Rivista telematica di ricerca e informazione culturale

Materiali del Sito www.milanocosa.it – Novembre 2006 – N° 1

 

Progetto e Direzione: Adam Vaccaro

Redazione:

Fabiano Alborghetti, Claudia Azzola, Fabrizio Bianchi, Laura Cantelmo,Roberto Caracci

Collaboratori:
Fabio Botto, Rinaldo Caddeo, Luigi Cannillo, Luca Cori, Gabriela Fantato, Mauro Ferrari, Gio Ferri, Gabriella Galzio, Sandro Montalto, Ivano Mugnaini,
Franco Romanò, Tiziano Salari, Giuliano Zosi
Rivista Il segnale

 Elaborazione Grafica:Maurizio Baldini

Sommario

 

Comunicati/Eventi:

  • Il pomeriggio del dì di festa - Incontri con Autori di scritture contemporanee, Milano
  • Dalla vita in su + poetincontro 2 - Mostra e letture - Quintocortile, 16-27 ottobre, Milano
  • Presentazione Quaderno Comunicare il mondo - Brindisi per l'Onu", Padova
  • Serata Sanesi, Incontro in onore di Roberto Sanesi, 20 Novembre 2006, Milano

Resoconti:

  • Progetto Poièin - Segni Sensi Suoni - II concerto dell'8 ottobre 2006, Palazzina Liberty, Milano

 

Letture, Approfondimenti e Confronti:    

  • Riflessioni su Poièin - Luca Cori
  • A proposito di Scrittura Civile - Giuliano Zosi
  • Fabio Botto su Gesù e Yahvè. La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo di Harold Bloom
  • Il libro del mese - Ottobre 2006 - Roberto Caracci:
    La paura di amare di Gianni Azzola

Riflessioni su Poièin - Luca Cori
Seguono riflessioni di Luca Cori su tutto il percorso del Progetto Poièin, che ha dovuto inventare tutto: modalità creative, moduli di svolgimento degli eventi, organizzazione, fonti finanziarie, necessità di dover raccordare opinioni, sensibilità e professionalità molto diverse. Nonostante tutte le difficoltà e i limiti abbiamo portato in porto risultati straordinari, ultimo dei quali il Concerto dell'8 ottobre alla Palazzina Liberty di Milano.
L'ultima tappa ha messo alla prova la collaborazione con il nuovo gruppo di esecutori del Tema ensemble e l'indubbio successo ottenuto è dovuto anche all'ottima collaborazione e professionalità fornita da questi nuovi partner e amici.
Ora, ribadisco ancora, la fase/le fasi successive sono tutte da inventare. Dovremo proseguire nei confronti e nelle discussioni, costruttive e propositive, come mostra di fare Luca Cori.
Con i miei migliori auguri per quanto potremo continuare a fare

Adam Vaccaro
---------------------------------


Innanzitutto, l'ultimo concerto: di durata equilibrata; i commenti fra un pezzo e l'altro hanno dato aria alle esecuzioni (e potevano essere anche un poco più lunghi, a me piace sempre sapere qualcosa in più su un pezzo e/o un testo, lo apprezzo come un momento di intelligenza preventiva in un evento); ottimi gli esecutori, ottime la loro disponibilità e risposta tecnica al programma, fatto di opere diversissime; l'acustica della palazzina liberty è terribile, ma questo lo si sapeva già; forse il lavoro di proiezione dei testi poteva essere più preciso, ma sono sbavature nell'equilibrio generale. Comunque, dal punto di vista del pubblico, la resa è stata molto buona e il bilancio sicuramente positivo.
Però non ci si può fermare a considerare Poiein2 come se fosse qualcosa di isolato: non dovremmo dimenticare che la dinamica della serata di domenica 8 ottobre deriva dalla pulizia progressiva di un'idea che era cominciata con durate e ritmi elefantiaci e che si è poi gradualmente smagrita fino ad arrivare alla condotta (tutto sommato) agile che abbiamo apprezzato domenica scorsa. Questa considerazione - positiva - è però smorzata da una conseguenza immediata: si è lavorato molti mesi alla ricerca di una formula organica alle nostre esigenze di comunicazione per arrivare a riscoprire infine la vecchia formula del "concerto", tale e quale si ritrova in ogni parte del mondo. Se ci pare che questa sia la maniera migliore per presentare ciò che facciamo, siamo liberi di continuare su questa strada: il vantaggio è che si tratta di una formula ben sperimentata e conosciuta. Però, un evento rappresentativo di una realtà quale è Milanocosa non può ridursi ad essere un semplice catalogo di poeti e compositori.
Cominciando adesso a ragionare non come pubblico, ma come responsabile in qualche maniera di Poiein2, non posso fare a meno di notare come la serata abbia preso anche ciò che di negativo si trova nella formula del concerto: la superficialità dell'ascolto istantaneo di un pezzo e un testo che vanno ad essere caselle di un catalogo, senza il tempo di rendere fisiologica la percezione dell'evento, perché ci sono tanti pezzi e tanti testi, e tutti molto differenti fra loro. Bisogna trovare il modo di trasformare la formula in modo che sia possibile comunicare nella sua integrità anche ciò che per noi è un elemento di grande ricchezza (la diversità) senza che essa ci sfugga di mano diventando superficialità o dispersione.
Una possibile soluzione mi pare di individuarla in questa direzione: rendere i nostri eventi più monografici. Cioè, concerti in cui trovano spazio solo tre o quattro compositori e poeti, in modo che di ognuno di essi si possa apprezzare più di un'opera: due, tre, quattro testi e pezzi per ciascuno in maniera che si possa uscire dal concerto con la possibilità e gli strumenti per conoscere secondo una certa ottica di continuità il lavoro individuale. In questo modo eviteremmo di cadere nella trappola del catalogo e forniremmo una solida base di ascolto e comprensione. Se dovessi andare a una collettiva di pittori, preferirei di gran lunga una mostra dove espongono solo cinque artisti - ma ognuno di loro presenta varie opere - piuttosto che vedere cento quadri di cento pittori diversi, naturalmente.
Espongo da solo qualche possibile obiezione: questa formula vedrebbe moltiplicare gli sforzi, economici e organizzativi. Potrebbe essere vero. Ma non dimentichiamo che in questo modo potremmo anche dividere gli impegni organizzativi, individuando fra gli artisti coinvolti dei referenti che si occupino solo di un evento in particolare, quello in cui sono coinvolti - lasciando a te il compito di coordinare da un punto di vista più generale. Per quanto riguarda gli impegni economici: non è detto che debba anche lievitare il numero dei concerti. Nella peggiore delle ipotesi, rimarremmo comunque sui due eventi l'anno (come ora) in modo che, a rotazione, tutti i compositori siano impegnati; nel corso di un biennio il circolo si completerebbe e quelli che non hanno esecuzioni staranno scrivendo per la tornata successiva.
In questo modo, per esempio, io potrei non avere nessuna esecuzione nel 2007; ma nel frattempo lavorerei coi poeti e nel 2008 verranno eseguiti i miei pezzi: nessuno perderebbe nulla in termini di visibilità - anzi, nel momento dell'esecuzione si potrebbe godere di quella prospettiva privilegiata di cui ho parlato prima. Inoltre il maggior tempo a disposizione per lavorare potrebbe dare a compositori e poeti la possibilità di individuare con più calma i percorsi da approfondire, e anche questo mi pare un aspetto positivo.
Sono convinto della bontà e dell'assoluto interesse di quanto stiamo proponendo; ma sono altrettanto convinto che non siamo ancora riusciti a trovare la maniera migliore per proporlo. Dovrebbe essere una formula propria di Milanocosa, una specie di firma stilistica che - allora sì - ci distinguerebbe da tutti gli altri organizzatori di concerti.
Luca Cori

A proposito di Scrittura Civile - Giuliano Zosi
Seguono riflessioni di Giuliano Zosi nel merito della ricerca avviata (vedi gli incontri alla Libreria Archivi del '900) sulla scrittura civile, con riferimento all'espressione musicale. Con acutezza e opportunità, Zosi si è ricollegato all'esperienza della prima fase di Poièin, cogliendo lo stesso filo di logica e coerenza.
Occuparsi dell'interazione tra i vari linguaggi e Arti o del problema della guerra (come in passato, da Versinguerra alla Carovana di Poesia e Musica), implica lo stesso moto di rottura di paratie e separazioni, che è statuto fondante di ogni fare creativo: unire, a partire da immagini, suoni e sensi, per ricostruire un senso umano da condividere. Moto da sùbito contrario a quello della logica di guerra, che ha per eccellenza statuto di separazione violenta tra gli esseri umani. Il valore del senso civile di ogni scrittura dovrebbe essere dunque quasi scontato o banale, mentre purtroppo oggi prevalgono chiusure autocentrante (sulla propria persona o sul proprio linguaggio). Tra queste ultime e visioni sovraccaricate di retorica e ideologia, volte a salvare il mondo o a incidere sul corso della Storia con le sole Arte, Poesia, Musica, c'è uno iato di possibile e oggi (per me) necessaria riflessione e riformulazione.
Questa la sollecitazione, profondamente coerente con tutto il percorso sviluppato nei 7-8 anni di vita di Milanocosa, che Giuliano Zosi ha colto molto bene.

