Anticipazioni – Francesco Macciò

Pubblicato il 30 novembre 2019 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Francesco Macciò
Inediti
Con una nota di Luigi Cannillo

Nota dell’Autore
Si lega a doppio filo con la nostra vita, la poesia, la abita e ci chiama per condurci chissà dove, a rinominare le cose, a illuminarne il lato oscuro o sfuggente. La precisione, ovvero insistere su un punto circoscrivendolo e descrivendolo, talvolta anche minuziosamente, credo sia un modo per avvicinarsi all’oscuro di ogni sostanza. Ma è una precisione che sfiora l’evanescenza, la sospensione, l’attesa di un accadimento sempre ulteriore a una nuova attesa. È sempre la poesia a scegliere, a far sentire la sua voce. Quando si scrive in versi si è spinti da necessità: accerchiati da immagini e parole, ci si mette in cammino, non si sa su quale strada, ma se la strada è sbagliata immagini e parole anziché trovare dei varchi tornano indietro. Mai come oggi il destino della poesia sembra coincidere con il destino di Orfeo, il cantore fatto a pezzi dalle Baccanti, che non cesserà mai di cantare. La sua testa staccata dal corpo non muore, ma è trasportata dalla corrente di un fiume sulla lira (l’unione indissolubile di parola e musica) e giunge fino al mare. La poesia dunque è sempre in movimento e fa sentire la sua voce irrevocabile. Ecco, da un lato il miracolo di una testa divisa dal corpo, sospesa sulle corde di uno strumento musicale che naviga in mare aperto e rivendica col canto l’eternità della poesia, dall’altro l’orrore di un corpo straziato, a ricordarci simbolicamente la nostra civiltà, disgregata, abbruttita, separata da sapienza, bellezza, poesia. La scommessa non riguarda tanto il destino della poesia e la sua sopravvivenza, quanto piuttosto la possibilità di ritrovare un corpo capace di accoglierla

Francesco Macciò

Quella curva troppo alta

Quella curva troppo alta
e il motore giù di giri
che faticava a riprendersi,
ad andare avanti, a cercare
come te un’altra mèta.
Avevo in mente parole di conforto
semplici come un gesto che si ripete,
tirare il freno a mano, per esempio,
o aprire la portiera e prenderti
per mano come un figlio,
anch’io padre ormai svigorito
e in credito di sopravvivenza.
Difficile proseguire il cammino
raggiungere un rifugio
nel silenzio intatto della sera.
Ad andar oltre erano i bracci
di una croce d’acciaio
che si ergevano sulla vetta
e i miei amuleti infantili
indizi anch’essi di fede e di altezza.

Padre, quando saremo quel niente
che eravamo, che cosa resterà
di questo profumo di erica e ginestre
chiuso in una bottiglia di vetro,
di questa bottiglia di vetro
chiusa come l’inverno
alla giusta distanza dal mare?

*
Strozzata in una curva una stradina

Strozzata in una curva una stradina
lastricata scende a valle
da un vasto piazzale alberato.
Verso un pullman in sosta
si affretta come allora
una schiera scomposta di turisti.
Attraverso i vetri anneriti
di una cabina telefonica
balugina un’insegna:
Fabbrica di oggetti in alabastro.

Due grossi merli lucenti
becchettano intorno,
si avvicinano quasi fino a toccarmi.
Via Orti di Sant’Agostino.
Si stringe in un grumo
di memorie il cuore in festa:
mio padre, mia madre,
un accendino giallo, i pezzi
mutilati sulla scacchiera:
un re senza corona,
una regina senza testa.

*
Se c’è una verità

Se c’è una verità, è fuori di noi
capovolta in un giro di voci
e visioni. Sono segnali deboli,
indicazioni inattendibili
che non restano nella memoria,
come scorgere a stento la vetta
offuscata da nembi, da denti
di pietra, o altre cose instabili
quando cerchiamo un passaggio,
un richiamo, un punto d’appoggio.

E basterebbe soltanto potersi
fermare, voltarsi nel profilo
scavato dei monti scrutare
quell’orizzonte che non conosciamo.
Anche lo stesso sentiero
non è quello su cui ci troviamo,
forse non è più visibile
neppure dentro di noi.

