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EDGAR
MORIN
Contro il terrore c'è solo la saggezza
IL SOCIOLOGO DELLA COMPLESSITA' EDGAR MORIN DI FRONTE AL MONDO IN GUERRA
DOPO L'ATTACCO DELL'11 SETTEMBRE
Il contrario della violenza Non è la dolcezza È
il pensiero" (Etienne Baulieu, autore)
Innanzitutto, una questione di vocabolario: Terrorismo. La nozione di
terrorismo vale per l'internazionale jihadista Al Qaeda, che agisce attraverso
attentati e massacri di popolazioni civili, ma è riduttiva quando
si applica alle forme violente di resistenza nazionale, private dei mezzi
democratici per esprimersi. Il termine utilizzato dai nazisti per gli
uomini della resistenza europea era riduttivo, così come Putin
l'ha applicato alla resistenza cecena, che comporta evidentemente un braccio
terrorista, ma non si riduce a quello.
La violenza di Stato che colpisce un popolo insieme a quanti si ribellano
è essa stessa una violenza di terrore. Al Qaeda costituisce uno
stadio nuovo del terrorismo. La globalizzazione tecno-economica ha permesso
una globalizzazione terrorista, e con questa globalizzazione si è
trasformata in minaccia mondiale. Islamista. Il termino è ricco
di malintesi. Poiché in origine designava qualunque credente nell'Islam,
"islamista" è diventato per molti occidentali sinonimo
di fanatico. Troppo vicino a islamico (termine che designa ciò
che concerne l'Islam), rischia di contaminarsi in fanatismo e terrorismo.
Di fatto l'islamismo, quando comporta il ritorno al Corano e l'applicazione
della sharia, implica un rifiuto della civiltà occidentale, ivi
compresi il liberalismo politico e la democrazia. Non implica però
di per sé guerra santa e terrorismo, benché si possa scivolare
dall'islamismo allo jihaddismo. Una contaminazione analoga colpisce il
termine fondamentalista (che di per sé non è aggressivo).
Quanto all'internazionale jihaddista di Al Qaeda, si tratta di una devianza
religiosa allucinata, alla quale non può essere ridotto l'Islam.
Il termine islamista, così com'è usualmente impiegato nei
media occidentali, riduce però qualunque islamico a islamista e
qualunque islamista a potenziale terrorista, il che impedisce di vedere
il volto complesso dell'Islam.
Qualunque errore di pensiero conduce a errori di azione che possono aggravare
i pericoli che si vogliono combattere. Occorre pensare nella loro complessità
non solo l'Islam ma anche gli Stati Uniti, Israele, la globalizzazione
stessa, riconoscendo le contraddizioni incluse in ciascuno dei termini.
Gli Stati Uniti, la più antica democrazia del globo, sono una società
aperta e per questo ormai vulnerabile. Hanno salvato l'Europa occidentale
dal nazismo, l'hanno protetta dall'Urss che era ben lungi dall'essere
una tigre di carta. Hanno soccorso le popolazioni islamiche in Bosnia
e in Kosovo. Gli Stati Uniti non sono responsabili della micidiale guerra
Iran-Iraq, del terrore in Algeria, di tutti i conflitti inter-arabi. La
loro cultura non si riduce ai McDonald's né alla Coca-Cola, ma
si è mostrata creativa nella scienza, nella letteratura, nel cinema,
nel jazz, nel rock. E l'America si europeizza tanto quanto l'Europa si
americanizza.
Gli Stati Uniti sono una potenza imperialista che domina attraverso le
armi e l'economia. La sua democrazia non le impedisce affatto di appoggiare
i dittatori, quando lo esige il suo interesse. Il suo umanesimo comporta
un compito cieco di inumanità: hanno praticato bombardamenti spaventosi
sulle città tedesche, le ecatombi di Hiroshima e Nagasaki. I bombardamenti
continui dell'Afghanistan rivelano un altro terrorismo, che colpisce popolazioni
civili vittime non solo delle bombe o dei missili sganciati da troppo
alto o da troppo lontano, ma della paura e della carestia che le costringe
all'esodo.
