Interpretazione di ‘Neve e faine’

Pubblicato il 14 dicembre 2011 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro


Interpretazione di ‘Neve e faine’

da Senso e semiotica in Paesaggio con serpente (2004)

Erminia Pasannanti

‘Il lettore intravede un ordine nel testo ma è solo una possibilità, un appello a una umanità che chiede al lettore l’incarnazione reale.’

(Fortini, ‘Arte e proletariato’, 1951)



Citando Bertold Brecht, Fortini ricordava che la vita è intreccio di prosa e poesia, snodo di problematiche concettuali ed estetiche, che si riversano nel linguaggio, nelle figure del discorso, nel ritmo, a creare il lessico ‘secco e ignobile’ dell’ ‘economia dialettica’, dove interamente si riflette ‘il rapporto tra arte e forme di dominio’. (p. 15) Nel saggio ‘Leggendo Spitzer’, in Verifica dei poteri (1965), Fortini rifletteva su tali dialettiche egemoniche in relazione a questioni etiche legate alla produzione e diffusione di un’opera d’arte:

L’opera d’arte non si risolve in critica. Non si media con il pensiero storico e filosofico. Quel che ha da essere, lo è direttamente: educando a rilevare e ordinare il mondo secondo moduli suoi propri, con una continua ‘proposta di essere’ che chiama la trasformazione. L’opera di poesia ci sta di fronte. Apparentemente, essa non chiede nulla […] si può aggiungere che l’opera d’arte appare carica di energia potenziale e non attuale proprio perché unisce l’apparente casualità di un oggetto di natura con la latente violenza d’una intenzionalità umana.[1]