Adam Vaccaro
-----------------------

Poièin II° Fase e senso civile di ogni scrittura

Siamo al settimo anno di attività dell'Associazione Milanocosa e al terzo del progetto specifico Poièin. I risultati ottenuti ci hanno permesso di rendere reali nuovi intenti di coalizione tra musica e poesia, per una rinascita di un pensiero artistico, là dove l'alba del 2000, ci dà invece una morte precoce per arteriosclerosi di ogni forma di ricerca di incontro tra le diverse discipline. In questo senso Milanocosa, nella personalità del Presidente Adam Vaccaro, ha lavorato con estremo senso critico, alla ricerca di un'alternativa chiusa allo specifico di ogni singola arte.
L'ultima giornata dedicata a Poièin ha dato una qualità di poesia e musica che ha impressionato molta parte del pubblico, e specialmente alcuni grandi organizzatori di strutture musicali ufficiali milanesi.
Ciò ci rallegra, ma non ci deve fermare nei nostri intenti di esprimere una vera alternativa alle strutture che già esistono nella musica e della poesia rimaste lontane dai nostri intenti di ricerca e di innovazione.
Adam Vaccaro ha dichiarato nell'ultimo concerto e nell'ultima riunione che il programma della ricerca Poièin (almeno nella sua prima fase) era terminato. La ricerca, infatti, da noi espletata, ha dato i suoi frutti: poeti e musicisti si sono incontrati cooperando con estrema serietà, creando collaborazioni più felici e altre meno, ma portando comunque ad un risultato di qualità che non ci aspettavamo così presto. Per in più, i poeti e musicisti hanno realizzato le loro opere in collaborazione sperimentando tutte quelle possibilità di apertura e innovazione che avevo prospettato nel precedente programma.

E qui siamo al punto!
Leggo sulla Repubblica del 27 ottobre 2006: "Afganistan, massacro di civili-Raid della Nato, almeno 50 morti tra cui molti bambini".

Cito soltanto il titolo di testa perché non sta a me di fare a voi la morale sulla condotta della Nato. Anche se mi piacerebbe! Ma a questo punto la situazione diventa davvero pesante. Propongo questo esempio perché può certamente colpire la vostra opinione, in quanto non si tratta soltanto di semplici errori o schermaglie politiche dentro la nostra nazione (che oramai ci fanno più o meno sorridere), ma di un problema internazionale che abbiamo più volte dibattuto nella nostra Associazione, come stimolo contro la guerra e come denuncia contro l'assurdo conflitto in cui la nazione americana ci ha trascinato. Capisco che non è la prima volta che queste cose succedono: ricordo un raid aereo americano, in Iraq, dello stesso genere, con bombe intelligenti?-inutili! In un mercato di Bagdad..
La nostra musica; per prima la mia, non ha più senso in questo delicato momento se non diviene un nuovo messaggio, sia di testimonianza, sia di partecipazione, sia di contrattacco allo sterminio di indifesi, contro una guerra, e, soprattutto denuncia di una politica che non ci dà alcuna speranza di risoluzione nel futuro. Anzi! Vogliamo continuare a descrivere poeticamente e musicalmente le nostre masturbazioni?

Viviamo giornalmente nella più assoluta blasfemia, immemori della nostra responsabilità dei fatti che accadono. In questa situazione il poeta e il musicista si devono fare carico di tutta la responsabilità che la scrittura ci impone. È possibile che nonostante tutto, la posizione dell'artista debba essere di assoluta noncuranza di ciò che sta succedendo nel mondo, contro di noi, contro il vivere civile, contro la nostra responsabilità etica, contro ogni giustizia?

Propongo perciò a voi tutti, di farvi carico di questa responsabilità e di collaborare alla testimonianza, pena l'inutilità del nostro messaggio di artisti.

Se la prima fase della nostra collaborazione legata a Milanocosa, ha esperimentato le nostre simpatie di pelle tra musicisti e poeti (operazione svolta in tre anni), saremmo già maturi per un operazione certamente più impegnata politicamente, che ci permetterebbe di portare avanti un discorso di ricerca, atto a identificarci con i costumi sociali, i valori etici, i confini tra il possibile sopportabile e la rabbia in corpo per massacri e assassinii di cui indirettamente siamo responsabili.

Il poeta, dunque, cerchi il suo musicista, quello che gli piace, con cui si sente a suo agio, per porgergli una poesia che lo coinvolga nella testimonianza del marasma generale e, soprattutto, nella coscienza di avere dei mezzi illimitati per far conoscere le cose del mondo.

I mezzi tecnici dell'esecuzione della poesia e della musica sono quelli: appunto gli strumenti musicali e le voci della musica e della poesia; ma l'impegno ad entrare in diretta sulla realtà che ci circonda, in modo più forte, più preciso diviene nella nostra attualità, una necessità non più rinunciabile..

Noi tutti sappiamo l'impegno propagato da Luigi Pestalozza da tempo, nell'ambiente musicale, per un discorso di questo genere. Un impegno forse troppo legato alle ragioni di partito. Ma ci avvediamo immediatamente che tali iniziative sono spurie: non riescono, cioè, dopo l'esempio profondo di Modest Mussorgskij o di Luigi Nono, a divenire una realtà di fatto del mondo contemporaneo. Nonostante questi sforzi, un numero prevalente di artisti continua a nascondersi dietro scelte che sembrano riferirsi solo al proprio linguaggio, senza nulla o poco più poter dire o dare a ciò che sta fuori. Lo sbocco è un piacere solipsistico e una visione di autocompiacimento, che pone i loro soggetti, le loro emozioni, i loro ricordi, le loro intemperanze psicologiche, avanti tutto, dimentichi della visione civile cara a Dante, a Puskin, a Dostoevskij, a Beethoven, a Mussorgskij, a Chopin, a Verdi, a Schoenberg, a Nono, a Messiaen, a Ives, a Manzoni.

Milano, 27 ottobre 2006
Giuliano Zosi

 

Il libro del mese - Ottobre 2006 - Roberto Caracci:
La paura di amare di Gianni Azzola
Edizioni Nuove Scritture, Milano 2006, pp.92,€ 15.00


QUATTRO RIFLESSIONI DI ROBERTO CARACCI

L'incapacità di Abbandono
Il titolo di questo libro è talmente semplice, lapidario, innocente, da apparire inquietante.
Che cosa si può dire ancora oggi, che cosa può dire la psicanalisi nel terzo millennio, su una intolleranza antica come il mondo, la nostra vecchia inossidabile immarcescibile paura di abbandonarci all'amore?
E' solo questione che riguarda i malati di mente, i soggetti in analisi, i narcisisti, i nevrotici, gli schizofrenici, i maniaco-depressivi? O è qualcosa che larvatamente si insinua anche nelle menti apparentemente più serene, nelle personalità cosiddette 'normali', alle quali si potrebbe addebitare - se non una incapacità cronica assoluta di amare l'altro - una incapacità 'relativa' di abbandonarsi completamente all'amore, di esprimere liberamente le proprie emozioni con l'altro? In realtà esistono mille sfumature, mille piccoli segnali di resistenza, remore e freni, timori e tremori, all'abbandono amoroso - e non è detto che questi riescano sempre a incrinare una solidità di coppia basata su altri presupposti, istituzionali, di simmetria caratteriale, di complicità esclusivamente affettiva (coppie che si reggono sul voler bene, mescolato magari alla stima reciproca, e non sull'amare come abbandono passionale).

Dal transfert allo svezzamento (dallo psicoterapeuta)
Ma il titolo non rende esaustivamente la complessità delle tematiche affrontate da questo volumetto, che ruotano intorno a quella che si potrebbe definire più specificamente una paura di vivere. Azzola ritrova questa paura in figure esemplari (amici e conoscenti, non ovviamente pazienti, dai nomi immaginari), spesso specchi di una propria personale problematicità da controtrasfert nel vivere integralmente l'esperienza amorosa: l'interesse di questo libro sta proprio nella posizione dialettica di uno psicoterapeuta che non rappresenta il dramma dell'incapacità all'abbandono amoroso 'fuori di sé', con la lucida oggettività scientifica di uno studio da laboratorio, ma si colloca come soggetto coinvolto accanto a 'soggetti'. In tutto il libro domina un tu caldo, amichevole, con un tocco paterno e talvolta sapienziale, o pedagogico. In questo tu si misura un livello fortemente dialogico di transfert e controtransfert, in cui l'io dello psicoterapeuta passa in secondo ordine così come lo stesso io dell'amico-paziente, con una operazione da epochè fenomenologica, per fare emergere protagonista l'Alterità: perché è nel rapporto con l'Altro che possiamo trovare l'unica energia per sperare di uscire dalle secche del narcisismo, del solipsismo affettivo e delle frustrazioni non elaborate. Nel gioco di transfert e controtransfert (parole del resto mai usate in questo libro dal linguaggio non tecnicistico) l'Altro - in fondo provvisorio e strumentale - è lo psicoterapeuta, che tuttavia fa il suo mestiere solo se è in grado di ri-consegnare lo spazio dell'Alterità, liberato dal dialogo psicanalitico, al soggetto in analisi. In pratica il ruolo dell'analista è quello di favorire lo svezzamento dalla dipendenza affettiva, l'elaborazione di lutti e frustrazioni non smaltite, la gestione di un patrimonio sommerso di energia, fiducia e creatività lacerato da scissioni interne, sensi di colpa, blocchi psichici e aggressività. E in questo libro Azzola mostra come, in fondo, scopo di un buon psicoterapeuta è soprattutto quello di svezzare il paziente da se stesso.