Sensibili alla sofferenza delle cinquemila vittime del World Trade Center,
gli americani sono insensibili ai disastri umani che i loro bombardamenti
infliggono alle popolazioni afghane. Non hanno consapevolezza della contraddizione
che comporta il terrore dei loro bombardamenti antiterroristi. Le due
torri orgogliose erano iper-reali e al tempo stesso iper-simboliche; erano
l'incarnazione e il simbolo della ricchezza, della potenza americana,
del suo capitalismo e della sua democrazia, del suo dominio e della sua
apertura; la statua della Libertà era diventata un'allegoria ancillare.
Il loro crollo ha aperto un buco nero incommensurabile nella nostra visione
non solo di Manhattan ma anche del mondo. Per alcuni, è una ferita
inflitta all'imperialismo americano e al capitalismo, per altri è
una breccia aperta nella democrazia e nella civiltà: due verità
antagoniste, ma complementari. Certo, gli Stati Uniti suscitano aspirazioni
nel mondo dei miseri, compresa quella a emigrare in casa loro, e innumerevoli
desideri di entrare nella loro civiltà; ispirano rispetto e obbedienza
ai loro vassalli, e il senso di solidarietà occidentale resta potente
in Europa. Al tempo stesso però - in questo mondo dei miseri -
la contemplazione della loro ricchezza e della loro prosperità,
della propria mancanza e della propria miseria, suscita una frustrazione
immensa.
Il loro dominio provoca infinite umiliazioni, un complesso d'inferiorità
tecnico (Sud del mondo), un complesso di superiorità culturale
(Europa), che risvegliano l'animosità. Il mal-sviluppo di cui hanno
sofferto tanti Paesi è attribuito all'iper-sviluppo economico americano.
L'estrema indigenza alimentare, medica, alla quale sono ridotte immense
popolazioni disarmate di fronte alle epidemie e all'Aids nutrono risentimenti
verso le popolazioni ipernutrite, ipercurate dell'Occidente, e soprattutto
degli Stati Uniti. Là dove c'erano antiche e gloriose civiltà
che oggi si sentono sminuite o minacciate, il mondo americano suscita
allergie, inimicizie, aggressività. Le conseguenze nefaste della
liberalizzazione del mercato mondiale, l'aumento delle ineguaglianze,
le crisi economiche multiple aggravano il rancore. Negli spiriti su cui
ha regnato o ancora regna la vulgata marxista-leninista, il modello del
socialismo "reale" è certamente crollato, ma la convinzione
che il capitalismo e l'imperialismo americano sono il male assoluto resta.
Hanno conservato la demonizzazione dell'America, faro del capitalismo
e dell'imperialismo, ignorando che il comunismo sovietico fece peggio
del capitalismo, ignorando le virtù della democrazia e i vizi del
totalitarismo, ignorando che l'imperialismo americano è meno atroce
degli imperialismi passati, soprattutto di quello sovietico.
Così l'insieme dei risentimenti nati nelle parti più diverse
del pianeta suscita un odio fantastico e a volte fantasmatico per gli
Stati Uniti, colpevoli di tutti i mali del pianeta. Signori del mondo
(cosa che non sono particolarmente), sono considerati responsabili dei
mali del mondo (cosa che sono ancora più parzialmente). Anzi, il
male supremo di questo Occidente che si è scatenato sul pianeta
a partire dal XVI secolo, l'ha conquistato, colonizzato, sfruttato e ha
sterminato intere popolazioni. Però, anche qui, è necessario
tenere insieme due verità opposte. Se è vero che la dominazione
dell'Occidente è stata la peggiore della storia dell'uomo per durata
ed estensione planetaria, occorre anche dire che tutte le componenti dell'emancipazione
degli asserviti sono nate e si sono sviluppate in seno all'Occidente.
E hanno permesso l'emancipazione dei colonizzati, quando costoro si sono
impadroniti dei valori umanisti dell'Europa occidentale: diritti dell'uomo,
diritti dei popoli, diritto a una nazione, democrazia, diritti delle donne.