*
Nota biobiblio

Francesco Macciò, scrittore, saggista vive a Genova. Sotto pseudonimo ha pubblicato il romanzo Come dentro la notte (Lecce, Manni, 2006): «il notevolissimo merito di Come dentro la notte è la reinvenzione del genere narrativo, tanto usurato soprattutto negli ultimi tempi» (Giorgio Bárberi Squarotti); “un bellissimo libro, coinvolgente, alto, misterioso, intriso di una idea forte, problematica e nobile di letteratura” (Giuseppe Conte). Ha curato il volume di studi su Giorgio Caproni Queste nostre zone montane, con introduzione di Giovanni Giudici (Genova, 1995). Libri di poesia: Sotto notti altissime di stelle, prefazione di Luigi Surdich, La Spezia, Agorà, 2003 / Matisklo, 2013, introduzione di Mirko Servetti; L’ombra che intorno riunisce le cose, Lecce, Manni, 2008; Abitare l’attesa, prefazione di Gabriela Fantato, Milano, La Vita Felice, 2011 (finalista Premio Volterra Ultima Frontiera 2012, finalista Premio Internazionale Mario Luzi 2014/2015), L’oscuro di ogni sostanza prefazione di L. Surdich, La Vita Felice, 2017 ((finalista con menzione di merito Premio Guido Gozzano). Ha vinto il Premio “Cordici” di poesia mistica e religiosa (2009) e il “Satura città di Genova” (2012). È direttore artistico del festival TorrigliaInArte e promotore della rassegna Incontri con gli scrittori presso il Liceo Sandro Pertini di Genova.

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Nota di lettura

Gli inediti di Francesco Macciò sono modulati secondo un processo dinamico soprattutto di tendenza ascensionale: i riferimenti all’altezza sono espliciti: la curva alta, la vetta sulla quale si erge la croce d’acciaio, e successivamente “la vetta offuscata dai nembi”. A questa direzione si affianca talvolta un movimento inverso, sulla “stradina lastricata che scende a valle”, e, ancora, il percorso attraverso sentieri, passaggi e paesaggi.
La forza che guida questi spostamenti verso la meta è inizialmente quella delle memorie famigliari: il ricordo del padre con il quale nel tragitto ci si passa il testimone di guida e di protezione, le figure di entrambi i genitori che si rifanno prossime nell’atmosfera suggestiva di Volterra. Ma l’evocazione non resta fine a se stessa, non è archeologia del ricordo, nasce piuttosto da un’inquietudine e da una ricerca esistenziale e spirituale, trae dalle memorie lo slancio per una ricerca ancora più estesa: “E basterebbe soltanto potersi/ fermare, voltarsi nel profilo/ scavato nei monti scrutare/ quell’orizzonte che non conosciamo.”
Macciò allude nella sua Nota proprio alla funzione di guida della poesia, che ci conduce per percorsi ancora sconosciuti alla conoscenza e alla nominazione: “La poesia è sempre in movimento”. E nei versi di Macciò lo è, sia nella articolazione e nella misura dei versi e del loro ritmo, che nella rappresentazione dei luoghi e delle presenze. Ma, come dice l’autore, “è una precisione che sfiora l’evanescenza, la sospensione”. Le manifestazioni della realtà sono “segnali deboli, indicazioni inattendibili”, l’instabilità dei fenomeni rende incerti i punti d’appoggio.
È in questa complessità, tra spinte alla conoscenza e consapevolezza di un cammino pieno di incognite, che si svolge quel percorso dinamico verso la vetta e l’orizzonte della verità: “Se c’è una verità, è fuori di noi/ capovolta in un giro di voci/ e visioni […]”. Resta quindi una interrogazione alta, compiuta con le proprie forze e, qui, con il filo di Arianna della poesia, spinti da una necessità di Senso, sempre in movimento.

Luigi Cannillo

2 comments

  1. Fabrizio Bregoli ha detto:

    “Quando si scrive in versi si è spinti da necessità: accerchiati da immagini e parole, ci si mette in cammino, non si sa su quale strada, ma se la strada è sbagliata immagini e parole anziché trovare dei varchi tornano indietro.” Sono osservazioni molto incisive, queste, certamente vere per chiunque scrive e scopre spesso che il nodo da sbrogliare è in realtà una forzatura espressiva che non si può sciogliere. Risultato che invece qui credibilmente si raggiunge. Il riferimento a Orfeo è quanto mai appropriato rispetto alla raccolta qui presentata, in cui è la voce lirica a essere dominante, certo con inserti coerenti con la contemporaneità, come si richiede a una scrittura attuale, “nel tempo presente”, ma certamente è l’afflato lirico a circostanziare e rendere praticabile questa poesia memoriale, come bene evidenziato nella nota di Cannillo. Ritmo sempre misurato, composto, quasi un’impronta classica, verrebbe da dire. Grazie della proposta, grazie all’autore.

    • Francesco Macciò ha detto:

      Ringrazio Fabrizio Bregoli per il commento e le belle osservazioni; posso soltanto precisare, per quanto riguarda il ritmo, la misura, che confido che la scrittura in versi debba necessariamente calibrarsi, anche nella ricerca di soluzioni innovative,su assetti prosodici mai disgiunti dalla musica (non dico di risillabare, come faceva Caproni, il vecchio Carducci, ma neanche di ignorare la techne o di non fare i conti con essa). Ringrazio la redazione di Milanocosa per la pubblicazione delle poesie e Luigi Cannillo per la bella nota critica che con sapienza e precisione individua alcuni nuclei tematici comuni ai tre testi.

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