La paura della dipendenza affettiva (e della perdita dell'onnipotenza)
Il mastice che ripara le lacerazioni e le frustrazioni della psiche è certo l'Amore, ma questo mastice è delicato e va manipolato con attenzione, talvolta con fatica e lavoro interiore: amare non basta, bisogna esserne capaci al punto da coinvolgere anche l'altro (se è vero che amor ch'a nullo amato amar perdona), grazie alla non-dipendenza affettiva e alla non aggressività. E' particolarmente interessante come Azzola metta in luce questo doppio ambiguo aspetto dell'affettività deviata - la dipendenza affettiva come amore morboso e l'aggressività dovuta a questa stessa dipendenza, come odio - nello stesso atteggiamento del paziente in analisi nei confronti dello psicoterapeuta. Questo avviene perché spesso la paura di amare sembra legata a quella di dipendenza da un soggetto altro. Tale paura di dipendenza è a sua volta legata a quella di perdere l'oggetto amato, ritenuto onnipotente e dunque capace di abbandonarti e farti soffrire. Se il soggetto in questo diviene lo psicanalista, questi assume su di sé il ruolo di bersaglio positivo - nell'amore come attaccamento e dipendenza - e negativo - nella claustrofobia rabbiosa di chi è cosciente di dipendere affettivamente da un altro.

La metabolizzazione del dolore e della separazione
L'incapacità di tollerare il dolore, la frustrazione, la separazione o il suo rischio, lo svezzamento, l'abbandono, la stessa morte dell'altro - in una parola l'incapacità di elaborare il lutto di ciascun distacco affettivo, reale o potenziale - è dunque all'origine di quella mancanza di coraggio, se così si può dire, che impedisce di arrischiare se stessi nel mare magnum dell'amore. Non siamo mai del tutto lontani dall'istante di pura sofferenza vissuto da bambini al constatare che il corpo della madre e il suo sorriso non erano al cento per cento a nostra disposizione: essendo anche lei capace di vivere indipendente da noi e andare via (anche se per tornare).
Dietro questa eziologia dell'incapacità all'abbandono amoroso, vi è certo il presupposto implicito che l'amore sia comunque un atto di coraggio, un misto di spontaneità e di alea, di rilassamento e di rischio. E inoltre vi è l'altro fondamentale presupposto kleiniano che esistono due tipi di frustrazione depressiva: quella inchiodata nel presente di una rinuncia alla gestione del dolore, con conseguente angoscia, inibizione interiore e distruttività esteriore; e quella aperta al futuro, ossia al governo e al superamento della voragine, con quella tendenza al balzo che non è soltanto la premessa del saper amare, ama anche della creatività. "Non accettare il dolore, la frustrazione e il lutto - scrive Azzola - significa morire insieme a ciò che abbiamo perduto'"

Il mondo interno dei genitori introiettati (e non solo loro)
I nostri genitori hanno mille responsabilità nel processo della nostra formazione psichica, ma fin da bambini essi finiscono col contare paradossalmente di meno dei loro simulacri interni, ossia delle figure genitoriali introiettate che costituiscono il nostro Mondo Interno. A un certo punto della nostra vita, molto molto presto, noi abbiamo a che fare quasi esclusivamente con queste figure introiettate; che possono di volta in volta in questo teatro apparire buone e dolci o distruttive e persecutorie - come nei boschi delle favole o nei nostri sogni. A un certo punto, dunque, non si tratta più tanto di gestire gli altri in carne ed ossa, fossero pure nostro padre e nostra madre, ma i loro doppi interni: si tratta di addomesticare divinità buone e malvagie che abbiamo lasciato allignare nel nostro mondo interno. Sono questi gli Archivi della Mente. Anche Kafka nelle sue opere ha parlato di una famiglia esclusivamente interna, di un padre più introiettato che reale.

Ciascuno di noi è un re nudo (e pronto ad amare) dietro la sua corazza
Che uno psicanalista insegni ad amare è un'utopia. Che riesca ad aiutare ad abbattere quelle colonne d'Ercole che impediscono di affrontare la pericolosa navigazione verso gli oceani - spesso insidiosi - del saper amare, questa è una scommessa che può essere vinta anche in analisi.
Il primo dovere di uno psicoterapeuta, ci insegna Azzola, è convincere il paziente o l'amico che la sua corazza non è d'acciaio, è forse più simile a quella di Don Chisciotte, magari di cartapesta. E che il re dentro di lui, quel re che da sempre regna da solo tiranneggiando se stesso nella sua narcisistica solitaria irrespirabile turris eburnea, è Nudo - e solo per questo pronto ad Amare.

Roberto Caracci



Rete e Link

A cura di Fabiano Alborghetti

www.lattenzione.com (rivista via Internet fondata da Alborghetti, Centofanti, Sannelli, Orgiazzi, Manzoni, Pizzo, Ramberti che cura aggiornamenti e riflessioni mensili tra cultura, poesia e società.

www.lietocolle.com (sito ufficiale della LietoColle Libri dove - oltre agli aggiornamenti sulle novità editoriali - trovano ampio spazio comunicazioni su eventi letterari, reading, e quant'altro connesso al mondo della poesia. Gli aggiornamenti in tempo reale)

Sguardo di transito www.bloggers.it/zeppo1947/index.cfm?blogaction=archive&file=blog_3_2006.xml (blog del poeta, critico e saggista Franco Romanò)

www.chiaradeluca.com (il sito ufficiale con blog della scrittrice traduttrice e poeta Chiara de Luca)

www.poetrywave.com sito a cura dello scrittore Antonio Spagnuolo

www.musicaos.it (uno sguardo su cultura e letteratura)

www.lapoesiaelospirito.com (sito con blog del filosofo, poeta e Sacerdote Fabrizio Centofanti che offre scritti critici su poesia e letteratura ed aggiornamenti)

www.universopoesia.splinder.com (sito e blog del critico e poeta Matteo Fantuzzi che offre argomenti critici e saggi inerenti letteratura e poesia)

www.liberinversi.splinder.com (blog del critico e poeta Massimo Orgiazzi che offre argomenti critici e saggi inerenti letteratura e poesia ed ultimamente una bacheca di giovani - e non - poeti che propongo i propri testi)

www.arabafelice.it (associazione culturale femminile che offre aggiornamenti su letteratura ed altro)

www.arpanet.org (sito ufficiale delle edizioni ARPAnet con aggiornamenti culturali, comunicazioni di settore, saggi, recensioni)

www.literary.it (è il Sistema Letterario Italiano, presente dal 1997 per pubblicizzare le attività dedli Autori e si quanti operano nel mondo letterario italiano. E' uno portale con aggiornamenti a 360° in tempo reale)

www.comunicarecome.it (Portale di comunicazione ed infoprmazione indipendente)

www.poesiaoggi.splinder.com (sito e blog del poeta Marco Saya)

www.novurgia.it (musica e arte contemporanea)

www.libreriadonna.com (sito ufficiale di Mirella Floris con scritti, saggi, novità letterarie)

www.archivi900.com (sito ufficiale della libreria Archvi del 900 di Milano che offre una vastissima sezione poesia, una attenza offerta di libri rari ed edizioni pregiate e sono promotori di eventi nelle Sale che hanno a disposizione in loco. E' possibile ricevere la newsletter con gli aggiornamenti)

www.culturalibera.com (Portale con aggiornamenti culturali continui per l'are di Padova e Veneto)

www.diariodipoesia.it (Portale/Settimanale di poesia Italiana a cura di Davide Tornaghi)

www.musicainfinita.org (Associazione Culturale Musicale nata nel 2003)

Comune di Malo www.comune.malo.vi.it/a_3723_IT_3494_1.html (Sito ufficiale del Comune di Malo - Vi -)

Gladys Sica www.artesica.it/Pag/EventiAltroLinks.html (pagina web della rinomata pittrice e poeta Gladys Sica)

www.boccherini.it - Istituto "Boccherini" di Lucca

www.renzocresti.it - Direttore dell'Istituto "Boccherini" di Lucca

Libreria

Libri ricevuti in corso d'opera

 

