Anticipazioni-Guglielmo Aprile

Pubblicato il 15 marzo 2019 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Guglielmo Aprile
Inediti

Con un commento di Laura Cantelmo

***

Nota di poetica
Vedo la poesia come un esorcismo; ma anche come un narcotico, e come un contrappeso alla troppa lucidità: essa convoglia nel ritmo delle parole il rumore dell’abisso, rendendolo innocuo, e si apparenta perciò a un’alchimia; doma la belva, smorza il tumulto preistorico su cui galleggia la convenzione del vivere civile: sventa la tentazione di una ringhiera troppo bassa, o di mettersi a urlare senza ragione tra la folla. Ogni verso strappato alla pagina bianca è l’inventario di una ecatombe, è la testimonianza del nostro status di sopravvissuti, è un differimento del silenzio che ci attende; ed è lo sputo di Dio sulla faccia del tempo. Sogno un’opera che ricalchi il Libro dei Morti dell’antica religione egizia, ma ambientata nel regno ctonio della psiche. Il senso che cerco nello scrivere compensa il senso che non trovo nel vivere: non ho altro modo di vendicarmi dell’accidente di essere al mondo, non ho altra difesa di fronte all’assurdo che mi attanaglia disseminandomi intorno i suoi innumerevoli emblemi.

Guglielmo Aprile

VELLUTO

Dalle scorte di cianuro
stoccate poco fuori città, qualcuno
deve aver intenzionalmente lasciato
non chiuse le valvole; una qualche perdita
o una falla casuale nei protocolli
di sicurezza sta spandendo
nell’aria la congiura dei miasmi.

Un sospetto s’insinua
tra gli scogli preistorici
e il racconto sotto scopolamina
dei primi amori, che la sera
e il suo velluto tiepido non siano
che una menzogna.

*
ZONA FRANCA

Il vecchio sarto sembra disattento
stasera e gli succede di graffiarsi
più volte le dita, tentando
anche il meno rischioso dei rammendi;

è screpolato dai dubbi il confine
tra l’area giochi
e le acque internazionali, dove
imbattersi in contrabbandieri armati
o squali è eventualità da mettere
in preventivo; non si possono
saldare più come erano i due pezzi
della nuvola che si è
spaccata scivolandomi di mano

mentre giocavo, da piccolo, in quella
strada che non appartiene agli uomini
né al vento.

*
SOGLIE

Tra il saltimbanco e la tunica di ferro,
tra i fogli spettinati
e le nove punte di Palmanova,
si gonfia a dismisura
una palude, in cui non è prudente
inoltrarsi, quando l’ultima luna
abdica alle proprie millantate
virtù analgesiche;

secoli di insonnia la percorrono
su mappe claudicanti, afasiche:
e nel breve cunicolo
tra palpebre e giorno
le comete tendono il loro agguato
di fuoco o ci sbalzano
lontanissimo
sui loro dorsi gelidi.

*

Nei giardinetti dietro la stazione
dopo le otto di sera
si radunano in branchi i randagi
ed escono, intimidendo i passanti.

Viene il lupo dell’ora, l’intero quartiere
inizia a triturare
nelle sue mandibole enormi
ardesia, sabbia, chiodi di garofano,
mescolando tutto secondo un moto
di rotazione inesorabile;
la foresta ha inghiottito i suoi esploratori;
grandi paramenti scuri si staccano
dalle tempie dei binari morti,
con un rumore di foglie inutili,
di esecuzioni senza processo.

Dal libro degli indovinelli
spuntano
rigonfie teste di bestie
annegate.

*
Stoppa

Si diventa, invecchiando,
sempre meno disposti
a discutere i dogmi
della geografia ufficiale,
a tentare rimedi omeopatici,
a rubare fazzoletti al mercato,
a ripassare a calce le pareti,
a scommettere sul funambolo
che percorre bendato il cornicione;
l’animale lotta con sempre
più scarsa convinzione
con le sabbie, man mano che vi affonda.

Una stoppa di nessun pregio
cresce, si addensa
fra le mascelle e la prateria; e infine
solo i batteri
erediteranno i nostri capelli.

