi quanto più navighiamo in un’ansa di storia che produce falsificazioni e indifferenze, orizzonti di ideologie e tecnologie transumane, deliri di poteri invasivi e poco visibili, liberazioni illusorie, impoverimenti umani ed economici, compresa la nostra capacità di comprensione e articolazione di senso:
“Bambina primate,/ cucciola di nostra forma./ Tra gli alberi batteva il tuo cuore,/ i tuoi denti sonori ritmavano il respiro/ in suoni di preparola.// E non so se piangevi,/ se capivi la musica della savana,/ la voce delle conifere,/ l’intelligenza del silenzio.// Ne so quanto te del mistero dei rami,/ delle foreste troppo spesso nemiche// Quanti milioni di anni/ ha la storia delle mie lacrime?” (pp.9-10)
Ma l’immaginazione del libro si spinge oltre l’arco di qualche milione di anni dell’antropocene sulla zattera terrestre. Un avvento che, con crescente impatto, fino al dominio trionfante contemporaneo, minaccia di ridurre questa zattera in rottami apocalittici: sarà questo lo sbocco inevitabile prima di un nuovo inizio di vita e di senso? O gli esseri umani riusciranno a ricostruire una speranza e un destino capace di invertire i rischi autodistruttivi attuali?
La passione e il viaggio inanellati da questo libro sono perciò tutt’altro che a testa indietro, dimentichi e deresponsabilizzati rispetto alle derive contemporanee. Il testo si inoltra nei moti del pendolo di oscillazioni millenarie, imperscrutabili e violente, e che nemmeno il supposto Dio creatore ha saputo costruire secondo logiche consone ai sogni di antropologie d’amore, francescane o di parallele utopie laiche.
Il libro dipana una sorta di cantico di incessanti domande che, pur rimanendo prive di risposte, per l’Autrice diventano motivo di ri-creazione e resistenza all’angoscia di un evanescente fantasma di umanesimo atteso, continuando a dargli forma e corpo con versi accesi e inarresi:
“Il mento nella mano/…/ busso alla chimica del cosmo,/ cerco luce di intelligenza astrale.” (p.13);
“Di questo viaggio – storia di ombre mutanti/ a cui dare voce – è il mio tempo” (p.77).
Il filo rosso è una instancabile ricerca di magia che ridà vita a momenti in cui “ubriachi di miele nella voce”, riusciamo a risalire come salmoni ossessi all’origine, a “risalire il tempo:/ lo stupore turchese dell’estasi.” (p.94), attraversando con visioni bambine le “Acrobazie delle specie” (p.95), in una Psicosfera (p.101) che “tra i gomiti dell’accadere”, ritrova “il pensiero della luce” (p-105), “briciole Pollicine” (p.104), “Di presenza in presenza/…/ amore ultravioletto// e incendio elettrico di rinascita.” (p.103).
L’alito cercato è il “Respiro biondo di rinascita” (p.108), bocca di Euglena, ultimo splendido testo, con cui Gabriella Cinti, chiude il cerchio con al centro il bisogno primario di conoscenza, vuoto assediato dal poièin, inappagato dalle false verità spacciate dal piccolo stantio orizzonte del presente. Il bisogno di aprire Altro e Oltre, perviene così a tale nome, Euglena,“(dal greco, ‘la buona pupilla’), fatta simbolo di luce di intelligenza, “per raggiungere il bandolo primo,// dove Coscienza/ palpitava di carne, di foglie,/ di anime ruotanti, di umani/ nascosti in sigle, nei primi organismi.” (p.113), “nel tuo mistero d’essere, Euglena” (p.114).
Luce di ansia immaginativa e passione trovano attimi placati in testi come “L’amor che move il sole e l’altre stelle” (p.12), tremante astanza del divino Faro, rincorsa di canoscenza, che non può essere fredda: “Il governo del due/ tra quark danzanti e inusitati/ a celebrare il primo moto,/ per onde, della materia”, “il coraggio dell’origine/ euforia delle cellule nell’urto primario”, “brulichio e disordine/ come l’amore ardente”, “nel tempo Uno del fuoco”, in cui “c’è sempre un bacio all’inizio della vita”.
Adam Vaccaro

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La Mia Milano – Angelo Gaccione

Pubblicato il 11 febbraio 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Il cuore e la storia resistenti di Milano
Adam Vaccaro

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 Vedi anche su Rivista “Odissea”: Adam Vaccaro. Il cuore e la storia “Odissea”:

https://libertariam.blogspot.com/2024/02/il-cuore-e-la-storia-di-adam-vaccaro.html

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Angelo Gaccione, La mia Milano, Meravigli Ed. 2023, pp. 222, € 17.