Osservatorio Riviste

A cura della Direzione de Il segnale

 

Biblioteca

Segnalazioni & Recensioni

 

Saggistica

Beckett e Keaton: il comico e l’angoscia di esistere

Sandro Montalto

Edizioni dell’Orso, Alessandria 2006; pp. 192, € 16,00

Sandro Montalto nell'ultimo quinquennio ha pubblicato diverse opere di poesia, narrativa e di saggistica. Tuttavia, sia nel suo lavoro critico, sia in generale, raramente m'è capitato di vedere adottato con tanta (seppure dall'autore non esplicitata) acribìa il metodo analitico spitzeriano - che sintetizzerei qui nella formula "dal particolare alla totalità". Montalto, in quest'ultimo saggio, con notevole eppur cosciente coraggio, riaffronta quel Beckett, che, secondo il suo editore John Calder è l'autore più chiosato dopo Gesù e Napoleone! L'originalità sta nel fatto che Montalto riprende un'opera poco conosciuta fra i non addetti, e precisamente il copione cinematografico di "Film" redatto nel 1964 e realizzato (in bianco e nero, muto, 22 minuti) con la regia di Alan Schneider e l'interpretazione di Buster Keaton. Vi si racconta la vicenda di un personaggio che si muove, in una surreale aura paradossale, sotto la costante minaccia di un "Occhio", che è poi la stessa macchina da presa.
Al di là dell'interesse specifico per questa operina che fa incontrare due maestri dell'assurdo, il lettore viene travolto dal lavorìo quasi ossessivo della scrittura interpretativa di Montalto. Che, oltre a rileggere, talvolta con modalità inedite, la vicenda letteraria beckettiana, inserisce questa sua attenzione per "Film" in un vastissimo contesto critico, storico, epocale, filosofico: letterario, teatrale e cinematografico. "Film" quindi è un nobilissimo pretesto per cogliere le innumerevoli ragioni delle ricerche creative del Novecento. Ciò, com'è intuibile, comporta una sostanziosa raccolta di note e apparati bibliografici.
Un saggio che va consigliato a chi desideri riprendere Beckett, ma altresì a chi voglia farsi ancora una volta coinvolgere da raffinate questioni di metodo.


Gio Ferri

Sotto  il  vulcano

Tiziano Salari

Rubbettino Editore, 2005

Con questo libro Salari non intende dare una linea interpretativa del pensiero di Leopardi assolutamente inedita, tale da contrapporsi alla sterminata produzione relativa all'opera del recanatese, ma "ricondurre all'unità questo molteplice universo, articolandolo secondo le ragioni più segrete del suo pensiero e della sua storia poetica" per tentare di cogliere il costituirsi di un percorso ricco, complesso e personalissimo, attuato dal nostro. Con una sintesi unica di pensiero e poesia, infatti, in Leopardi emerge il concetto di pessimismo, unitamente però al rapporto tra l'antico e il moderno, tra le illusioni e il momento di accettazione lucida del nulla dato in sorte all'uomo dalla Natura. Al termine del percorso proposto da Salari, che segue anche alcune tra le voci più intense della cultura italiana del '900, emergono richiami e rimandi tra queste scritture, analizzate qui con competenza interpretativa e con una scrittura acuta, ma anche sempre scorrevole, che invoglia il lettore a seguire con passione la lettura critica che Salari sviluppa qui con estro e con sapienza.


Gabriela Fantato

VVV - Valore, verità, violenza

AA.VV. (a cura di Adriano Accattino)

Fondamenta Nuove, Ivrea 2006, 128 pp, s.i.p.

"Fondamenta nuove" nasce come un luogo aperto di indagine sulle forme le condizioni, anche sociali, della consapevole esplicazione ed evoluzione della persona umana. Questo il progetto di una rivista che ha in passato raccolto diversi contributi di valore: da segnalare, e non en passant, Politica e sogni di Adriano Accattino (numero speciale di "La Memoria di Adriano", n. 8, giugno 2006), raccolta degli editoriali apparsi su "Il Martello", esperienza (prematuramente e disgraziatamente scomparsa) di giornale di politica e cultura di cui Accattino, fondatore di "Fondamenta Nuove", è stato uno dei direttori.
Oggi "Fondamenta Nuove" è sdoppiato: un sito aperto a tutti coloro che con i loro scritti vogliano contribuire (www.fondamentanuove.it) e una pubblicazione cartacea trimestrale. Il tutto si propone come una delle più vive occasioni di confronto culturale: vedremo se la vigliaccheria generale - colpa ancora più radicale e primitiva dell'opportunismo, nel mondo letterario - lascerà spegnere anche questa.
Questo numero speciale (n. 6 - 7) la rivista raccoglie gli atti del convegno "La realtà disfatta? Interventi d'emergenza su valore, verità, violenza" svoltosi a Ivrea il 1 e 2 aprile 2006. Sono presenti contributi di Adriano Accattino, Raffaele Perrotta, Piero Flecchia, Andrea Papi, Ernesto Vavassori, Giuseppe V. Accattino, Paolo Dolzan, Carlo Sliepcevic, Giorgio Linguaglossa, Paolo Facchi, William Xerra, Roberto Bertoldo, Giancarlo Pagliasso, Marzio Pieri. Pochi interventi sono fumosi e inconcludenti, alla maniera tipica (più egocentrica ed estetica che scientifica) di un certo modo di fare convegni "entre nous", ma gli altri sono in gran parte interessanti, alcune volte davvero stimolanti dal punto di vista sia teorico che civile (l'intervento di Bertoldo Profili e contraddizioni della violenza su tutti).


Sandro Montalto

Giardini Ospitali

Enrica Salvaneschi
Book Editore, Bologna 2006, pp. , €

Disvelare Ambienti e momenti di Émile Zola poeta, attraverso un rifrangersi e riproporsi di immagini, figure, metafore, che rinviano specularmente ad altre immagini, figure, metafore che ci rapportano ai fondamenti archetipici e mitici della condizione umana, è il pellegrinaggio in cui la Salvaneschi s'inoltra e ci invita a seguirla, in questo splendido saggio, nella selva dei Rougon-Macquart. Il topos del giardino è il filo conduttore o il claro (secondo i "chiari del bosco" di Maria Zambrano) di improvvisi filamenti di luce nel buio di storie disperate. In altri termini, si potrebbe dire che il tema che ossessiona Enrica Salvaneschi è l'intreccio di jouissance e souffrance che il giardino "sia in accezione propria sia in un possibile slittamento metonimico, secondo il quale anche uno sfondo di libera natura - un colle, un prato, un bosco, un clivo in acqua di suo imo - viene in qualche modo ridotto a giardino" (G.O., p. 27), apre nel determinismo zoliano dell'essere. Vite ridotte a passive espressioni del meccanismo biologico e sociale ereditario (a pura animalità, scriveva De Sanctis in una pionieristica conferenza su Zola e l'Assommoir), si disincarnano fuggevolmente dal loro proprio patire, dalla loro propria originaria e inobliabile passività. Un libro in cui occorre smarrirsi, come in un abisso di corrispondenze che si spalanca dentro l'universo dei Rougon-Macquart, e tra i Rougon-Macquart e l'immaginario mitico e letterario del lettore occidentale.