Si può anche dire che il ritardo di una gran parte del mondo a
integrare la democrazia, i diritti umani, il rispetto dei diritti delle
donne, sia una delle cause dello stato periglioso del mondo attuale. Neppure
l'Islam può essere ridotto a una visione unilaterale. La storia
ci ha insegnato chiaramente che la tolleranza religiosa è stata
dell'Islam verso i cristiani e gli ebrei tanto in Andalusia quanto nell'impero
ottomano. L'Islam diede vita alla più grande civiltà del
mondo al tempo del califfato di Baghdad.
La nostalgia del passato glorioso in un presente sfortunato, sotto il
peso di dittature corrotte poliziesche o militari, dopo il fallimento
dello sviluppismo, del socialismo, del comunismo, l'assenza di speranza
nel progresso e in un futuro occidentalizzato, tutto questo induce un
ritorno alle radici religiose dell'identità. In più, la
frustrazione si gonfia di umiliazione e rabbia davanti all'umiliazione
e alla repressione quotidianamente sopportate dai palestinesi, all'ingiustizia
subita (due pesi e due misure in Israele-Palestina) nell'impotenza degli
Stati arabi, vassalli o no. L'appoggio incondizionato accordato dagli
Stati Uniti a Israele porta a considerare Israele come lo strumento dell'America
e a fare dell'America lo strumento di Israele e, in senso più lato,
degli ebrei. Questa identificazione aggravato dallo "sharonismo"
è fatale sia all'America che a Israele.
Nella situazione attuale la frustrazione, il risentimento, la nostalgia
di una grande civiltà passata risuscitano il sogno dell'Umma, la
grande comunità islamica transnazionale, e fanno di un miliardo
di musulmani un vivaio mondiale dove si possono reclutare i guerrieri
della Jihad. Per tutta una gioventù, dal Maghreb al Pakistan, Bin
Laden è un superman della fede che ha decapitato le torri di una
Babele che era anche Sodoma e Gomorra: è un annunciatore della
redenzione dell'Islam, della resurrezione dell'Umma, del ritorno del califfato.
E' nato un nuovo messianismo, di cui non si possono ancora misurare gli
sviluppi. All'inverso, ci sono anche le aspirazioni verso il meglio della
civiltà occidentale contemporanea: le autonomie individuali, le
libertà politiche, il diritto alla critica, l'emancipazione della
donna. La vera battaglia si combatte nello spirito di un gran numero d'islamici,
molti dei quali vogliono salvaguardare la loro identità, il rispetto
delle loro tradizioni e l'accesso alle possibilità e ai diritti
di cui godono gli occidentali. La vittoria andrà a chi saprà
fare la sintesi tra l'identità culturale e la cittadinanza planetaria.
Nazione-rifugio, emancipatrice di ebrei ma spoliatrice di palestinesi,
minacciata di sterminio alla sua nascita dai vicini arabi ma diventata
militarmente più potente di loro, sempre incerta della sua sopravvivenza
ma sempre più crudelmente oppressiva del popolo palestinese, Israele
tende a legare la sua esistenza a una dominazione che esacerba l'odio
arabo; esita a impegnarsi nella via aleatoria che le permetterebbe un
inserimento nel Medio-Oriente, riconoscendo uno Stato palestinese con
le frontiere del 1967. Soprattutto nel corso dell'ultima Intifada. gli
eredi degli ebrei, che hanno subito duemila anni di umiliazioni e persecuzioni,
sono diventati persecutori capaci di ghettizzare i palestinesi, di esercitare
la responsabilità collettiva su famiglie e civili, in breve di
fare dei palestinesi degli umiliati e offesi come lo erano stati i loro
antenati.
La questione israelo-palestinese è diventata il cancro non solo
del Medio Oriente, ma delle relazioni Islam-Occidente, e le sue metastasi
si diffondono molto rapidamente in tutto il pianeta. L'intervento internazionale
per garantire la nascita, l'esistenza e la vitalità di uno Stato
palestinese è diventato di urgenza vitale per l'umanità.