Bisogna avere un grande cuore, al pari di quello che si vuole aprire e riaccendere, per poterlo raccontare e farne corpo di questo libro di Angelo Gaccione. Cuore, beninteso, non come melassa sentimentale, ma come centro vitale di intelligenza che sa andare in profondità, per risalire col sorriso trionfante di un sub con in mano una perla che brilla nelle sue mani. Un frutto di lavorio lungo, attraverso il tempo e lo spazio, immagine di bellezza, perché sintesi di quella nostra illusione di prendere nelle mani la totalità della vita, che solo le oasi d’amore ci regalano, dopo lunghi attraversamenti di sabbie aride.
Stiamo percorrendo un tratto di storia, che disegna orizzonti illusoriamente aperti tra dune desertiche, che ci accecano e ci seccano le labbra, tradendo promesse risolutive delle somme di ansie, pericoli, ignominie e orrori che costellano sempre più le linee del contesto. Questo libro di Angelo Gaccione diventa così una sorprendente, salutare macchia verde dei rari ristori cercati e trovati.
E che questa oasi abbia il nome di Milano è un regalo inatteso, vivendo e respirando nella sua crescente foresta di problemi irrisolti e cemento. Ma è l’amore che sa scovare tutte le ragioni per glorificare e fare Luogo di un orizzonte che tende a esaltare connotati di un nonluogo metropolitano.
La carrellata nel tempo e nello spazio, che Angelo inanella va a caccia di tutte le tracce ed evidenze, non solo architettoniche, che resistono e smentiscono tali tendenze, come testimoni testardi presenti ai delitti commessi, ma che riaffermano ragioni di un passato che ostinatamente vuole essere pedana di un salto verso un futuro disegnato entro un’altra prospettiva.
È una sfida che sfama il nostro bisogno di coniugare bellezza, quale incrocio antropologico di dignità operosa ed etica, che fece meritare a Milano l’appellativo di Capitale morale, prima di vederlo rovesciare in morale del capitale, con il trionfo, a partire dagli anni ’80, del neoliberismo globalizzato e del dominio finanziario su tutte le attività umane.
Gaccione racconta la sua vicenda personale, quando arrivò a Milano dalla Calabria alla fine degli anni ’60, col sogno di una nuova vita in quella che allora era ancora una città, nemmeno tanto grande, col suo Monumento di marmo al centro di un fervore di vita e una Madonnina d’oro in cima. I terroni che arrivavano vi trovavano sensi di comunità unita a una sacralità della vita, seppure con nomi e forme diverse da quelle delle proprie origini. Chi vi arrivava (anch’io ne feci approdo dal Molise, dieci anni prima) trovava modi di rinascere dopo il trauma del trapianto, perché Milano – come tutte le altre realtà urbane, piccole e grandi, era ancora una realtà-città, che proiettava nell’animo di chi vi viveva una sua identità, con segni di storia, memoria, arte e civitas, trasmessa da evidenze di luoghi del sacro e luoghi amministrativi, quali segni-simboli che componevano. una immagine finita dell’infinito.

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Nelle vene del mondo – Donato Di Poce

Pubblicato il 18 gennaio 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Donato di Poce, Nelle vene del mondo, I Quaderni del Bardo ed., Sannicola (LE) 2023

