Versinguerra
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BUSI Mi ha fatto molto dispiacere, cioè tristezza e rabbia (perché
so sulla mia pelle cosa vuol dire fare da capro espiatorio a un intelletto
evaporato), l'attacco del Corsera, venerdì 14 settembre, al direttore
del manifesto Riccardo Barenghi per aver osato affermare che gli Stati
uniti, con la distruzione di migliaia di vite umane per il recente attacco
alle Twin Towers, ricevevano la stessa moneta che hanno speso per decenni
nella loro politica medio-orientale e che subivano ora il dolore e la
distruzione che essi per decenni hanno seminato in questa parte del globo.
Facile per Bush identificare il Male e il Nemico negli altri e il Bene
e l'Amico in sé, ma una mente pensante, seppure occidentale, non
può non riflettere che la non sottoscrizione al patto antipolluzione
di Kyoto da parte di Bush (che non vuole nemmeno prendere nella più
remota considerazione per l'economia americana una riduzione dei fattori
inquinanti) e l'abbandono delle delegazioni americana e israeliana alla
conferenza sul razzismo di Durban sono in sé atti di terrorismo
e di negazione di ogni transazione che a lunga, e nemmeno poi tanto, scadenza
mieteranno vittime ben oltre il numero presente fra le macerie delle due
torri di New York. Questo non significa esprimere necessariamente un'opinione
personale che porti simpatia verso i Talebani di Osama bin Laden o per
qualsivoglia movimento antisionista: io sono ricevuto presso parecchie
case ebree romane e fiorentine dove non è spento il diritto di
critica, e la forma di critica razionale è sempre di critica interna,
di autodafé innanzitutto, e lì non è insolito udire,
da bocche ebree e non dalla mia, il disperante concetto che Israele applichi
ai Palestinesi una specie di nemesi storica uscita dalla tragedia dell'Olocausto
che ribalta le antiche vittime in nuovi carnefici; fare un bilancio fra
il dare e l'avere dell'odio in campo non significa non provare sdegno
e pietà per le tante vittime innocenti rase, è il caso di
dirlo, al suolo in America, non significa essere anti da una parte e pro
dall'altra, significa ragionare senza cadere nel fanatismo che siamo tanto
bravi e solerti a voler individuare solo nelle s-ragioni altrui. Io starò al fianco dell'America e del Cattolicesimo come nessun americano e cattolico potrebbe mai sognarsi di fare, ma sono stanco di essere considerato una specie di americano in Europa e di cattolico miscredente che io lo voglia o no. Io non tradirò la civilizzazione in cui sono nato e cresciuto, ma mi si permetta il diritto di non sentirmene parte che nei vincoli e nei doveri, giammai negli ideali, nei cosiddetti valori e nei cosiddetti diritti e nei cosiddetti privilegi di una democrazia a parole e particolarmente verbosa in Italia. Ciò che è avvenuto in America è impensabile senza una rete di traditori tout court, senza scrupoli, né remore, né inibizioni, né ripensamenti, traditori in giacca e cravatta e camicia bianca che di facciata e di mestiere fanno gli americanisti convinti e che tramano nei fatti oltre ogni pensabile sete di vendetta contro il loro stesso Stato e status, e bianchi o neri loro stessi come tutti noi, non afgani, non palestinesi, non iraniani, non iracheni, non coreani, non vietnamiti, una rete di connivenze e di omertà che non può essere tutta e solo un'emanazione di Kabul e di qualche riconoscibile Imam, e l'America deve interrogarsi innanzitutto sul numero di cittadini americani antiamericani che non oserebbero mai esprimere un millesimo, per paura di tradire i loro reali sentimenti e fini occulti, di quanto espresso dal manifesto ieri e da me adesso sul manifesto stesso, anche se avrei preferito L'Osservatore romano. E' detto in uno spirito di autonomia intellettuale che non intacca quello di collaborazione fattuale e fidata, e mica siamo mosche bianche: milioni di persone occidentali, in questo momento senza voce e il cui pensiero sulla tragedia americana è a tutti gli effetti "Chi la fa, l'aspetti", milioni di cittadini europei scettici (fra cui milioni di musulmani e di altre religioni di stanza fra le due coste dell'Atlantico) alla prova dei fatti - la guerra... - sono e saranno animati da uno spirito patrio ben più intenso di quanti tuttora non sanno far altro che individuare il Nemico fuori e del tutto altrove a prescindere dal nemico della propria patria che covano in se stessi. Non si può combattere un fondamentalismo alieno creandone al contempo
un altro a propria immagine e somiglianza; non combattere in ogni modo
un fondamentalismo di matrice terroristica e suicida - e resta da chiedersi
che pensano del suicidio i sacerdoti del Corano e se davvero esso è
in qualche sura legittimato nel sacrificio di sé per la Patria
che dà certezza nel Paradiso, e io ne dubito, non fosse che per
una ovvia simmetria della poetica della vita che accomuna la Torah al
Corano - significa togliere dignità ai musulmani e ai palestinesi
nostri fratelli quanto agli ebrei nostri fratelli: noi occidentali che
abbiamo scelto di sondare la nostra intelligenza fino infondo e fin dove
è possibile dobbiamo guardarci dentro, non possiamo acriticamente
abbandonarci a una partigianeria che culturalmente non ci appartiene o,
per nostra fortuna e merito, dopo l'Istruzione (1484) di Torquemada e
la Controriforma e il nazismo e il fascismo, non ci appartiene più. Sbagliano i media italiani a puntare il dito contro gli scrittori che
finora hanno espresso un distinguo fuori dal coro, scrittori come Gore
Vidal (le sue interviste antiamericane da Mantova qualche giorno prima
degli attentati), Harold Pinter da Firenze, Saul Bellow, il quale in un'intervista,
oltretutto sullo stesso Corsera che in un momento così delicato
espone Barenghi a una specie di ignobile licenza di linciaggio, affida
all'intervistatore né più e né meno le stesse critiche
esposte dal direttore di questo quotidiano nel suo fondo (di mercoledì
12 settembre) mirabile per sensatezza. A chi obbietta che questo assomiglia in modo inquietante alle dichiarazioni
di Saddam Hussein, faccio presente che allora anche il Papa s'è
ispirato al dittatore nella sua recente raccomandazione contro l'odio
indiscriminato: quel che conta, come sempre, è l'origine e il percorso
di uno stile, se uno ce l'ha, poi è ovvio che le cose da dire,
o da tacere, sono sempre quelle due o tre per tutti. Resta da appurare
quanto sono credibili se dette da questo o dette da quello. Io uno stile
ce l'ho e basta, e non sono tenuto a rispondere di quello, finalità
comprese, degli altri due. Versinguerra
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