Nel corso dell'ultimo decennio, una società-mondo è emersa
a metà; ha la sua rete di comunicazioni (aereo, telefono, fax,
Internet) già ramificata ovunque; ha la sua economia di fatto mondializzata,
ma senza i controlli di una società organizzata; ha la sua criminalità
(mafia, soprattutto della droga e della prostituzione); ha ormai il suo
terrorismo. Non dispone però di un'organizzazione, del diritto,
dell'istanza di potere né di regole per l'economia, la politica,
la polizia, la biosfera. Non c'è ancora la coscienza comune di
una cittadinanza planetaria.
La mondializzazione del terrorismo costituisce uno stadio di realizzazione
della società-mondo, perché Al Qaeda non ha né centro
statale né territorio nazionale, ignora le frontiere, trasgredisce
gli Stati e si ramifica in tutto il globo; la sua potenza finanziaria
e la sua forza armata sono transnazionali. Dispone, meglio che di uno
Stato, di un centro occulto mobile e nomade. La sua organizzazione utilizza
tutte le reti già posate della società-mondo. La sua mondialità
è perfetta. La sua guerra religiosa è una guerra civile
in seno alla società-mondo. Questa macchina del terrore senza frontiere,
ramificata nel mondo intero, nutrita di frustrazioni e disperazioni immense,
animata da una fede allucinata, improvvisamente ha rivelato un potere
devastante, là dove la violenza omicida di una barbarie fanatica
ha potuto utilizzare i progressi più raffinati della barbarie tecnica.
La lotta contro Al Qaeda non è competenza della guerra (sempre
tra nazioni) ma di una polizia e di una politica. Bombardando l'Afghanistan,
una metafora di guerra è trasformata in realtà di guerra
(Max Pagès), si fanno le vittime di una guerra, e questo a detrimento
di un'azione adeguata alla lotta contro un nemico planetario ramificato,
che necessita di un'azione planetaria comune ben più complessa.
Lasciata a se stessa, la dinamica nata dall'11 settembre moltiplica e
aggrava i rischi. Rischio economico. L'interdipendenza propria del mercato
globale determina una fragilità aggravata dall'assenza di un vero
sistema di regolazione; un'eventuale a crisi generalizzata sarebbe il
brodo di coltura di nuove dittature, o di totalitarismi, come lo fu la
crisi del 1929. In senso più lato, l'interdipendenza di tutto ciò
che costituisce l'era planetaria fragilizza il destino stesso del pianeta.
Rischio isterico. La minaccia permanente e multiforme sugli Stati Uniti,
lo scatenamento dell'anti-americanismo, non possono che favorire sovreccitazioni
isteriche che esacerbano i manicheismi e le demonizzazioni reciproche.
Il cancro israelo-palestinese si aggrava: le sue metastasi saranno irrimediabili,
se non c'è soluzione rapida al conflitto. L'onda anti-israeliana,
diventata antisemita e antiamericana, risuscita le visioni medievali europee
degli ebrei bevitori di sangue di bambino, inquinatori degli spiriti e
dei corpi (untori dell'Aids), che agiscono perfidamente per dominare il
mondo. La condotta di Sharon non è soltanto cattiva, ma porta Israele
al suicidio, magari accompagnato dai fuochi d'artificio di duecento testate
nucleari israeliane che distruggerebbero gran parte dell'umanità
araba.
L'incapacità degli Stati Uniti, delle nazioni europee, delle Nazioni
Unite, di imporre ai combattenti un intervento militare internazionale,
separando i due territori secondo le frontiere del 1967, porterebbe a
una catastrofe storica di un'ampiezza mai vista. Sotto l'effetto dell'onda
di choc benladenista, si può immaginare il disfacimento a catena
degli attuali regimi islamici, a beneficio non della democrazia ma del
fanatismo religioso. Infine, quel rischio nucleare, batteriologico, chimico,
che planava altissimo sopra il pianeta, ora è diventato visibile,
pressante, urgente. Il XX secolo ha visto saldarsi l'alleanza tra due
barbarie, quella di distruzioni e massacri venuti dal fondo delle età
storiche e quella interna alla nostra civiltà, venuta dal regno
anonimo e gelato della tecnica, di un pensiero che ignora tutto ciò
che non è calcolo e profitto.