Nota di lettura di Laura Cantelmo

Nella vasta bibliografia di Donato di Poce, ricca di raccolte poetiche, di aforismi e di saggi sull’Arte e sulla Letteratura, questo recente volume delinea, come si conviene a un’autoantologia, il ritratto dell’artista, evidenziando le predilezioni creative e di ricerca dell’Autore ed enucleando i principi di poetica elaborati lungo il suo percorso di scrittura e di esperienza umana.
L’arco di tempo copre una curva non indifferente: 2000-2022, partendo dai giovanili testi di argomento amoroso e giocosamente erotico, nei quali si intrecciano, fondendosi, la ricerca della parola e della verità del discorso poetico, che sono i principi di riferimento di questo Poeta. L’autenticità del linguaggio, a suo parere, deve di necessità evitare orfismi e parole innamorate-modalità ormai un po’ usurate che nei decenni precedenti avevano dominato la scena letteraria nel nostro paese, senza mai scomparire del tutto.
Rivelatori sono i primi versi del testo d’inizio, Orizzonte d’attesa: “Nell’orizzonte d’attesa/ restano le parole che non trovo/ mentre nella mia terra perdo il respiro/e schegge d’oscura passione/ dilegua il mio cuore/ e quel che taccio/ ha sempre il sapore dell’incanto”. L’apparizione di una figura sublimata di donna collega i testi alla tradizione allegorica medievale della lirica d’amore – “…Te nei borghi persa/ annidata nel cappottino rosa” – rappresentando l’indagine sul linguaggio e i meccanismi dell’ispirazione poetica: ”Se tu mi baci/ le ciglia della vita si aprono”.
Il pensiero viene sempre filtrato dalla corporeità e dalle emozioni, come nel poema L’origine du monde (2004), altro esplicito esempio di poesia erotica, dove il corpo è protagonista dei “miei esercizi d’amore”, mentre “nell’anima lievita la visione del corpo/ E io sono l’angelo d’amore/ Che raccoglie le gocce del piacere”. Echi della poesia medievale, ma persino del Cantico dei Cantici risuonano nei giochi d’amore, rappresentati con un realismo che allude, non a caso, al dedicatario del poemetto, il pittore francese Courbet, al suo realismo immune da ridondanti simbolismi. L’esplosione ludica del piacere si carica qui di un vitalismo che ben raffigura tutte le sfumature e le richieste del sogno, del desiderio e dei tormenti amorosi.
L’ambiguità tra la tematica dell’amore fisico e quella della fatica dell’espressione poetica – “desideri incompiuti” – riaffiora in modo più evidente ne Il gorgo dei desideri (2004):” Le poesie sono pietre posate sull’anima” afferma il Poeta nell’attesa, finché qualcosa si muove dentro di lui:” Ora sento, c’è la parola/non è ancora fatta lingua/” “E venne il giorno infine/…/ Dal cuore uscivano parole nuove/ ed io non sapevo parlare.”
Il principio oraziano “Ut pictura poesis”, fondamento della sua indagine linguistica e del realismo descrittivo, è frutto dell’intreccio dei suoi interessi pittorici e letterari. Eleggendolo a norma, il Poeta lo sceglie anche come titolo di una raccolta di ritratti di poete e di poeti, nella cui personalità artistica spesso lui stesso si rispecchia: “E non so spiegare/ Perché i tuoi segni/ Toccano le pareti della mia anima”, dice rivolgendosi a Mario Benedetti (Ut Pictura poesis, 2016).
Ė nell’aprirsi alla realtà esterna, alla memoria e al male del mondo che Di Poce approda a una fase di maturità e di consapevolezza civile sulle orme di P.P. Pasolini e di Enrico Mattei, come modelli di opposizione al potere: “Noi cercheremo/Quella verità che sgorga dal vero/E quella poesia che fa sognare/Un nuovo mondo e un nuovo futuro./ Noi combatteremo l’orgia dei poteri” (Lampi di verità, 2017).
Già nel poemetto sul dramma del Muro di Berlino, Lungo la East Side Gallery (2008/2009), alternando toni lirici ed epici, la narrazione ripercorreva con profonda commozione la storia di violenza e di dolore di “migliaia di spiriti liberi/…/ Durante il tentativo di fuga/ che non era una fuga/Ma un ritorno alla vita”. La denuncia della brutale divisione del cuore di una città come Berlino e della Germania stessa coinvolgeva tutti i muri eretti nel mondo come espressione di odio. A ciò si univa il pericolo della cancellazione della memoria o della sua banalizzazione nella volgarità dei souvenirs destinati a orde di” turisti chiassosi, irriverenti e indifferenti/ Che calpestano le tracce del muro/ E non sanno che i muri sono loro.”. Non stupirà che persino nell’aspirazione alla libertà il Poeta si esprima qui in termini erotici: “E cercherò come un seno da accarezzare/ I germogli di vita che crescono/ Ai bordi della Storia.”
La poetica si va poi consolidando, come già detto, grazie all’analisi di altri linguaggi – la Pittura e il Teatro: “Bisogna uscire dal Sé/Dal proprio buio/Dalla propria assenza”, recita un verso nella raccolta dedicata alla controversa personalità di Carmelo Bene, L’altro dire (2020). In un tempo di diffusa autoreferenzialità la ricerca di un “altro dire” significa: “Uscire dalle trappole del proprio genio/ Dalle trame del quotidiano/Scardinare le porte del proprio buio/…/ E camminare sul mare del proprio vuoto.” per approdare a un’ aperta speranza: “Cercare un altro dire/Oltre le rovine del tempo/Dove c’è un tempo nuovo da vivere/…/Io l’ho visto nascere/…/Negli occhi stellati dei bambini/…/C’è stato il tempo degli eroi/…/Ma ora è giunto il tempo dei giusti”. Il linguaggio profondamente emotivo palesa l’amore per il sogno e per l’utopia seguendo un percorso articolato che si è andato arricchendo nel tempo e lungo il quale gli interessi intellettuali si affiancano sempre più a temi civili (v. “Binario 21” sulle deportazioni nei lager nazisti) e a riflessioni filosofiche sulle profondità della psiche di altri Autori e Autrici contemporanei, tra cui anche la milanese Alda Merini. Sorge da qui l’interrogazione pressante sul valore etico della Poesia e dell’Arte che resta al centro della sua scrittura.
Ed è smascherando con critiche acute e salaci il falso impegno e la disonestà di molti operatori e di sedicenti intellettuali nell’ambito della letteratura di consumo (“I Poetocrati”, in La poesia è un diamante grezzo, 2022), che con spietato sarcasmo Di Poce fustiga i falsi amici, gli opportunisti, i calunniatori e gli invidiosi, riconoscibili in una burlesca lista di proscrizione redatta con nomi di fantasia.
La coerenza verso i principi finora esposti valorizza la sua personalità di saggista e sostiene la sua ricerca poetica.
Milano, gennaio 2024