Il testo poetico gode, per questo motivo, il privilegio di un ambito d’autonomia espressiva suo proprio, che rimane legittimo, pur nella sua plausibile impenetrabilità: ‘Il verbo al presente mi permette di scomparire. / Il fattorino non vede più dove sono scomparso.’[i] La poesia comunica attraverso altri canali che quelli argomentativi e speculativi della critica, della storia e della filosofia, ovvero attraverso la cultura, la tradizione, i codici e sottocodici propri del suo genere, codici che il poeta presume il lettore sappia riconoscere e in qualche misura, condividere.
La responsabilità del poeta, come artista consapevole delle esigenze della forma, ha due scopi: tenere vive le sue potenzialità, pur nella generale gratuità dell’atto poetico, e stabilire un rapporto con il lettore, educandolo ad inoltrarsi nell’ambito del genere della poesia e a crescere alla sua percezione e conoscenza. Fortini sottolineava come la poesia viva costantemente l’inganno di darsi come campo ideale, occultando ipocritamente la sua dimensione commerciale, quale oggetto di scambio nell’industria culturale (L’ospite ingrato, 1966).
La questione dell’impegno, d’ispirazione gramsciana, è costantemente presente nell’opera di Fortini come assillo morale. A proposito del rapporto tra parola, emittente e destinatario, immaginando per il poeta un ruolo ipoteticamente mediatore, Fortini, ne L’ospite ingrato (1988), osservava: ‘Essere scrittore significa sapere portare al massimo di coerenza questa diversità, usando il linguaggio, non già essendone usati. Essere poeta significa arrivare a fingere di essere usati dal linguaggio, di essere attraversati come da un dio, di diventare tramite.’ Molte poesie di Fortini, infatti, si presentano come atti comunicativi meticolosamente premeditati, aperti all’interazione con il lettore, per stimolarlo a porsi dinanzi a tracce o ‘segni di percorso’ dove convoglia giudizi, sentimenti, contraddizioni, testimonianze, dubbi, proposte, da cui l’abitudine di Fortini di ricorrere ad espedienti eterogenei di mis en relief.
In Verifica dei Poteri, identificando i limiti della cultura ed i modi della sua verifica, Fortini dava voce alla convinzione dell’opportunità di stabilire un rapporto educativo dialettico con il lettore, credendo fosse compito della letteratura, o meglio sua ‘missione’, non tanto opporsi ai miti di massa, ma ‘educare quella massa medesima’ a discernere tra letteratura come partecipazione a date idee, e letteratura come snobismo al servizio del privilegio borghese ‘che perpetua la ricostituzione di un’ideologia per dirigenti.’ (p.38) La poesia, al contempo, non può avanzare la pretesa di raggiungere la ‘massa’, ma realizzare il suo messaggio nella comunicazione diretta con ciascun individuo tramite la lettura, affinché a contatto con il messaggio poetico, il destinatario assuma la distanza utile ad apprendere e ad esaminare i percorsi di resistenza presentati sulla pagina scritta. Si tratta, evidentemente, di un rapporto di reciproca assunzione di responsabilità. Da professore universitario quale fu, Fortini non poteva che essere convinto che la lettura di un testo letterario o teorico, per quanto oscuro e arduo possa risultare inizialmente, abbia la forza di educare le capacità critiche dei lettori, aiutandoli a discernere il peso ed il senso di un dato messaggio al di là delle sue disarmonie o incoerenze.
L’analisi testuale di una poesia offre all’interprete, in modo insieme celato e manifesto, una visione d’insieme delle condizioni di produzione e circolazione del testo stesso, che isolano i motivi di quel testo dal background socioculturale non sempre terso, che lo legittima. In Opus Servile, tra il mito della ‘libertà’ artistica, e quello del ‘destino’, Fortini notava come il fare poetico, pari ad ogni altra umana attività, si collochi nell’ordine della necessità, avendo il suo ambito di utilità, e dunque schiavitù nei confronti del debito dell’artista verso la società: ‘Di solito, per la tradizione neoplatonica, si associa il poièin alla libertà e il pràttein alla necessità: qui si vuole invece che ogni lavoro, anche quello poetico, sia nell’ordine della necessità e servile, e che neppure gli uccelli cantino in “libertà”.’ (Fortini, Opus servile 1989: 13)
Non c’è, pertanto, contraddizione tra ‘condizione servile’ e ‘status intellettuale’ dell’autore, interprete di se stesso, che svolge anche la funzione di sacerdote e mediatore di valori. La funzione critica, interna all’opera, inoltre, messa al servizio della poesia, aiuta il lettore ad attivare circuiti intellettuali d’argomentazione e senso: ‘Vi consiglio di prendere le cose che ho detto e di buttarne via più della metà, ma la parte che resta tenetevela dentro e fatela vostra, trasformatela. Combattete!’ (Le rose dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani, 2000).
Il poeta, come il critico, secondo Fortini, avrà tra i suoi scopi anche quello di incoraggiare una consapevolezza sistematica nel lettore su come i significati vengano ideati, espressi e dunque consegnati al fruitore sulla base della mole di segni, linguaggi e dati a cui siamo quotidianamente esposti; l’engagement letterario, Fortini insisteva, deve ambire ad assolvere la funzione etica di insegnare al lettore non solo ad accostarsi alla poesia per stabilire relazioni con un genere letterario solitamente riservato alle élites, ma ad addentrarsi nel processo di semiosi, partecipando al farsi della scrittura (presso l’interpretante). Tale fine si desume dalla lettura della poesia interpellativa, ‘Neve e faine’, del 1949, pubblicata nel 1959 in Poesia ed errore, in cui è presupposto non uno ma più interlocutori a disquisire sul rapporto uomo-natura, ‘nostro onore somigliare a brute cose’, e sul senso dello scrivere poesia ‘c’è melodia in queste parole?’
Il testo si apre con un’affermazione che il poeta rivolge a se stesso, ai propri ‘giorni futuri’. Sembrerebbe un monologo interiore, ma non lo è che in parte, in quanto, nel penultimo verso, egli interpella il lettore (dei ‘giorni futuri’):

Non incitamento né rimedio né requie
posso su queste cadenze darvi, miei giorni venturi.
Appena la testimonianza, precisa e inascoltata
della frutta che matura, delle trote
che saltano di sasso in sasso verso la neve
e delle foglie che han cominciato a cadere.
A questo gli altri ci hanno ridotti,
nostro onore somigliare a brute cose,
non avere traccia d’uomo. Ma dunque
c’è melodia in queste parole?
Si, ma rotta sul volare del vento.
Dunque un lamento in questi versi udite?
Si, ma delle faine per la campagna.[ii]