*
L’esito contraddice le premesse

Il finale della storia
è scontato, niente di interessante
da scoprire nelle periferie,
solo l’erba tra i mattoni franati
che cresce arrogante mentre dormiamo,
gli intervalli tra un coito e l’altro
l’animale li passa aspettando,
ogni medicinale induce assuefazione:
i sassi contano i secoli,
i fiumi sono anonimi,
la polvere non è diversa dalla polvere,
le strade sono scritte tutte nello stesso osso,
l’idea di imbarcarci
l’abbiamo abbandonata da ragazzi.

*

L’insetto a zampe all’aria
rovesciato sul proprio carapace
Il chiodo che non fa presa nel muro
Tentativi malriusciti di vivere
di fare il laccio ai lampioni
di invertire il senso
di rotazione ai ventilatori
E un secchio vuoto che ha nome e sembianze di mondo
Uno zero la somma
di tutti i passi da qui ad ogni luogo
da ogni punto della città ad ogni altro

*

Aveva torto Talete, lo prova
la rapidità con cui
le uova si spellano nel bollitore;

giurano il falso gli alberi ad agosto,
l’allegria è solo danza di licaoni.
Tra il barattolo degli integratori
e la luna
c’è una strada interrotta,
occhiali dalle asticelle spezzate, una mela di ferro
che non ho il coraggio di ammettere.

*
Dogana

S’invecchia male
anche nelle case meglio arredate;
dopo il gioco a chi indovinava prima
le imitazioni dei vari animali
e la visita al museo delle spezie,
uno alla volta
tutti ci arrenderemo a una diversa onda
e dovremo non perdere la calma
di fronte alla sua confessione,
la compagna dell’ultimo giro di ballo
ci chiamerà da parte,
avrà qualcosa di importante da dirci:

svuotiamo le tasche di carte inutili,
non si arriva all’alba senza una buona scorta,
e preghiere, e oppio da scambiare
con la gente delle paludi.

*
Uomo di gesso

Modi e modi di sprecare la vita,
di rivoltare un guanto in cerca del suo strappo,
di perlustrare un letto dopo l’altro
i lunghi dormitori dell’errore,
di dare fondo per la giusta causa
alle proprie riserve di glicogeno,
di lasciare che senza essere colto
marcisca il frutto di testosterone,
di abbeverare le strade del proprio sudore;
ma il peggiore è senz’altro questo
esitare sul bordo
di uno stallo, tra un gesto e qualunque altro:
fingersi morti trattenendo il fiato,
galleggiare su lenzuola di calce,
aspettare che spiova
per uscire, rinviando ogni passo
per paura, né terraferma né oceano
ma stagno

(eppure è così squisito l’odore
dell’erba dopo una pioggia inattesa,
che riscatta il mondo e ogni suo errore).

*

L’alzarsi, certe sere, inatteso
dell’umidità mette in dubbio
le traiettorie dei gabbiani,
la pioggia non sa più dov’è che arrivino
i suoi domini e dove
l’infanzia sia terminata, la realtà
perde il suo centurione, rinnega
le sue robuste paratie;

il mastice che dovrebbe tenere,
almeno in apparenza, ben salde
le giunture dell’abitacolo
si è sciolto; la cabina ora penzola
al cavo della funivia
sospeso
tra il burrone e i goniometri di Newton.

*
Visitatori

Sorvegli i tuoi pensieri
come i commessi delle mercerie cinesi
che tengono d’occhio certi clienti
dall’andatura cauta, allampanata.

Sette di sera, le strade hanno fretta
di ritirarsi circospette ognuna
nella sua tana; parla a voce bassa,
si allarga la macchia rossa su Giove,

i visitatori vanno occupando
settori sempre più estesi dell’appartamento
ma non si fanno vedere.

*
NOTA BIO
Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive e lavora a Verona. È stato autore di alcune raccolte di poesia, tra le quali “Il dio che vaga col vento” (Puntoacapo Editrice, 2008), “Nessun mattino sarà mai l’ultimo” (Zone, 2008), “L’assedio di Famagosta” (Lietocolle, 2015), “Il talento dell’equilibrista” (Ladolfi, 2018), “I masticatori di stagnola” (Lietocolle, 2018); per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio e Marino, oltre che sulla poesia del Novecento.