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Discanto – Francesco Sassetto

Pubblicato il 11 gennaio 2024 su Saggi Poesia da Adam Vaccaro

La Canoscenza cercata e dovuta

Rivelare o Ri-velare nella notte che stiamo attraversando

Adam Vaccaro
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Francesco Sassetto, Discanto, Arcipelago Itaca Ed., Osimo (AN) 2023, pp.114

Quest’ultimo libro1 di Francesco Sassetto, insieme a tutto il suo percorso espressivo precedente, si colloca in quella che ho chiamato qualche decennio fa, nello sviluppo della mia ricerca di Adiacenza, Terza Riva, rispetto a due modalità prevalenti nella poesia contemporanea italiana: una di iperdeterminazione del significante, e l’altra di iperterminazione del significato.
La prima Riva tende ad appagarsi di culto e magia della lingua, con rarefazione di sensi e significati ed effetti di ri-velazione, che ricopre l’Altro ignoto di fascinosi suoni e ritmi neoparnassiani, fino a idolatrie del nulla, che relegano in stanze chiuse un io appagato da ruote pavoneggianti intorno al proprio ombelico, e indifferente alla fame di conoscenza della complessità della realtà in cui viviamo. Forme alonate da ideologia del Testo, per le quali le formiche nere incise sulla carta sono Tutto.
La seconda Riva tende invece, tra minimalismi o visioni ideologiche precotte, a scodellare narrazioni di realtà monca o immaginaria. Forme diverse di chiusure e aperture ugualmente illusorie, che a volte si ammantano del termine civile, e che ri-velano in altri modi la durezza di vita convissuta dalla maggioranza degli esseri umani. La quale si dibatte da sempre tra disperazione e speranze utopiche di orizzonti rispondenti a esigenze primarie, materiali e culturali, tra cui il bisogno di capire, senza il quale rimaniamo a zampettare freneticamente immobili, prede facili dei poteri in essere.
Specificavo nello scritto richiamato2, una “Terza riva, che tenda a coniugare complessità e transitività, adiacente alla totalità del Soggetto Scrivente e del mondo, ricca di sensi e domande sospese ma anche di risposte e aperture rispetto al contesto chiuso e senza speranza che i poteri in atto ci offrono. Contesto che si rafforza quanto più i comportamenti e il dire non mettono in comune, non creano comunità e condivisione ma solo somma fàtica di io io, in ridicola paranoica competizione”
Francesco Sassetto, fa proprio questo mandato e scrive all’incrocio del bisogno di mostrare le falsità e le vergogne del Re odierno, dalle forme invasive e invisibili nella civiltà decantata dalle mille trombe mediatiche, al fine di sollecitare un pensiero critico, senza il quale la maggiore conoscenza diventa impossibile.

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Tra tempi e terre – Maria Carla Baroni

Pubblicato il 11 dicembre 2023 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

CERCANDO UN’ACQUA DI RINASCITA

Adam Vaccaro

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Maria Carla Baroni, Tra tempi e terre, i quaderni de la collana, Stampa2009, 2023, pp.26

Questa plaquette di Maria Carla Baroni, raccolta ridotta rispetto al precedente Piazze di sogni incarnati (Manni Ed. 2019), riassume con efficacia espressiva le due linee portanti della sua poetica: tra sensibili e fragili emozioni affettive, anche privatissime, e la passione politica che spesso scavalca come un gatto con gli stivali ogni distanza tra le proprie visioni ideologiche e il degrado storico in atto.

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Conversazioni sull’Orizzonte – Antonella Doria

Pubblicato il 4 dicembre 2023 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

L’Uno e il Molteplice
Antonella Doria, Conversazioni sull’Orizzonte, Book Editore, Riva del Po (Ferrara) 2023

Adam Vaccaro

In questo libro ritrovo, esaltata, la passione di ricerca che da sempre anima, incarna e intreccia la scrittura poetica di Antonella Doria. È una passione che si svolge nel tempo e nello spazio, tra storia minima e totale, che mette al centro le vittime con sconvolta pietas di amore e rabbia. È passione tra coscienza di una classe lavoratrice sempre più ridotta in briciole e riaffermazione dell’identità femminile, fuori da nominalismi retorici che nulla dicono su scempi e commerci del corpo, decantati dalla libertà ideologica del neoliberismo trionfante.