L’idea della scrittura come percorso di ricerca, che lascia tracce organiche e tracce segniche, volte alla mediazione del vivere e del senso dello scrivere, specie quando diretti al futuro, hanno, nel testo ‘Neve e faine’ carattere montaliano: tutte le funzioni edificanti della poesia – l’esortativa, la consolatoria e l’elegiaca – sono negate, ma solo per promuoverne una verifica dialettica, che contrapponga il noi (emarginato e negativamente connotato come ‘cosa bruta’) agli altri (gli antagonisti, responsabili dell’emarginazione e della connotazione negativa del poeta). Anche in ‘Neve e faine’ si procede per accumulo, sull’esempio della poesia di Montale di Ossi di seppia: foglie che cadono, frutta che matura e trote che saltano verso la neve offrono la loro testimonianza, contribuendo ad una lirica disadorna, snella, senza eccessiva retorica, tranne che quella sulla tensione tra i tropi fortiniani dell’ ordine e del disordine. Non fa uno sforzo a palesarsi, questa poesia d’apparente aderenza alla realtà. E, tuttavia, si tratta di raffinata retorica, costituita su un discorso solo apparentemente implicito, immanente e presente delle cose, che si manifestano alla sensibilità del poeta. Le immagini, fatte scorrere quasi in modo filmico, suggeriscono l’idea di Hegel, in Fenomenologia dello Spirito, per la quale l’uomo è un elemento della natura, in relazione d’appropriazione, ovvero d’annientamento, rispetto a questa per il soddisfacimento di esigenze vitali. L’entrare in relazione con il mondo è, come vedremo, consegnato a precisi movimenti: il maturare della frutta, il saltare di sasso in sasso delle trote, il cadere delle foglie, il volare del vento, l’udirsi di un lamento, l’avanzare delle faine per la campagna. Hegelianamente, Fortini presenta la realtà della natura come sostanza attiva, che procede esprimendosi. La dialettica di questo agire non è procedimento ragionativo esterno alla realtà, ma legge necessaria ed interna, sia al pensiero sia alla realtà. La poesia, quale espressione intellettuale e spirituale, ha la sua stessa radice nel movimento tra cose naturali, organiche e cose inanimate (come nel rapporto tra la trota, quintessenza di vitalità, ed il sasso), che offrono la loro ‘testimonianaza’. Citando il pensiero di Hegel sulla dialettica tra servo e padrone, sempre in Fenomenologia dello Spirito, Fortini ricorda che, in questo suo disporsi alla creazione e diffusione di un’opera fruibile, il poeta è servo:[iii]


Quando mi si domanda perché abbia tanto scritto e stampato, qualche risposta so darla. Quando mi si chiede perché ho scritto versi, le mie risposte non sono leali. Faccio qualche ironico riferimento alla secolare tradizione retorica del mio paese e al mio ceto d’origine. Fingo di vergognarmi. Altrimenti dovrei rispondere in forme troppo solenni, con grandiosi luoghi comuni: il soggetto diviso, il gioco del riconoscimento e del rifiuto di sé, il paradosso dell’attore. Con la poesia lirica – è stato detto – si suppone di essere soli e invece sappiamo che una folla oscura ci fissa oltre le luci della ribalta. Oppure dovrei citare una delle due o tre arti poetiche in versi, che ho scritte. La meno ingannevole è forse la più teatrale e vecchia, 1953. Si intitola ‘Il poeta servo’. Dice: ‘Ho preso / la mia fatica / come un peso / e la porto. // Voi che da mille anni / portate il peso del mondo / e ne ridete / e ne morite // perdonate se vado così solo / se vado lento / se non ho canto: / sono un servo / di molti padroni. // Lontani non pensano a me. / Non sanno / che li tradisco. // Non sanno / che moriranno / prima di me. // E se sparisco / l’odio il riso l’inganno / il loro il mio errore // saranno queste parole d’amore / verità senza dolore / aria libertà.’(Fortini, Summer is not All, dall’introduzione, 1992)