Il binladenismo costituisce una nuova alleanza tra le due barbarie. Ciò
detto, non dobbiamo nasconderci che esiste una barbarie insita nella nostra
civiltà, che questa civiltà produce delle forze di decomposizione
e di morte, e che al nostro iper-sviluppo scientifico e tecnico corrisponde
un sotto-sviluppo mentale e morale. Eppure questa civiltà dispone
ancora di due virtù insostituibili: laicità e democrazia,
ancorché atrofizzata. Gli Stati Uniti, e in senso lato l'Occidente,
oscillano tra due vie: quella della follia, che prima o poi porta alla
catastrofe, e quella della saggezza, difficile e aleatoria. La via della
follia è la via della crociata, della demonizzazione, del manicheismo
cieco (perché c'è del male nel bene ma anche del bene nel
male) e, amplificando l'isteria di guerra, è la via dei massacri
di massa da una parte e dall'altra. Invece la consapevolezza dei pericoli
può essere un colpo di frusta per andare lungo la via della saggezza.
Questa via comporta la presa di coscienza decisiva della solidarietà
tra uomini e della comunione del destino planetario. Più che "siamo
tutti americani", siamo tutti figli e cittadini della Terra.
E dagli Stati Uniti dovrebbe alzarsi il grido "non siamo solo americani".
La via della saggezza comporta la consapevolezza che non solo, come ricordava
Paul Valéry dopo la prima guerra mondiale, le civiltà sono
mortali, ma che la stessa umanità planetaria è mortale e
che oggi la sola alternativa alla democrazia è l'odio. Perché
nient'altro se non l'odio può trionfare nella distruzione della
democrazia. La via della saggezza comporta il riconoscimento di questo
principio etico minimo: non avremo mai un mondo nobile attraverso mezzi
ignobili.
La via della saggezza comporta la consapevolezza che la costruzione di
una società-mondo è diventata vitale; solo una società-mondo
può rispondere a un terrore-mondo. Di qui la necessità di
andare oltre l'ideologia economista che dà al mercato mondiale
la missione di regolare la società-mondo, mentre è la società-mondo
che deve regolare il mercato mondiale. Il nuovo tipo di guerra necessita
un nuovo tipo di pace. Comporta la necessità di dichiarare la pace
all'Islam dichiarando la guerra al terrorismo, al fine di separare radicalmente
i fanatici allucinati dall'insieme degli islamici, il che richiede l'instaurazione
di una pace equa in Medio Oriente. Una politica confederale planetaria
deve sostituirsi a un politica imperialista.
E' importante che nascano grandi insiemi confederali, le grandi province
del pianeta - soprattutto un grande insieme arabo-islamico che si riallacci
al califfato in termini contemporanei. Una politica della civiltà
è la sola risposta alla guerra delle civiltà. Concretamente,
un piano Marshall per le zone più disastrate della società-mondo;
una mobilitazione massiccia della gioventù dei Paesi ricchi per
aiutare sul posto i Paesi diseredati; un'agenzia mondiale della sanità
per le popolazione incapaci di far fronte alle spese mediche. Infine,
il nuovo tipo di guerra necessita un centro mondiale di lotta contro-terrorista
adeguatamente ramificata. La politica americana ha cominciato zigzagando
tra follia e saggezza, tra guerra imperialista e guerra confederale, tra
regressione di coscienza e presa di coscienza.
L'intervento pesante e continuo in Afghanistan va però nella cattiva
direzione, anche se è ancora aperta la seconda via. E' venuto il
tempo di rispondere alla sfida della complessità planetaria, di
riconoscere le relazioni e le retroazioni tra il tutto e le parti. Siamo
tutti invitati a una grande lotta spirituale. Lo spirito umano porta in
sé i mali peggiori - l'incomprensione la cecità, l'illusione,
la follia - ma anche la possibilità della razionalità, della
lucidità, della comprensione, della compassione. Forse dovremo
avanzare ancora verso l'abisso perché ci sia un autentico soprassalto
di salvezza, perché la società-mondo si trasformi in società
delle nazioni e delle culture unite contro la morte. Purché non
si sprofondi, la catastrofe diventa l'ultima opportunità.
Da "La Stampa", 25/11/2001
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