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Benvenuti!!! di Fausta Squatriti

Pubblicato il 2 dicembre 2023 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

IN VIAGGIO con
BENVENUTI!!!
(istruzioni per un viaggetto a Parigi)
di Fausta Squatriti
fabio d’ambrosio editore, 2022

di Luigi Cannillo

Viene proprio la curiosità di andarci, nella Rue Meynadier, nel XIX Arrondissmentt di Parigi. Al numero 7 si trova l’appartamento, “la casina” protagonista del romanzo di Fausta Squatriti. Da lì aggirarci nei dintorni, prendere le Metro, visitare la città. È questa la casa che ospiterà la coppia di turisti ai quali la proprietaria si rivolge prima del viaggio con una lunga dettagliata lettera di istruzioni e considerazioni di varia natura.
Mai come in questi casi la letteratura è simulazione, non tanto perché il dipanarsi della trama sia sempre, almeno in parte, fiction ma perché qui le dimensioni di spazio e di tempo si dilatano ulteriormente, con contrazioni e ripiegamenti, slanci e picchiate. Così dall’appartamentino che offre l’occasione per il contatto epistolare veniamo proiettati nei quartieri di Parigi, e, oltre i confini della città, nella citazioni di altri luoghi e spazi, altri viaggi. Per quanto riguarda l’asse temporale il tempo effettivo/simulato per la scrittura e la lettura della lettera si articola e diventa entità letteraria autonoma: “Bene arrivati nella casina! Vi basterà aprire la finestra, anche se di sera sarà difficile farvi un’idea di quello che immaginate, e quel poco che c’è davvero.”
In questa dimensione, sospesa tra reale e immaginario, il presunto specifico viaggio con le visite e gli spostamenti si intreccia con episodi relativi al vissuto personale della padrona di casa, forme di flashback o retroscena insieme a proiezioni nel futuro nelle previsioni di necessità e ipotesi successive. Tutto questo anima in modo brillante le dinamiche spaziotemporali, episodi e memorie inattese.
Il contenuto della lettera alterna istruzioni, ricordi e riflessioni portando in primo piano i particolari, i dettagli legati per esempio a un capo d’abbigliamento o la scatola dei bottoni, le scanalature dei mobili o perfino la carta igienica. Così si materializzano oggetti con la loro storia e trascendono la propria materia per evocare persone e vissuti. La cura del dettaglio posto sotto una lente d’ingrandimento è uno degli elementi che caratterizzano la narrazione come rovesciando a più riprese un binocolo, relativizzando gli eventuali dispiaceri vissuti e esaltando ciò che sembrerebbe secondario: “Non sapevo come utilizzarlo, e non lo so neppure adesso, quel quarto di tappeto, immagino frutto di un’equa divisione tra eredi […] Ci sarebbe da scriverci una novella…”.
Ma questa ipotesi di spin-off non è l’unico aspetto analitico del romanzo. La meticolosità delle istruzioni sfiora l’ansia di controllo, prende in considerazione tutte le situazioni che si possono presentare: il verso giusto in cui stendere le lenzuola, la pulizia dell’appartamento o come sbloccare una serratura inceppata. Agli imperativi più categorici si alternano forme più diplomatiche o dubitative inserendo un “forse” o un “magari”.
Ma il puntiglio della mittente della lettera ottiene anche il risultato di dare al tono quanto di ironico e di grottesco contribuisce a proiettare le sue considerazioni, le storie, i luoghi e gli oggetti su un piano che li definisce e caratterizza ulteriormente. Che ci spinge non solo a individuare ma a osservare opere d’arte e oggetti d’uso, ma anche tenere conto di particolari repellenti o cruenti come la possibile presenza di topi nella casina o le pratiche violente della macellazione.