Tiziano Salari

Gesù e Yahvè. La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo

Harold Bloom
Rizzoli, Milano 2006, pp. 280, € 18,50

Prima ancora di immergerci nelle pagine del libro, ci ha colpito il suo sottotitolo, che recita La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo. In lingua originale lo stesso è invece: The names divine. Pur sembrandoci ozioso mettersi a speculare sulla scelta editoriale di questa soluzione linguistica, viene tuttavia da osservare che, nella versione italiana, il sottotitolo rischia di mettere troppo frettolosamente a nudo il complesso gioco di specchi innescato da quel grande "ironista" che, mai come in queste pagine, Bloom dimostra di essere.
L'autore si mostra perfettamente consapevole dello scopo del suo discorso: "Senza dubbio il vero Gesù è esistito, ma non verrà mai trovato, e non è nemmeno necessario che ciò accada. Questo libro non vuol essere una ricerca di Gesù. Il mio unico scopo è quello di suggerire che Yeshua, Gesù Cristo e Yahvè sono tre personaggi totalmente incompatibili, e di spiegare soltanto le motivazione della mia teoria. Di queste tre entità (per chiamarle così), Yahvè è quella che mi dà più da pensare e che, sostanzialmente, domina il libro. I travisamenti della sua figura, inclusi quelli di gran parte della tradizione rabbinica e quella degli studi apocrifi - cristiani, giudaici e laici -, sono infiniti. Egli rimane il più grande personaggio letterario, spirituale e ideologico dell'Occidente, anche se viene poi di fatto chiamato con una serie di nomi differenti che vanno da "Ein-Sof" ("Senza Fine"), nella cabala, ad Allah, nel Corano. Un Dio capriccioso, che mi ricorda un aforisma dell'oscuro Eraclito: "Il tempo è un fanciullo che gioca spostando i dadi: il regno di un fanciullo"" (p. 17).
L'ardimento dell'operazione di Bloom, e proprio in questo risiede la cifra della sua ironia, sta soprattutto nel conferire lo statuto di finzione letteraria alle più sacre e intoccabili figure fondative della religiosità occidentale, che da tempo immemorabile sono state concepite dai teologi come indiscutibilmente storiche. In tal senso, Bloom si sbilancia fino al punto da riconoscere che, al vertice di quel canone letterario occidentale da egli teorizzato nell'omonimo libro, si collocherebbe il cosiddetto "redattore Y", l'anonimo autore dei testi più sublimi della Bibbia ebraica (Tanakh), seguito a debita distanza dallo stile dell'Amleto e del Re Lear di Shakespeare, che ne sarebbero i legittimi eredi.
Protagonista della ricognizione storico-letteraria dell'autore, in realtà, è soprattutto il "personaggio letterario" di Yahvè. A séguito della diffusione globale del cristianesimo, il Dio di Israele ha finito per far sentire sempre meno al suo popolo la sua voce, rifuggendo sempre più da ogni salvifico intervento a suo favore nella storia: "Il mistero di Yahvè sta nel suo darsi il nome di una presenza che può anche scegliere di essere assente. Sia le glorie sia le catastrofi della storia ebraica implicano un Dio che si esilia tirandosi indietro dalla fedeltà all'Alleanza" (p. 231). Leggendo questa pagina in trasparenza, si può notare come a scrivere qui sia soprattutto lo "gnostico" ebraico Bloom (come si autodefinisce), eminente teorizzatore del canone letterario occidentale e al tempo stesso funambolico adepto dei vertiginosi labirinti della Qabbalà luriana (sempre che sia lecito separare nell'opera di Bloom i due percorsi).
Bloom si confronta anche con la spinosa questione della verità storica della figura di Gesù (Yeshua in ebraico). La conclusione - lapidaria e inesorabile come forse solo la più prestigiosa firma della scuola di Yale potrebbe permettersi - è la seguente: "Le ricerche sul "Gesù storico", anche quando vengono condotte dagli studiosi più autorevoli e attenti, finiscono invariabilmente per fallire. I ricercatori, per quanto scrupolosi siano, trovano soltanto se stessi, e non lo sfuggente e inafferrabile Yeshua, enigma degli enigmi" (p. 9). Dall'enigma e dall'evanescenza (storica) dell'ebreo Yeshua, Bloom passa a ribadire la non meno vuota astrattezza (teologica) della figura del Cristo paolino, successivamente inserita dai Padri della Chiesa greci e poi latini in quella articolata speculazione trinitaria che ne ha fatto un'ipostatizzazione non più sovrapponibile all'immagine del falegname galileo.
Un limite vistoso della posizione "soltanto letteraria" di Bloom ci sembra invece risiedere nella sua difficoltà (molto confessionale e ben poco gnostica, a ben vedere) a comprendere il "concetto di Gesù Cristo come un Dio che muore e risorge. […] Posso comprendere uno Yahvè che si è eclissato, ha disertato o si è autoesilito, ma uno Yahvè suicida è qualcosa che, di fatto, si colloca al di fuori dell'ebraismo" (p. 15). Non consiste, infondo, proprio in questa difficoltà quella frattura originaria tra Ebraismo e Cristinesimo annunciata nel sottotitolo del libro? Verrebbe quindi da consigliare a Bloom di mettere per un momento tra parentesi la prospettiva psicologia "ebraica" (ossia ortodossamente freudiana) sottesa a tutta la sua argomentazione e di concedersi di dare almeno un'occhiata a quella Risposta a Giobbe in cui Jung, vale a dire il più gnostico dei discepoli di Freud, si è confrontato con la zona d'ombra presente nel profondo del paradossale Yahvè, leggendovi i prodromi del suo successivo e messianico svuotamento (Kenosis).

Fabio Botto

Raccolte di poesie

Album feriale

Maria Pia Quintavalla

Archinto, Milano 2005, pp.92, 9,50 €

Come si colloca questo libro e come proseguono o variano i caratteri originali del percorso di scrittura di Maria Pia Quintavalla? Rimane l'evocazione di presenze assenti, in particolare della propria origine, con l'attivazione di un palcoscenico memoriale teso al coagulo di sé e alla ripresa del senso di appartenenza: uno scenario esterno-interno di ambienti, oggetti, immagini ed echi di "voci rumori/ di altro tempo" della prima formazione, per misurarsi con le difficoltà del presente e del vacuum di senso, da cui derivavano canto interrotto e fascinazione di astanza sacrale.
Il canto in questo testo è più disteso e poematico, fino a isole di scrittura in prosa. La struttura e le forme più fluenti e i contenuti più dichiarati, in una scrittura che si muove tra una verticalità che intreccia toni mistici e una orizzontalità narrativa, con accentuazioni enfatiche ed evocative: "Oh grande fiume che prepari/ e r i p a r i/ parole colpe…/ parolefiume e grande padre,/ oh fiume lieto, energia soave/ che zampilli e festeggi nelle spume/ / io qui seduta dirimpetto osservo/ quanta lieta voglia di vivere traspare/ e sento/ l'aria fine che fa libero/ il cuore e le sue brume -/…/…o largo fiume che/ di notte affondi - e stendi/ la tua seta come mano"(p.17).
Sono i primi versi tra i più belli del libro, che danno il tono, il là a un disegno di scene che sono come di sollecitazione di un mantra, di ricerca di quel respiro, che cura e calma (almeno per un momento) le ansie e riduce l'angoscia della separazione.


Adam Vaccaro

Antartide

Roberto Mussapi

Guanda, Milano 2000

In questo poema epico Mussapi ripercorre, rivive e reinventa lo storico viaggio verso il Polo Sud compiuto ai primi del Novecento con la nave Endurance alla guida del comandante Shackleton. Il poeta coglie nell'eroica e tragica vicenda di quei marinai una sfida di resistenza e tenacia che è soprattutto impresa interiore, in quanto in quel deserto di gelo l'equipaggio vive una sorta di rito iniziatico. Nello sconforto e smarrimento interiore che si attuano dopo che la nave si incaglia nei ghiacci, gli uomini scendono nel 'buio' dell'anima, ma alla fine c'è il ritorno a casa, che è anche un 'ritorno alla luce', in quanto ciascuno avrà acquisito in quel tempo una sapienza nuova. Chi racconta la vicenda è Thomas Crean, il secondo di bordo, il poeta stesso, che richiama dal 'buio' della memoria le immagini, facendole rivivere e tramandandole per noi. La scrittura di Mussapi è qui lontana dal lirismo ma, al contempo, il procedere 'orizzontale' del racconto è inframmezzato da sospensioni o dilatazioni temporali, inoltre nel viaggio si aprono di continuo 'visioni', incuneandosi con naturalezza dentro l'accadere lineare e realistico dei fatti, creando un movimento imprevisto dentro la scrittura. Il ritmo del testo inoltre non procede mai 'pianeggiante', secondo una sintassi prosastica, ma è fortemente iterativo, ritmico e mobile. Insomma, siamo di fronte a un vero poema, dove la poesia si intreccia alla storia vissuta, svelando un corale sentire dei personaggi che sfidano la Natura e loro stessi. Opera da rileggere questa, che testimonia il legame di Mussapi con la migliore tradizione non solo classica, ma anche con l'opera dell'ultimo T.S Eliot, grande autore mai abbastanza capito e valorizzato dalla cultura italiana.

Gabriela Fantato

Canzoniere scritto solo per amore

Daniele Piccini

Jaca Book, Milano 2005,

Come il titolo dichiara siamo di fronte a un canzoniere dedicato al padre scomparso e che si sviluppa seguendo un sentimento che ha radici profonde ed è l'amore, appunto, che crea una "somiglianza", come la definisce l'autore, una 'corrispondenza d'amorosi sensi' tra chi è vivo e chi non c'è più, un legame tale da permettere al nostro autore di ascoltare tutti i suoni e rumori della natura attorno e decifrarli come fossero 'geroglifici' di una lingua da svelare. È il farsi vuoto dell'Io del poeta che gli permette di accogliere la parola che viene dalla Natura, testimoniando la presenza del padre anche dopo la sua dipartita. Ma questo non è un diario di ricordi, né di 'visioni', bensì è un libro che ha un'unità poetica forte proprio nel dare voce al legame tra vivi e morti, cogliendo il filo sottile che c'è tra concretezza del mondo e dimensione immaginale e spirituale dello stesso. Libro coraggioso questo, che mette a nudo l'anima del poeta e svela la tenacia dell'amore, offrendoci anche una visione che riprende la più ricca tradizione italiana, ma sapendola fare propria. Piccini, infatti, sa rivivere alcuni temi classici - quali il ruolo della memoria come fonte di civiltà e di legame con i trapassati - innestandoli su una poesia commossa, ma mai sentimentale, in una scrittura composta e di alta tensione lirica.

