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FRANCESCO
LEONETTI
In fondo noi sognamo
In fondo noi sogniamo - alcuni di noi - che le belle feste dell'89 siano
rinnovate a volte, e in ciò siamo marxisti: i padroni ce li abbiamo
sempre sul collo, e quella data è uno spartiacque della modernità
(Oltre che essere cartesiani nel senso che: Aristotele o Galileo o la
Chiesa io li rispetto ma contano come me: discutiamo insieme). Ora mi
trovo smarrito. Il nuovo secolo comincia l'11 settembre 2001, imprevedibile
e orribile; per capire ciò che improvvisamente avviene, occorre
citare vecchi amici. E dice Bertinotti: forse sarebbe più proprio
parlare di una guerra civile mondiale. Si deve partire come lui dal principio
moderno che tutti siamo uguali.
Ed Eco raccomanda, nei momenti di grande smarrimento, come ora, "l'arma
dell'analisi e della critica delle nostre superstizioni come di quelle
altrui"
Ben detto, perché a guardare impotenti le americane
marche globali con arroganze ben note, da una parte, e dall'altra non
i selvaggi interpretati da Montaigne ma costoro, i "fedeli",
con barbe di tot centimetri e le donne serve totali, produttrici tutte
incapsulate, non ci viene in mano che la scepsi, l'atteggiamento del dubbio.
Questa è forse una guerra del petrolio e dell'oppio? Forse è
così, ma non basta a colmare l'assurdità. Forse c'è
qualche connessione ancora oscura fra paesi con pozzi petroliferi e paesi
poveri e sempre colonizzati dai "bianchi" che vogliono correre
sempre più (con le automobili in grovigli e oggi con gli oggetti
smaterializzati e pensanti)? Forse c'è, ma noi siamo superstiziosi
a giudicare tutto con la critica dell'economia.
Rileggo uno scritto di Rossana Rossanda nel "Manifesto" del
22 settembre: "Tale è il peso del fallimento dei socialismi
reali che alcuni di noi si sono persuasi che nulla ci sia da fare, tanto
il male è nel mondo e il mondo è del male, mentre alcuni
si sono illusi sulle virtù rivoluzionarie di identità arcaiche,
che ci sono parse lodevoli perché antimoderniste e tutte si sono
involte su sé stesse, fra degenerazione e paralisi."
C'è stata anni fa una netta differenziazione di Habermas fra la
modernità - che vuol dire iniziativa spregiudicata - e la modernizzazione
con i suoi processi recenti: la serie di vaccini, per i quali col circoletto
sul braccio non andiamo esposti alla peste, noi grandi mangiatori di carni
altrui, la catena del gelo coi frigoriferi, e, che dire? i velivoli.
Ora però non c'è una semplice perdita di sicurezza, ma ben
più: uno svuotamento della modernizzazione. Non abbiamo alternativa,
e non abbiamo finalità. Si presenta a noi e in noi un conflitto
che è storico fra i continenti (popoli, colonie, razze, etnie,
e riti e valori e prodotti) con una polivalenza che ci atterrisce, aldilà
della stessa divisione fra ricchi e poveri, e fra paesi e fra classi;
come, nella specie umana, ridarsi un senso? Dopo gli dei certamente inutili,
per noi, la modernità si è svolta in una follia. E' diventato
incerto il 1789 dei diritti. Ora lo smarrimento è grande - e forse
solo l'autocritica è rigorosa.
Per gentile concessione di Bollettario.it
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