Affiora a più riprese, e già dall’inizio, il paradosso del possibile rovesciamento delle aspettative rispetto alla modalità del viaggio in preparazione. Così ai vantaggi di una certa scelta dei mezzi di trasporto vengono contrapposti, e non senza malizia, i possibili disagi o i pericoli più gravi: i controlli di polizia, l’inefficienza del servizio ristoro in treno e perfino l’eventualità di dirottamenti aerei. Su questo piano la lettera di benvenuto nonostante i suoi tre esclamativi può risultare tutt’altro che rassicurante. I pericoli sono in agguato, meglio avere bene in vista i numeri telefonici in caso di emergenze. Per il resto ai “Cari Amici” vengono illustrate tutte le bellezze e i luoghi di interesse della città che li aspettano, sia quelli tradizionali che, con particolare empatia, quelli che caratterizzano la multiculturalità e quelli “più specifici e poetici”.
Nulla a che vedere con una comune guida turistica, piuttosto un percorso di formazione. L’arte e la Bellezza ricorrono anche nell’osservazione e nella rappresentazione degli umili e della loro dignità, i clochard e i mendicanti, nelle definizioni del corpo di uno spazzacamino o della donna che trasporta un peso spropositato. Unendo anche in questi casi etica ed estetica: “Non si può trasmettere bellezza senza spiritualità.”
Del resto in questo singolare romanzo epistolare-monologante non potrebbero non essere sottotraccia l’identità dell’autrice, il suo essere artista, saggista, poeta, presenza culturale di livello internazionale – sua è anche l’opera in copertina, L’albero della vita, nodoso e sfolgorante. Sono ricorrenti i riferimenti ad artisti e architetti che accompagnano direttamente o indirettamente le visite dei turisti e le libere escursioni e evocazioni dell’autrice: da Caravaggio a Oldenburg, da Manet a Man Ray, da Brancusi a Wildt. (“Ma niente paura cari amici, non sono qui per impartirvi una lezione di storia dell’arte, però…” E Andersen, Mozart…Fausta Squatriti nel suo ruolo di autrice delle istruzioni sviluppa senza spocchia e in modo discorsivo percorsi autonomi nel mondo artistico, senza trascurare quello prezioso e umile degli artigiani.
Sono poi citati anche episodi più privati, legati ad affetti famigliari che si affiancano a quelli di personaggi identificati a volte con le sole iniziali, protagonisti (o coprotagonisti) di avvenimenti nella storia principale, essi stessi parte integrante nel flusso del leitmotiv. E in questo senso la lettera è anche una forma di autoritratto della mittente all’interno di contesti e rapporti. Le dinamiche tra luoghi, vite e relazioni si sviluppano su un piano che lentamente si mostra inclinato e onnivoro. Il tempo, dopo essere stato vissuto nel suo realizzarsi riconduce sempre più a forme di separazione. Le linee del romanzo culminano così riunendo il piano del passato e delle sue tracce nella vita dell’autrice, il presente che si offre nella Parigi meta della visita e il futuro per l’esperienza che dovrebbero realizzare gli ospiti. Il meccanismo narrativo di questi tre piani ci riserverà la sorpresa finale, con una chiusura inaspettata che aggiunge ulteriori considerazioni per il lettore.
Notevole nella costruzione del romanzo e nella sua lingua è l’utilizzo di strumenti retorici che agiscono per negazione successiva alla premessa, dopo un iniziale apparente incoraggiamento: “Sarete attratti da Le train bleu, rimasto com’era nella belle époque […] Presumo che non vorrete andare a cena proprio lì …”. Oppure l’uso dell’imperativo per coinvolgere i destinatari in una affermazione: “Non sottovalutate la quantità di cielo…”. O del futuro per mettere in evidenza la funzione previsionale del viaggio: “Non so se vorrete…”, “vi sarete certo affezionati…”. Lo stesso uso del termine “viaggetto”, solo apparentemente rassicurante con il suo diminutivo, aggiunge una venatura di ironia. A tenere insieme lo sviluppo della trama con i luoghi e i personaggi è la vertigine di una sintassi articolata e rapinosa (basta provare a leggere una pagina del romanzo ad alta voce). E, non ultimo, il frequente uso del francese per correttezza delle definizioni, accuratezza, vezzo aristocratico, identità tra luogo e appartamento. PARIS diventa, già nelle istruzioni per il viaggio, occasione di conoscenza e esperienza esistenziale da condividere anche solo attraverso la sua semplice pronuncia.