Gabriela Fantato

Esequie del tempo

Sandro Montalto

Piero Manni, Lecce 2006, pp. 77, € 10.00

Esequie del tempo è il secondo libro di poesie di Sandro Montalto. Tra la prima raccolta (Scribacchino, poesie 1993-1999, Ed. Joker, N. Ligure 2000) e questa, in forma di poema, sembrano trascorsi decenni. Dai tratti di giovanile scorribanda ludica della prima raccolta, emerge ora un profilo che somiglia più a un anziano con poca voglia di giocare con le parole; cui si confà più un esercizio "di essere grave"(p.12) e di bilanci che "inducono a un resoconto, un testamento"(p.7), senza tralasciare lampi di autoironia "fra le nubi e le cime della disperazione"(p.9).
Su tale crinale di spazio-tempo l'interrogazione si fa visionaria quanto più tempo soggettivo e tempo storico tendono a essere convissuti nel corpo: "il cuore antico si perde nel deliquio", in un tempo "che attraversa le epoche" e "Sull'orlo dell'abisso del non sapere/ si sagoma una gioia che fu", cui non bastano più "Tossiche ninnananne"(p.7), proprie e altrui. È un bilancio che intreccia percorso personale e collettivo in questo tutto/nulla che tende a saziarsi "di un desiderio di abbondanza", in cui quel cuore antico "Crolla nella sciagura estetica" di un "tempo di incerti giudizi/ e finzioni di etica sciagura."(p.10).


Adam Vaccaro

La città immaginata

Laura Piovesan

LietoColle Libri, Faloppio 2006, pp. 33, € 10.00

Edito in seno all'iniziativa Opera Prima, questa prima pubblicazione di Laura Piovesan (di Treviso, classe 1978) seppur apparentemente scarna nella quantità di testi è tuttavia lucida e pienamente costruita: i testi, racchiusi sotto un titolo/cappello da abitare - città appunto - , fanno riferimento alla ricerca dell'approdo essendo la Piovesan residente all'estero ed itinerante da anni. Ecco cosi srotolare lentamente e con precisione immagini di luoghi in cui viene concesso - con parsimonia - di entrare sia per abitare, sia per vedere il tempo prima. Impagabile a tale proposito, il testo a pagine 13 dove, tra versi minuti - che dalla seconda parte vengono scanditi da punti i domanda - leggiamo quella che apparentemente sembra una comune lettera. È qui l'artificio candido però: non solo leggeremo del luogo in cui l'autrice vive, ma dell'autrice/mittente in correlazione a un destinatario cui la lettera viene rivolta: entreremo nella vita del destinatario (vita sollecitata/scandita dagli interrogativi), scoprendo cosi che quello era il fine dello scritto, valicare la dimensione del sé.
Una lingua che - come annota anche Mary Barbara Tolusso in prefazione - è chiara e nulla concede alla retorica. E il rischio di cadere dal verso nella prosa , riuscendo però a sporgersi con forza su quella difficile soglia, viene domato con sicurezza e coraggio.


Fabiano Alborghetti

La forma della vita

Cesare Viviani,

Einaudi, Torino 2005, pp. 181, € 11,80

Una nuova fase della ricerca sperimentale di Viviani - la poesia in prosa - con un recupero del senso del dettato poetico. Superando il misticismo di precedenti opere, viene qui presentato un grandioso affresco popolato di personaggi anti-eroici in un mondo privo di un orizzonte condiviso, dominato da una frammentazione dell'io. L'esistenza umana, immersa in un'angosciosa precarietà, appare condizionata dalle trasformazioni indotte dal neo-liberismo globale. La presenza di Dio pervade tutto il poema come ancora salvifica. Un richiamo all'eticità della poesia è dato dall'uso non mistificatorio della parola usata dal poeta, in contrasto con la quotidiana manipolazione operata dai mass media. Il richiamo a Dio rappresenta anche l'eredità morale lasciata dall'amatissimo padre, al quale l'opera è dedicata.


Laura Cantelmo

Un bivacco di streghe

Monica Borettini

Edizioni Battei, Parma 2005, pp. 140

Questa raccolta di poesie di Monica Borettini fa emergere - rispetto al precedente Percorsi sotterranei, LietoCollelibri, Como 2003 - una maggiore definizione delle motivazioni profonde dell'Autrice. Forse perché si misura qui con estreme negazioni. Il che spinge la sua grande tensione all'attraversamento dell'invisibile e dell'ignoto, dentro e fuori di sé, a farsi ancor più verticale, visionaria e a tratti mistica. La sfida è di una indomabile araba fenice che vuole andare oltre la morte e sconfiggere la sua irrimediabile perdita. E non può quindi non lambire bordi di delirio, se guardati dalla logica e dal linguaggio dell'Io. Ma è questione che pone nei fondamenti che fanno la poesia, la quale trova se stessa solo se prova ad andare oltre, con un Io s-gusciato e posto in un campo più ampio.
La ragione, senza le energie dell'inconscio, non può attivare il viaggio testuale e tras-fondere energie in immagini del quotidiano o di un tempo lontano, qui punto di partenza nel "rogo" di una "strega": "Juliette fu arsa viva verso la fine dell'anno 1329", forse perché "fanciulla che amava la gente e la guariva". Le suddette ragioni profonde di questa scrittura stanno nel suo voler essere "trionfo della vita sulla morte", testimonianza che "Juliette è ancora qui", col suo amore ancora vivo e reale perché trasfigurato dalla scrittura in un campo di presenze e visioni, un bivacco di streghe che continua a dire: "È solo l'amore che ci fa sfuggire al cimitero ambulante che semina morte e false ideologie": parole in esergo che sintetizzano una poetica e le modalità del suo sviluppo.


Adam Vaccaro

Di acque / di terre

Roberto Cogo

Edizioni Joker, N. Ligure 2006, pp. 88, € 11,00

Disegnano un quadrilatero i nuclei delle forze di questa forma: 1) l'insieme contenente, vivo ma reso spesso incapsulato o marginale dallo sviluppo contemporaneo, in immagini d'acqua (lago/fiume/mare) e di bosco; 2) il suo moto vitale e incessante, colto in ritmi e onde aeree e liquide; 3) i singoli, quali particelle o atomi, di tale insieme; 4) gli urti, gli incontri, le ricerche di senso di questi ultimi, dentro e fuori la scrittura, mentre si misurano con relazioni e confini in quel contenente, facendone contenuto: "scrivere la vita è darle forma, nelle forme nient'altro che vita, nient'altro che contenuto"(p.38). Sottolineo il mentre, in cui è collocato quest'ultimo polo, la sua azione e la sua espressione. Determina una poetica: il pre esiste già ed è altro dalla scrittura. Questa non costituisce inizio, né per l'insieme né per il singolo. Per il quale l'inizio è nello sguardo (nei sensi), fonte di stupore e indagine; ricordo il precedente In estremo stupore (Edizioni del Leone, Spinea 2002). Siamo perciò in una costante della scrittura di Cogo: estranea a "la pretesa di fare da specchio", cerca "non mimesi ma trasformazione"; ogni "azione situazione e fatto crudo/ stringendosi insieme per farsi evento/ scrittura e poesia" (p.46), "cambia la forma e il costrutto mentre persiste la sostanza vitale" (p.19). Poetica lucidamente scevra da ogni forma innamorata di sé, che pensa di essere un tutto, autonomo dal resto: "la forma è una estensione del contenuto. il contenuto è la vita, nient'altro" (p.19).

Adam Vaccaro

Si vuo’o ciardino

Annamaria De Pietro

Book ed., Castel Maggiore (Bo.) 2005, € 10,50.

Con questo giardino, giardino-mondo come lei stessa lo definisce o anche giardino-libro, ordinato in ordine alfabetico, De Pietro ha creato uno spazio-tempo metafisico, al di fuori del tempo-storia. Questo spazio-tempo è teatro in cui gli elementi aristotelici (terra, acqua, aria, fuoco) e gli oggetti (piante: viole, pesche, mimose, oltre alle rose; animali: lucertole, gatti; uomini: cuoche, giardinieri) divengono soggetti mediante la personificazione scenica che li anima e li drammatizza in dialoghi, tenzoni, contrasti. Il tempo, tempo circolatorio, sempre uguale, è stato personificato dalle stagioni e dagli astri: maggio, inverno, la luna, il sole, le stelle ecc. Questo teatro è stato allestito con una lingua-teatro: il napoletano. Lingua potente, espressiva, più di ogni altra. Machina teatrale con cui De Pietro ha scavato in profondità, ha conquistato risonanze nuove, che vengono da distanze spazio-temporali remote: latino, greco, spagnolo ecc. che si riverberano nel napoletano. Lingua in cui risuonano una molteplicità di tracce che riescono di più a risalire se non a madre natura, alle madri. Una molteplicità di voci che risuonano nella sua voce. Un voce regredita nell'infanzia, senza ingenuità o smancerie bambinesche o neo-arcadie, che risveglia forme archetipiche, ridesta formule rabdomantiche come ninne-nanne, cantilene, filastrocche, racconti brevi, teatri delle marionette o dei burattini, contrasti, cortesie e tenzoni.


