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STEFANO
BENNI
Lettera a Godzilla
C'era una volta in America
Caro
Godzilla, ti scrivo in un giorno molto triste, dopo un film dai bellissimi
effetti speciali ma con una trama deludente: manca la parola The End,
il pubblico che si alza e ritrova il vecchio mondo fuori. Non è
vero che il mondo è cambiato martedì. Era già cambiato
da diversi anni, col sorgere di una nuova razza di mutanti del conflitto
politico, col crescere illimitato dell'avidità economica, della
tecnologia bellica e del suo commercio. Con la ferocia "pulita"
e quella "religiosa", in mano a grandi e piccoli giustizieri
per i quali occupare la scena dei media conta più della vita dei
rispettivi popoli.
Bei tempi, Godzilla, quando non erano gli uomini a distruggere le città,
ma un bel lucertolone palestrato come te; tempi preistorici in cui paura
e ironia potevano a volte convivere. Eri pericoloso come un criceto, caro
Godzilla, in confronto a questi Signori delle Guerre. Uscivi dall'oceano
impacciato, come un pescatore con gli stivaloni, e lanciavi il tuo rutto
ciclopico annichilendo le metropoli e l'umana civiltà. La quale
civiltà era rappresentata da un gruppo di giapponesi stupefatti,
un bellone americano e una dottoressa seducente ma non troppo, un sexy
da postal market. E a combatterti c'era qualche generale cretino e incompetente,
non come quelli moderni della Cia ma quasi.
Non avevi una lira Godzilla. Eri fatto di gommapiuma e dentro al tuo costume
c'era un mimo giapponese pagato a cottimo. Non avevi fatto i soldi con
le armi o col petrolio, venivi dal mare come un profugo qualsiasi.
Come quelli che, grazie ai personali interessi di qualche tiranno, avranno
meno libertà, meno dignità, forse anche meno vita da vivere.
Non attaccavi mai per primo, Godzilla. Quasi sempre venivano a romperti
i coglioni, sgelandoti dal tuo freezer giurassico con trivellamenti o
esperimenti nucleari. Oppure eri uno scampolo che cercava una partner,
o una mamma alla ricerca della mostroprole smarrita. E tu ti incazzavi,
senza lanciar proclami, solo rutti e quel dondolio della testa da pugile
suonato.
Le tue distruzioni erano piccolo teppismo, Godzilla. Ce l'avevi soprattutto
con le linee elettriche. Non so quale enorme bolletta, o ricordo di un'atavica
scossa a 380 watt alimentava il tuo odio. Ma non potevi vedere un palo
della luce senza usarlo come stuzzicadenti. I lampioni, i neon, le insegne,
ogni forma di illuminazione ti mandava in bestia, eri un black-out semovente.
Poi ti stavano sui coglioni le dighe e amavi calpestare autovetture, non
più di dieci a film per ragioni di budget. Insomma, il contro finale
dei danni ammontava più o meno a un passaggio di ultrà in
trasferta e questo bastava a spaventarci.
Non avevi armi, Godzilla: non eri addestrato a guidare aerei, non possedevi
missili, nessun fetente mercante d'armi occidentale o orientale aveva
riempito i tuoi arsenali sotto gli occhi di tutti. Tutt'al più
sputavi fuoco e flambavi un tank, e subito dal pubblico partivano battutacce
sulla tua digestione. E poi perdevi sempre, Godzilla. Per quanto corazzato
e grosso, era chiaro che non avevi possibilità. Scienziati onesti,
militari efficienti, bambini geniali erano alleati contro di te. Non ti
colpiva nessuna bomba intelligente o kamikaze, normali soldatini di piombo
ordinatamente schierati ti bucherellavano e crivellavano finché,
ferito ma non domo, rientravi nell'oceano con la dignità di un
artista che esce di scena. Non c'era la Cia, ormai tanto abituata a intervenire
all'estero da non sapere più difendere il suo paese. Non si sentivano
solo parole come rappresaglia o Dio lo Vuole, ma un diffuso senso di pietà.
E non eri un vigliacco, Godzilla, Dall'alto dei tuoi trenta metri di rammarica
bruttezza, ti mostravi a petto nudo, virile o materno, a sfidare l'avversario.
Non colpivi da cinquemila metri su un aereo super-tecnologico, non usavi
i civili come scudi, non massacravi a caso ben nascosto in un bunker.
Dicevi: sono un mostro e mi avete rotto i coglioni, bipedi senza squame,
vediamocela tra di noi. Eri umano, Godzilla, ci davi insieme paura e speranza,
sapevamo che eri lì per noi, per farci sentire che l'orrore del
mondo non sarebbe mai venuto da normali uomini, ma da eccezioni con la
coda. Poi il tempo è passato, i supereroi dei Manga e i film-apocalisse
ti hanno reso antiquariato, quello del remake non eri tu. Eri out Godzilla,
ci voleva più paura, e ne abbiamo creata tanta che ora è
colata fuori dallo schermo, come una nube di polvere mortale.
Ti facciamo una promessa Godzilla, una promessa diversa dai discorsi ufficiali,
quelli sinceri e quelli ipocriti. In questo futuro, dove il destino del
mondo sembra giocarsi tra supereroi e eserciti onnipotenti, e dove chi
ha potere e miliardi vuole essere il solo a decidere per tutti. Ti promettiamo
che nessuno di noi rinuncerà alle sue responsabilità, ai
suoi desideri, all'orrore per qualsiasi massacro in guerra, o nella quotidiana
sopravvivenza. Anche se ci sentiamo a volte ridicoli e mostruosi nel voler
ancora decidere della nostra vita, usciremo dall'oceano per dire ai Signori
delle Guerre: ci siamo anche noi, e sceglieremo noi di chi aver paura
e quando e come. Non sarà facile, ma useremo solo coda e unghie,
non bombe o aerei. E soffriremo sempre molto più per chi muore
senza sapere il perché, piuttosto che per i crolli in Borsa.
Non ti conviene tornare, Godzilla, finiresti in uno zoo safari, o clonato
e usato come Tir, oppure polverizzato da un missile. Ma lassù,
nel paradiso dell'immaginario dove gli antichi mostri hanno un'anima e
un onore, a differenza dei moderni umani, aiutaci e proteggici. Comunque,
se vuoi rientrare in scena, ci sarà sempre per te una casa di cartone
da calpestare, un traliccio da masticare, e magari una bionda da sollevare.
Ma se torni, leggi prima il copione: siamo in mano a sceneggiatori che
non hanno alcun rispetto per la vita di quelli che, ormai, considerano
solo comparse.
Stefano Benni
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