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Nella Foresta – Franz Krauspenhaar

Pubblicato il 8 ottobre 2023 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Labirinto nostra libertade

Adam Vaccaro

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Franz Krauspenhaar, Nella foresta, Ed. Ensemble, Roma 2021, pp48, 12 €

Questa raccolta di Franz Krauspenhaar è un viaggio labirintico in cui non si riesce a intravedere un’uscita o un punto di arrivo e riposo. L’Autore trasmette sulla pagina la tempesta che oggi attraversa la foresta della vita, termine del titolo che, incasellato dalla preposizione articolata che lo precede, va oltre la metafora e diventa metonimia della furia inesausta sia delle energie vitali, sia del vento contemporaneo che le domina e tende a ridurle a utopia di pace impossibile: “Spingere la postazione del nostro/ mare di servizio, quando spruzza la melma/ dalla sala macchine, e questo sfiato/…è l’ambiente/ che porta alla fine del mondo” (p.9)
E per il singolo qual è l’opzione di resistenza e salvezza?
“Quando vidi un relitto parlare/ di benessere, e farlo con la metrica/ del lupo, coi ringhi e la gola arsa/ il gorgoglio di una benzina/…/ Mi senti, cuore/ vecchio come un pallone di plastica/ …/ scomparso nel cielo come un MIG” (p.10)
Non è sconcerto, per un accidente imprevisto, è perdita di senso, spiaggiato su una riva nebbiosa (nebbia è tra i termini che si ripetono), di cui si intravedono alcuni contorni, tra intrichi e trappole della “colpa nera” che ha determinato quell’illusione di approdo:
“Fu essenzialmente la colpa nera/ del marketing, uno scudiscio/…/ sempre quello, sempre a ripetersi/ l’ossessione del rito, come se/ non fosse prevista dal Creato/…/ strano…pensare a Dio, non uno/ qualsiasi, proprio quello della tua storia” (p11).
E di fronte a tale perdita assoluta si stagliano, improvvidi e disarmati, il gesto e la parola in cerca di poesia. Cui il soggetto, sia scrivente che storicoreale, urla:
“Tu mi farai dannare! Tu sarai il poeta/ del danno, dell’esercizio di morte/ lenta, e dire che eri un fascino puro,/ un gesto del cielo, corroboravi meglio/ le vittime del mondo, eri l’angelo/ che appianava la sorte, la pace nella gola./ Poi sei saltato sul fuoco, e non hai/ più speranza che ti netti il volto” (p. 12).
Ma il testo è una non arresa registrazione nel diagramma quotidiano, in cui rimbalziamo su “Duemila watt di disperazione” (p.14), e “non c’è perdono ma sale/ sulle labbra”, e “la mancanza di una mano/ nel ventre delle cose” (p.15), “frutto esploso, divenuto/ seme in una fossa spenta” (p. 16)”. Ciononostante, siamo “ancora vivi… alla luce d’inverno oltre la nebbia” (p.17).
I conti della vita che resiste restano appesi “Nel vivere un assolo, sconfitti/ i vermi e le lingue taglienti/ e il verbo amare…/…senza scelta che quella di lottare/ per una felicità senza scampo” (p18), con la sola luce di una lucida coscienza critica e visione fenomenologica, che riafferma “non finisce mai” anche in questa “specie di prova della fine/…/ di noi stessi alla fine del tempo” (p.19).
È in sostanza un serrato viaggio da fermo, che sbeffeggia se stesso poeta e il mondo, nella Foresta-Milano che mentre sfugge nella nebbia, “è un coltello cifrato” (p34), “non ha altro che gelo, merci/ e disperata irrealtà” (p. 35). Tuttavia, proprio a partire da tali denunce, il poeta non rinuncia al sogno del “sacro momento di tuffarsi in questa vita” (p.23).
È questo il merito esaltato dal libro, quanto più inchioda sulla propria soglia, singola e collettiva, “Siamo nel nulla, nel nessuno, nel può darsi” (p31). E se pure “ho mangiato un banco di nebbia”, con solo in questa “foresta,/ un bastone di difesa, la mia lunga mano./. E quanto freddo nuovo” (p.48), è arrivato il momento di chiedere/ il conto./ O a Dio, o alla sua controfigura” (p. 42).
3 ottobre 2023

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Tutte le forme di vita – Claudia Azzola

Pubblicato il 26 settembre 2023 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

POESIA STORIA E VITA
La ricerca incessante di Claudia Azzola

Adam Vaccaro

Claudia Azzola, Tutte le forme di vita, La Vita Felice, Milano 2020

Conosco Claudia Azzola da ormai diversi decenni, e quello che verifico a ogni suo libro è una ricerca di rigore metodologico, che prosegue lungo binari-guida, curati in poesia e narrativa. A tale proposito, richiamando Hoerderlin, diceva in una articolata dichiarazione di poetica del 2006: “L’arte è la via della natura alla civiltà e dalla civiltà alla natura”.
È una sintesi che dice già la sua visione di un poièin, determinato e innervato in un moto interminabile di misura con la totalità. Per cui aggiungeva, se tale fare “unisce vita e poesia”, sta proprio in tale tensione la conoscenza della “complessità, pur nella frantumazione” dell’immenso di cui l’arte cerca di ricostruire unità e senso. Ricerca che può essere concentrata nel nome di Dio o in laiche elaborazioni culturali collettive, in cui “l’io si debba mettere nell’angolo”, sia rispetto agli spazi dell’inconosciuto invisibile e mai totalmente conoscibile, sia rispetto al territorio che si distende davanti ai nostri occhi. Territorio di spazio e tempo che ci rende piccoli e al tempo stesso ci chiede di crescere e capire.
È la sollecitazione originaria dell’essere umano, che lo arricchisce di sapienza e gioia, e ne definisce la sua identità. E che in quella nota di poetica, Azzola così sintetizzava: “La mia passione è ricongiungere l’esistenza all’essere, e ciò ha luogo attraverso la parola poetica che collega la psiche alla cosa invisibile, al rimosso dell’esistenza”. Ma per il poièin, se è teso alla totalità, “Non ci sono cose estranee alla poesia, canto ininterrotto d’esistenza, vita che prorompe da dentro” verso “l’esperienza umana” che si sviluppa dal “sociale, all’eros, alla storia”. Dopo di che rivendicava con fierezza; “la mia poesia contiene la storia o, meglio è poesia che ha sofferto la storia”.