Rinaldo Caddeo

Curve di livello

Annamaria Ferramosca
Marsilio ed., Venezia 2006, pp. 110, € 11,50

L'esplorazione dell'universo poetico intrapresa da Annamaria Ferramosca prosegue costante e coerente in questo suo volume edito da Marsilio all'interno della collana diretta da Cesare Ruffato. Tramite la ricerca linguistica e il mezzo privilegiato della scrittura, A.F. esplora un universo che non ammette né giustifica delimitazioni. Leggendo i versi di questo volume, viene in mente l'immagine di una tuta da astronauta accanto ad un microscopio elettronico. La visione e il sogno, l'infinitamente grande, si sposano all'osservazione dell'infinitamente piccolo, che è però, a sua volta, specchio di amplissime prospettive.
L'impronta più tipica della poetessa pugliese è forse proprio questa sua capacità, o forse sarebbe più esatto dire necessità, di scavo, di analisi quasi scientifica di ciò che sente dentro e percepisce attorno. Il tutto senza smarrire quel senso di urgenza, e neppure quella radice irriducibilmente irrazionale che costituisce l'essenza della passione.
Oscilla con moto isocrono tra la concretezza dei dati di fatto dell'essere e quell'aspirazione, ugualmente solida, a crearsi una "mitologia del quotidiano". I luoghi d'elezione, gli incontri, le presenze, le assenze, la comprensione dell'incomprensibile. L'attimo breve che dà senso, o speranza di senso, al tutto. Questo libro è un utile e ispirato "manuale di volo". Insegna l'arte del "planare alle umili latitudini/ a fari spenti", quando è necessario. Ma anche, grazie ad un amore ugualmente possente per il dettaglio e per il campo lungo, invita a "spartirsi/ in piccoli grani la sorpresa/ poi sollevarsi in volo/ da tenui animali avvezzi alle alte cime/ seguire la direzione dello stormo/ cuneo orientato verso l'ignoto".


Ivano Mugnaini

Il bene della vista

Mauro Ferrari
Joker, Novi Ligure 2006, pp. 114, € 12,50


Questo libro di recente uscita di Mauro Ferrari è un punto di snodo fondamentale della sua attività di poeta, ma è anche una chiamata a raccolta di una certa generazione, o, in senso più ampio, di una generazione ideale e trasversale ai decenni e, in parte, agli stili: gli autori che vivono e sentono il fare poesia in modo affine. Per dirla con le parole di Alfredo Rienzi: "Un coro d'ombre affratellate nella scrittura o nella vicinanza delle vite. Non solo un mero reperto della memoria o una parziale duplicazione degli scrittori citati a fine volume, ma un chiaro segno di relazionalità, di appartenenza".
Pusterla ha definito Il bene della vista "un concentrato di poetica" ed ha messo in evidenza che la scrittura di Ferrari "si muove dentro questa duplice dimensione: tra l'intensità visiva del singolo punto e lo sfumato ritmico dell'insieme; tra crudeltà e elegia". Con la capacità di guardare, di vedere. Conscio di quanto ironica, ma imprenscidibile, sia la pretesa, la necessità eminentemente umana della "visione". Anche d'insieme. Anche della storia.
Come rileva Giorgio Luzzi, "la compromissione e giudizio sulla storia sono la base forte di questo libro. C'è una coraggiosa anamnesi generazionale che fa ricorso alle strutture genealogiche della memoria, conducendo alla ricostituzione di un senso e di una logica nel percorso cieco e contraddittorio della storia".
Il bene della vista è un libro di impegno umano e civile, scritto con la cura e la tenacia che la poesia merita, sempre, e non sempre ottiene. La conseguenza di questo rigore mai cieco né sterile di Ferrari è la capacità di provocare una concordanza di pareri, pur nella diversità delle sfumature. Per queste ragioni, per chiudere con una considerazione tratta ancora dalla nota critica di Fabio Pusterla: "il lettore può scoprirsi rappresentato da molte delle poesie di Ferrari: come se quel paesaggio, quella scena, quei volti e quel respiro fossero anche suoi, sue quelle domande, quell'ansia. Suo, soprattutto, lo sguardo, lucido, e stranamente sereno".

Ivano Mugnaini

Dolore della Casa

Sebastiano Aglieco
Il Ponte del Sale, Rovigo 2006, pp 104, € 13,00


Aglieco prosegue con questa ampia e articolata raccolta il percorso tracciato dalle precedenti, come a fare il punto e, allo stesso tempo, estendere il territorio tematico/stilistico. Offre quindi testi e sezioni da avvicinare con familiarità e in parte come dono estraneo. L'Origine, la Casa, il Destino, la Parola ritornano qui ossessivi nella trama dell'arazzo, come fili e toni che si approfondiscono e, variando, si rifiniscono incessantemente. In altra raccolta, Aglieco aveva alluso a una poetica "a bocca chiusa" mentre "tutto il pensiero è altrove". E Milo de Angelis aveva parlato per lui di "voce in controversia". Così dalle bocche chiuse/aperte della raccolta sgorgano/tacciono flash di esperienza e divinazione spostata verso l'Altrove, un futuro auspicato ma per ora non memorabile. Con slancio e enigmaticità mediterranei, orfici. E sapienza nella scelta delle Figure: "Sei stato, Orfeo, una luce scomposta nelle vene/ maglio dolcissimo nel cuore, per violenza/ calcolata violenza tra le rose./ Le rose selvagge di maggio nella mia terra/ tra i fumi della Montedison/ nell'aria fortissima della sera./…/Questo ho cantato, in questo io ti ho visto,/ nel viso riverso di una bestia, nella bocca, nel fango/ specchiato dell'acqua prigioniera.// Ora perdonami per la resa, per l'acqua nera."

Luigi Cannillo

Narrativa

Il viaggio di un cuoco

Anthony Bourdain

Feltrinelli Traveller, Milano, 2006, pp. 287, € 15,00

Da uno dei più acclamati Chef mondiali, già autore del celebratissimo Kitchen Confidentials, un viaggio per trovare il cibo eccelso, perfetto: muovendosi tra Portogallo e Cambogia, Messico e Francia, Russia, Marocco o West Coast, l'autore - con una lingua viva e frizzante - ci guida alla scoperta non solo dell'atto cibo in sé stesso inteso come fattore alimentazione, ma nell'esperienza che il cibo evoca. Come avviene che una cena divenga indimenticabile, è solo grazie all'atmosfera, allo stato d'animo, all'aspettativa che viene soddisfatta? Oppure c'è altro? E il ricordo di quel determinato piatto che ci accompagna negli anni, è frutto di una vera esperienza oppure è il ricordo mediato da più fattori che come un corollario, lo avvolgono e cambiano sino ad arrivare a qualcosa di epico? Una curiosità: durante le pellegrinazioni tra i vari paesi del mondo, Anthony Bourdain viene continuamente seguito da una troupe televisiva che, per assemblare quella che sarà una trasmissione di immane successo, lo riprende in ogni azione e "intermezzo gastronomico"(come una sorta di Grande Fratello): non tutte le cene saranno memorabili, alcune infatti, saranno esperienze disastrose…


Fabiano Alborghetti


Paulu Piulu

Giorgio Morale

Manni, Lecce 2005, pp.  174, € 15,00

Lo sguardo di un bambino presta alla scrittura le proprie immagini per ricordare. La terra e le stalle prima di tutto, poi il mare. La campagna è quella di una terra del sud, lo si sente da certe impercettibili atmosfere, ma soltanto dopo un po' ci si accorge che il tutto avviene in Sicilia; o meglio, in Sicilia e in Germania, terra d'emigrazione da cui il padre del protagonista torna con "un odore sconosciuto,…l'odore della Germania, fatto di scarpe e indumenti nuovi.." (pag.118). I temi sono quelli della fatica, del lavoro, della crescita lenta e faticosa di una società che si trasforma e infine, l'impatto con la città. A fare la differenza con altre narrazioni dello stesso genere, tuttavia, è proprio lo sguardo del bambino, a volte acuto a volte impacciato, come quando, in città, non sa più riconoscere dove nasce il sole; oppure alle prese con le domande di sempre sulla propria identità: "Ma perché mi hanno fatto nascere? Come sapevano che mi avrebbero voluto bene?".
Arrivati alla fine di questo romanzo in forma di brevi racconti ci rendiamo conto che il suo nucleo più profondo è l'aver raccontato un tempo in cui l'infanzia esisteva ancora, con i suoi riti di passaggio, le sue durezze ma anche le certezze di punti di riferimento che non si erano ancora sfaldati.