*

Nota di lettura

La poesia di Aprile, da quanto si percepisce da questi inediti, va ascritta a quella temperie generazionale che nel panorama culturale post moderno potremmo chiamare resistente o resiliente. Una generazione che emerge dal diluvio della ormai lontana illusione della neoavanguardia e della sua idea di una poesia come utopia oppositiva, contestataria della società borghese.
Il crescente senso di frustrazione nell’insensatezza del quotidiano oggi si sconfigge in solitudine, non più entro l’energetica speranza di un gruppo di letterati o di artisti. E comunque la volontà di continuare a scrivere esorcizza il clima tossico e avverso all’uomo, popolato da “squali”, da notturni “branchi di randagi”. Accanto al prevalente senso di disillusione di fronte alle “menzogne” che in altri tempi avremmo definito illusioni (“Velluto”) nella poesia domina una visione distopica, da incubo: nessun cambiamento è possibile in questo mondo vuoto, ridotto a zero, senza prospettive entro la “palude” del reale. Essendo “il finale della storia scontato” (“L’esito contraddice le premesse”) la lotta è inutile, come è impossibile anche la riproduzione della vita:” senza essere colto/ marcisce il frutto del testosterone” (“Uomo di gesso”).
In questo lucido disinganno il pessimismo rischia di precipitare in fondo all’abisso del nichilismo. Eppure: all’improvviso, in quest’ultimo testo, si apre, imprevedibile e imprevisto, uno spiraglio, un inedito piacere della vita, un apprezzamento della natura, dei suoi profumi.
È così che il pessimismo evita di cedere al nichilismo: nell’aprire gli occhi sulla natura, sulla vita, con la bellezza che talvolta essa ci concede, consentendoci di tenere a bada i nostri fantasmi. Ma è lo scrivere, dice l’Autore, a rendere innocuo l’abisso, a salvare noi sopravvissuti al non senso. Poiché scrivere significa affidare le parole al futuro, lanciandole nel tempo per evitare il nulla.

Laura Cantelmo

5 comments

  1. guglielmo aprile ha detto:

    Non posso che dirmi riconoscente agli Amici che con tanta generosità mi hanno ospitato su queste pagine. A proposito di solitudine, è vero: è una condizione che sempre ci tocca affrontare quando sfidiamo la distesa del foglio bianco; ma in questa traversata ci sono compagni i canti dei gabbiani e il soliloquio delle onde, e più di ogni cosa gli sguardi che dividono con noi lo sconfinato orizzonte…

  2. Fabrizio Bregoli ha detto:

    E’ la constatazione desolata di un senso di precarietà insanabile a dare respiro a questi versi, che non lasciano appiglio a nessuna facile consolazione e quindi nemmeno cercano il compiacimento del lettore, il facile assenso. Emblematica la chiusa
    ” e infine
    solo i batteri
    erediteranno i nostri capelli.”
    in cui domina il senso di un di una biologia definitiva, senza appello, per cui la vita resta un mistero insufficiente a circostanziare il significato di un’esistenza.
    Guglielmo che ho già potuto apprezzare leggendo alcuni suoi ultimi lavori continua con coerenza e credibilità questo suo percorso disincantato con una poesia netta e urticante, forse la sola possibile nel nostro tempo.

  3. Salvatore ha detto:

    Bene. Tracce di desolazione. Sono parole-farmaco di quelli palliativi. Che dire: Brava Laura Cantelmo. Questa poesia non aiuta. Mi sembra un silenzioso, soffocato lamento che scivola verso un orizzonte perso. Altro che disincanto!

  4. Annalisa ha detto:

    La poesia è lo sguardo di una persona e come tale un’aggiunta parziale alla realtà e all’immaginazione. Questa poesia è autentica, fatta di immagini piene di sgomento ma che tengono. Uno sguardo in più, ben riuscito. E questa è già una lotta contro uno scenario di negatività. Bravo il poeta e Laura Cantelmo

  5. Laura Cantelmo ha detto:

    Una poesia in cui ho provato più volte un desolato senso di fratellanza, di disperata attesa, comunque.
    Bravo Guglielmo Aprile.

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