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Il rumore della nebbia – Mauro Macario

Pubblicato il 16 settembre 2023 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

AI GUERRIERI SENZA SPERANZA

Adam Vaccaro

Mauro Macario, Il rumore della nebbia, puntoacapo Ed.. 2023, pp.80, € 12

Questo piccolo grande libro esalta i fuochi di sensi che Mauro Macario inanella lungo tutto il suo percorso espressivo. Confesso di esserne entusiasta tifoso, poco adeguato a un distacco critico, ma non può essere altrimenti per gli echi di una Musa e una musica, cui in anni lontani ho dato il nome di Adiacenza.
La raccolta è stata dettata da una concentrazione creativa – specifica l’autore in una nota – tra febbraio e marzo di quest’anno. E già questo rovescia tante remore che invitano chi scrive versi a por tempo in mezzo e raffreddare il canto che sale in gola prima dargli forma. Un suggerimento certo utile, in certi casi, per la ricerca della migliore condensazione e intensità. Ma il poièin non fa che smentire ogni suggerimento normativo assoluto al suo progetto ignoto, per cui altre volte ci grazia di versi perfetti, che sembra siano frutto solo del tempo emozionale breve al fondo del loro fiorire, mentre in effetti, quei risultati sono l’epilogo di tutta la vicenda creativa precedente di un autore.
Ho ricordato altrove l’aneddoto di quel compratore di un’opera di Picasso che ne lamentava il costo, obiettando che per la sua realizzazione c’era voluta solo mezz’ora. Al che Picasso rispose: no, per creare quest’opera ci sono voluti quarant’anni più mezzora.
Anche i versi di questo libro nascono solo apparentemente in due mesi, perché, anche senza conoscere il percorso precedente di Mauro, è impossibile siano il frutto di soli due mesi, così innervati e vibranti – come dice nella Prefazione Marco Ercolani – nella loro congiunzione o con-fusione al calor bianco, di pensare e sentire, con una tessitura di cesure e continuum, dal sapore diaristico e poematico.
Sono testi che nascono e vivono nell’indicibile cui il poeta dà il nome di nebbia, con rumore costitutivo di una diade che non è semplice metafora, ma essenza, immagine metonimica del contesto. Del quale è implicita denuncia della sua cacofonia consustanziale alle derive che produce e in cui stiamo scivolando catatonici – come la famosa rana, ignara e bollita in una pentola libera e mortale. E alla quale i versi contrappongono la loro musica.
Ne scaturiscono squilli di avvisi, per chi ha orecchie, resistenti a un contenitore di buio accecante e silenzio assordante, rispetto al quale solo alcuni si affannano a resistere, al pari del tenente Drogo chiuso nella Fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari buzzatiano. Nel breve orizzonte temporale non ci sono concrete possibilità di vittoria sui noti-ignoti scenografi del destino e declino in atto, i quali possono deridere e appellare con epiteti squalificanti i guerrieri solitari che saltano su punte luminose e lancinanti, come le scarpette su cui si libra una etoile. Guerrieri danzanti che non si arrendono, cui questo libro offre un esempio di canto ed epica moderna.
È di pochi poeti offrire un taglio spietato e disincantato che ci fa saltare da un verso all’altro, da orrori senza fine a delizie di una vita che resiste e non smette di rinascere.
“Navi da guerra spumeggiano/ al largo/ incrociando il destino/ su mine vaganti/ morire per la patria/,,,/ Motoscafi Riva/ in volo sull’acqua/ esaltano i primi bikini/…/ C’è di tutto in questo mare/ elmetti incrostati di corallo/ l’estasi della rinascita/ giovinezze sbudellate/ …/Una fauna esotica/ concima le coscienze/ in un acquario necrotico/ tra oblio occidentale/ e romantiche adolescenze/ un disordine perfetto/ uno stile di nuoto/ per restare a galla/ tra rimpianti canterini/ e grida di soccorso/ morire di letargia” (Crociera forza sette, pp. 13-14)
Ma non sono solo frecce avvelenate contro le ignobili crociere di guerra che ci stanno disegnando il futuro, perché il testo è in effetti il libretto di un’opera concertante, che non si accontenta di scagliarsi contro le ignominie del mondo in cui viviamo, deve dare voce anche agli incubi umanissimi creati in noi mentre incrociamo panfili, portaerei e zattere disperate nel mare-caos che ci regala le sue schiume. E allora occorrono altri tasti, oltre il sarcasmo e l’invettiva, risuonano accenti di scorticante autoironia, che ampliano i sensi con capacità di alleggerire l’orchestrazione, anche se elencano sbocchi privi di salvezza.
Questo il pregio della poesia autentica di questo libro, che sa rovesciare come una clessidra l’angoscia, facendone un fiore, seppure di sapore amaro e marcescente. La maestria dell’Autore sa trasmutarla in un fiore, anche se sa di sangue, cuore trafitto, intelligenza tramortita e calvario – tanto da far ricordare il pirandelliano uomo dal fiore sulle labbra – che tuttavia non produce in noi un ripiegamento lamentoso, perché esplode la coscienza della ricerca e dell’urgenza collettiva di un’uscita da quella pentola.

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