Franco Romanò

 

Un lupo mannaro

Dante Maffìa

maria pacini fazzi editore, Lucca 2004, pp.128, € 12,00

Tra i talenti di Dante Maffìa c'è una con-genialità specifica, quella di darci la dimensione del delirio, di farci anzi entrare in essa come in un casa, facendola sentire la nostra dimensione forse più reale anche se la più imprendibile. Questo libro ci fa navigare senza posa tra le sue mille faglie: sfiorate, toccate, sfuggite e riprese, mai prese una volta per tutte. Sospinti dal suo vento, convincendoci che "Il mondo è affidato al vento."(p-61). Di cui è regina la letteratura: "i libri sono la più grande forza che muove il mondo"(p.44). Ma ovviamente anche questo è delirio. È indubbio infatti, come dice una delle voci animate dal libro che "'La letteratura nasce dall'ossessione'", in particolare quella di incidere sul mondo, sulla realtà intesa come insieme di corpi e relazioni confermabili/verificabili in qualche modo. E tutto ciò che sfugge a tali verifiche? S'affanna intorno, alita e sprofonda nella nostra mente e in parte prende forma fissata per sempre in segni e suoni.
Come sfuggire, nel fare questo, a un altro delirio, quello del "demiurgo" che si sente Dio? Capace, anzi, di "insegnare il mestiere a Dio"(p.40), anche se: "'Un libro, certo, non cambia il mondo, non l'ha mai cambiato, tuttavia…'"(p.39). No, l'ossessione, ogni ossessione, non si arrende. Mai. Troppo grande il suo stupore e la sua "meraviglia!", il suo sussulto e l'incanto narcisistico di fronte al congegno che consente "con ventuno lettere" di "ripetere il miracolo della creazione", di "svelare misteri profondi, raccontare storie, farle diventare sentimenti"(p.26) che vanno ad alitare nella carne e nel sangue di altri corpi.


Adam Vaccaro

Un sogno nel bagaglio

Antonio Spagnuolo

Piero Manni, Lecce 2006, pp. 70,  € 10,00

Ha il sapore di un avvertimento insistente questo romanzo di Antonio Spagnuolo, che si snoda sul filo sottile di un disincanto di chi ha attraversato mari di tempo e tuttavia non smette di cercare "Un barlume di luce" che pur "debole, avrebbe saputo resistere" tra "queste righe…pieghe di un graffio, di un respiro, aumentandone le intensità per un grido di speranza". Una volontà che non si arrende alla "completa rabbia del fallimento, mentre cerca "nuovo significato da presentare al lessico delle parole antiche", pur sapendo "la vanità di un domani sempre inaspettato". E che, mentre guarda con lucidità al degrado in atto, continua a sentire come il battito di un lontanissimo big-bang di profonda sapienza mediterranea, che non smette di immaginare la possibilità di "qualcosa", capace di con-fondere "i due vocaboli principali Theos e Kratos".
Bastano poche citazioni dalla prima pagina di questo libro per capire la qualità di una scrittura che non si accontenta di esercizi raffinati, ma chiusi nella lingua. Emerge da subito una concezione di letteratura che vuole misurarsi nel "tempo lunghissimo delle immaginazioni"(p.31) con tutto ciò che si fa storia, piccola o grande che sia. Una ricerca, come dire, di odore del tempo, per capire meglio quello in cui siamo.

Adam Vaccaro

Shantaram

Gregory David Roberts

Neri Pozza, Vicenza 2006, pp. 177,  € 22.00

 

Shantaram significa "uomo di pace di dio" ed è il nome che Greg, il protagonista di questa inesauribile vicenda, addotta dopo essere approdato a Bombay. Il passato di Greg è già da sé un romanzo: australiano scappato a causa di una rapina finita male, evade dal carcere di Pentdrige arrivando a Bombay. E' qui che inzia la storia: a Bombay dopo un periodo di bella vita, diverrà medico in uno slum: vivendo nelle baracche, tra sporcizia e umanità, si guadagnerà il rispetto della comunità divenendone una sorta di protettore silenzioso. Si innamorerà. Abbandonato lo slum per una serie di vicende, diverrà contrabbandiere, spacciatore, drogato. Si troverà poi tra i Mujhaiddin in Afghanistan dove ferito, viene trasferito in Pakistan. Ritornerà in India. Ritroverà l'amore e consoliderà la propria posizione di "malfattore" . Tornerà ad occuparsi dello slum e…. In 1177 pagine, una vicenda che incanta come quando da bambini si leggeva il Corsaro Nero, scritta con piglio, non permette al lettore pause, sottrazioni. La storia di Greg, il protagonista del libro è però basata sulla storia (vera) dell'autore: il libro è stato scritto dopo quattro anni di confino e due di reclusione in Australia dove viene estradato da Francoforte ove è arrivato dal Pakistan provenendo però dall'Afghanistan…e via a ritroso…


Fabiano Alborghetti

Fiona

Mauro Covacich

Einaudi, Torino 2006, pp 242, € 17.00

Sandro lavora in televisione, è il capo degli autori di Habitat, un programma tv ispirato al Grande Fratello. Sandro è anche sposato con Lena ed ha una figlia adottiva, Fiona, una bambina haitiana muta e impenetrabile. Nella vicenda è anche la figura di un Unabomber, la figura che costruisce e piazza ordigni esplosivi in tutto il Veneto riuscendo ad evitare la cattura, come le cronache ci aggiornano. La visione in diretta delle quattro esistenze, disincantata, cosi reale da essere disturbante vedrà dipanare in crescendo quello che sarà un epilogo inaspettato quanto folgorante. Tra vita trasmessa in tv e vita reale, tra dramma e gioco, i fili delle vite di Lena, Fiona, Sandro e l'Unabomber corrono paralleli. Ma sono veramente cosi paralleli?

Fabiano Alborghetti

 

La stadera - racconti

Gianni Caccia
Joker ed., Novi Ligure 2005, pp. 166, € 14,00

La stadera, il volume di racconti di Gianni Caccia, accompagnato dalle graffianti illustrazioni di Pietro Casarini, ci porta a osservare meglio, con rabbia e ironia, le oscillazioni della bilancia, simbolo antico e a volte involontariamente ironico della giustizia. L'argomento è quanto mai spinoso e suscettibile di discussioni e diatribe. Persino una moderna bilancia elettronica avrebbe difficoltà in moltissimi casi a distinguere tra bianco e nero, giusto e sbagliato. Ma la giustizia, o ciò che chiamiamo con tale nome, è affidata, Caccia lo sa e lo illustra bene, ad una stadera.
Questa alchimia di salvifico sarcasmo e altrettanto ineluttabile amarezza, Caccia la rende viva, tangibile, nelle storie che racconta. Il punto di partenza è una vicenda umana, estrema, ma, in fondo, neppure troppo. Una delle infinite solitudini possibili che si rivestono di assurdità.
Una delle qualità che spiccano in modo particolare in questo lavoro narrativo è la coerenza. Con se stesso, innanzitutto. Con i testi scritti in precedenza, i punti fermi dello stile e del lessico scelti come strumenti privilegiati per raccontare.
Si estende, la coerenza di cui si è detto, anche al piano della costruzione dei racconti, il modo con cui viene veicolato il significato. Per dirla con le parole del Joseph Conrad di "Cuore di tenebra", "il significato non si trova all'interno, nel gheriglio, ma all'esterno, in ciò che, avviluppando il racconto, finisce col rivelarlo, come la luce rivela la foschia, allo stesso modo in cui l'illuminazione spettrale del chiaro di luna rende a volte visibili gli aloni nebulosi". Lo spartiacque è ciò che allontana gli individui da sé, li chiama all'assurdo e li immerge ben sotto la superficie. Dopo, anche nell'ipotesi di un miracoloso salvataggio, un ritorno in extremis all'aria e alla luce, l'acqua è mutata. Il discrimine non è più individuabile, o non è più lo stesso.

Ivano Mugnaini

 

Se la catena non si spezza

Franco Santamaria
Bastogi Ed. Italiana, Foggia 2005, pp. 106, € 8

È la cronaca, come afferma lo stesso autore nella nota introduttiva, il fondamento i questa raccolta di racconti. L'ambientazione è quella dei luoghi cari a Santamaria, che appartengono a un sud legato a povertà e a rituali ancestrali, ma si possono estendere a ogni territorio nei quale arretratezza e ignoranza non sono ancora stati combattuti a sufficienza. Il carbonaio piromane del primo racconto, l'idiota pirandelliano del secondo, che si diverte a giocare scherzi con finale in tragedia, e soprattutto il cupo e violento universo maschile del racconto finale rivelano attraverso protagonisti e personaggi secondari una società arcaica, rappresentata dall'autore senza complicità né indulgenze. L'aderenza alle notizie, ai fatti, l'ambientazione consentono di parlare di realismo, o di una forma di neorealismo, fondata anche su un linguaggio narrativo crudo e diretto, spesso intrecciato a forme di parlato e dialetto. La concatenazione delle sequenze che conducono al dramma, e la catena che sembra costringerci a un destino di ingiustizie, non si spezzano. Per farlo è necessario lo sforzo collettivo di tutta una società.

Luigi Cannillo