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IVANO
MUGNAINI
Odiami, fratello
Odiami, fratello,
tu muori sepolto nell'argilla della Storia
quella che loro non conoscono
e che producono, colpo su colpo
come fosse latte in polvere
come se il rosso raggrumato sulla terra
fosse schizzo allegro di coca cola.
Tu muori, ed io, qui, cammino, balzello,
ascolto con mezzo orecchio
il comico becero del sabato sera
che cazzeggia nel televisore del vicino
e con la mano preparo diligente
il valigino di pelle marrone
per la gita domenicale culturalmondana.
Io scrivo versi, e partecipo alle marce
lungo colli di risa, canti e danze
stile scampagnata,
e tu muori
nella baracca bombardata con telematico
asettico zelo da mascelle ipertrofiche
imbottite di chewing-gum
e bevande light con zero calorie.
Muori, fratello, e ride, nella tana,
l'altro tuo carnefice, incolume,
sereno, felice che il tempo
e il nemico lavorino per lui,
attento alla qualità del video,
allo sfondo, all'inquadratura,
al dito che oscilla nel riquadro
come un maglio, una freccia
bianca di gelido acciaio.
Muori, schiacciato nella morsa
ottusa di piombo e puritane certezze,
guardando un cielo che era sole,
che era dio, che era calore
generoso su vesti chiare e lievi
ed ora è schermo di tetro videogame
offerto in dono dal munifico Sponsor
in cambio di poco, in fondo:
la vita, la speranza.
Odiami, fratello,
tu muori e io scrivo versi
in una stanza placida e sicura.
Scrivo versi, cammino e balzello
col cuore scheggiato, frantumato;
frantumato, in pezzi minuscoli e sottili,
ma non abbastanza.
Diventare la tua polvere, respirare
la tua aria, il tuo stesso buio
spalancato da denti di iena,
potrebbe risarcire la ferita.
O generare, nel mio sangue,
il sangue di un'idea, uno sguardo,
rabbia robusta e vorace,
la voglia di esistere, di provare
a combatterli sul serio
a cominciare dalle piccole cose,
le scarpe, le banane, il logo
che campeggia sulla festa del Natale...
non concedere loro più niente.
Avranno la tua vita, fratello,
la tua e la mia, finché vorranno
finche non sarà sazia la fabbrica
di morte intestata alla ditta
che chiamano "Giustizia".
Morirai
ed io sarò misero ribrezzo
di me stesso, ancora e ancora,
fino a quando, domani,
in un rivolo fresco di vento
imparerò a camminare
con sguardo di bambino, diritto
e sicuro, guardando lo schifo
negli occhi, scovando,
nella sabbia battuta del cammino,
nuove strade assolate
e semi saldi, tenaci,
di grida, di gesti, e di parole.
Ivano Mugnaini

Oltre confine
Ai margini di un sole
malato di polvere,
mentre scivoli quieto
piede dopo piede
sul domestico docile gelo
di ghigni televisionari
assatanati di cipria
di audience e di share,
qualcuno, laggiù
oltre confine, muore.
Muore, rannicchiato
sotto fragili travi
e muti terrori
o al margine di strade
rubate un solo istante
all'urlo di vetriolo del vento.
Muore nel fragore di schegge
e di sguardi che squarciano
le vene esili del tempo.
Di un tempo che senti non tuo,
occhio vitreo che non chiede
più niente, mosca che ronza
instancabile su tracce cupe
che furono sangue
pensieri, speranze.
Muore, fuori zona, fuori
target, oltre i limiti
accessibili del cuore.
Muore per finta, forse,
per giustizia, per errore,
che importa, muore e basta,
lontano dalla porta di casa,
dal prato fresco e liscio
del tuo giardino, muore
laggiù, lontano, dove l'orrore
è immagine breve, fugace,
flash sfocato, prima dello spot
colorato e carino, del tuo profumo
preferito, o del magico bocconcino
che rende felice il tuo cucciolo amato.
Eppure, se guardi meglio,
se tieni l'occhio sullo schermo
un attimo in più, senti
sulla faccia un tocco gelido,
rena inerte che divora
lenta i tessuti, la mosca
che esplora ossessiva
la carne e gli stracci
di pelle e di ossa abbattute
di schianto sul suolo.
E un po' muori anche tu,
oltre confine, oltre il cancello
serrato, in una terra a te ignota
che scopri d'un tratto anche tua,
come le vene e i sospiri,
grida e preghiere che vibrano
e tremano nel tuo stesso sole.
Muori anche tu, e, per non morire,
per non sbattere secoli infiniti
contro mura impalpabili di spietate follie,
ti unisci anche tu al grido muto
che si leva dalla carne della terra,
squartata, strangolata
da miriadi di assurdi granelli.
Gridi e sussurri anche tu,
senza più pensare se sia esatta
la lingua, il verso, la frase, e quale sia
l'angolo, il punto cardinale del cielo
verso cui alzare lo sguardo.
Perché quando muori dentro
oltre confine, oltre il tuo confine,
ti accorgi che c'è un solo cielo,
un solo sole verso cui guardare.
Un'alba tenera e tenace
in cui rinascere,
scrutando occhi chiari e sereni,
pioggia tenera, parole, germogli
inattesi di giustizia
su un deserto sterminato
di cui scopri all'improvviso
la chiave, il senso, l'uscita,
il respiro fragile e immenso
di una primavera infinita.
Ivano Mugnaini
Lucca, nov. 2001
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