In Opus Servile, Hegel è chiamato direttamente in causa: ‘Hegel scriveva: “Per quanto l’opera d’arte possa formare un mondo a sé concordante e conchiuso, essa tuttavia,come soggetto reale, singolo, non è per sé, ma per noi, per un pubblico che guarda e gode l’opera d’arte”’. (Fortini, Opus servile, p.8)
In ‘Neve e faine’, coerentemente con tali assunti teorici, un movimento si origina e sviluppa, spostando il particolare verso l’universale: ‘Ma dunque / c’è melodia in queste parole? / Si, ma rotta sul volare del vento. / Dunque un lamento in questi versi udite?’ Il pensiero cerca appiglio nella realtà per realizzarsi. Nel passaggio dal concreto all’astratto, si compie un processo dove termini opposti si negano reciprocamente per pervenire ad un’unità più complessa ed articolata, fatta di disarmonie. Il riferimento all’’armonia’ rotta dal vento, filosoficamente ed ideologicamente, sollecita a comprendere la funzione insopprimibile della contraddizione come legge di sviluppo d’ogni discorso, che sappia elevarsi dall’essere mera e sterile negazione. La realtà, che questi versi consegnano alla pagina in uno stile così intensamente visivo e uditivo, è legata al rapporto dialettico del poeta con i diversi ambienti in cui si aggira e che, di volta in volta, lo coinvolgono e trascinano in diversi ordini di conflitto.
Non a caso, tutte le immagini presentate in ‘Neve e faine’ riprendono la nozione hegeliana di movimento. Prese nei ritmi e negli spostamenti imposti dalla lotta per la sopravvivenza, le faine avanzano sul percorso innevato e segnano il raggiungimento di un esito concreto. Il poeta stabilisce questo movimento portando il testo oltre l’astrattezza dell’uso allegorico che ne fa dall’interno di una dialettica d’opposti. In questo modo, la presenza del movimento animale, che si rigenera e non ha mai posa, mette in crisi la stabilità del chiuso ordine de discorso lirico. La poesia in tal senso coglie l’unità che emerge dalla sintesi di opposti (‘melodia/rotta’).
Per Hegel, la scoperta dello spirito, nell’agire umano, penalizza necessariamente la dimensione corporea propria ed altrui. Dimensione che, per altro, è in questi versi come recuperata, pur nell’incertezza delle cadenze, del messaggio, di tutto quanto costituisce il progetto razionale – non delle (dis)armonie della natura, che, incontrastate, si svolgono, ma della scrittura, del suo avvenire. Si legga a questo proposito la poesia ‘IV’, della sequenza ‘Una facile allegoria’, 1954).

Legna e carbone, calore futuro, disgregata vivezza!
Inariditi morendo per stagioni e stagioni
diverremo realtà compatte leggere, arderemo
sino al nido dell’ambra, alla fibra del tarlo.
Ogni anno del libro una parola,
ogni sigillo di delusa storia una sillaba luminosa,
in fiamma alito aria
tutta tramuterà questa sostanza;
e quella che ora ti reco quasi opaca eco sarà
lo strido d’un spirito,
un grido acuto e sommesso nel cuore degli altri.[iv]

L’attenzione ai nessi tra il pensiero e le cose ritorna con forza anche nelle poesie dell’ultima fase creativa di Fortini, quali ‘Sopra questa pietra’, ‘I lampi della magnolia’, e ‘Sono in questa stanza dove tutto è ordinato’, incluse in Composita Solvantur (1994) dove si assiste ad un movimento solo apparentemente opposto, che, scomponendo il reale osservato, richiama la dialettica unificatrice delle raccolte precedenti, come Questo muro (1973) e Paesaggio con serpente (1984). Solo il reale, infatti, garantisce quel senso di pienezza di vita che la società e i suoi conflitti oscurano e dissipano.
Come in molte altre poesie precedenti e successive, anche in ‘Neve e faine’, l’impatto dell’appello al lettore è forte ed immediato: c’è un individuo, il poeta, messo alle corde da un gruppo di altri individui per qualcosa che intende fare o ha fatto, e per la quale intende sporgere denuncia. Nella poesia di Fortini, tutto è ‘fraintendimento’, da risolvere idealmente con il dialogo – anche quando questo sembrerebbe impossibile – per uscire fuori dalle buie relazioni tra uomini e tra le forze negative che inducono sconfitte. La voce poetante con ironica veemenza affronta l’establishment politico-letterario non sempre benevolo verso lo scrittore dissidente ed i suoi strumenti. Nel tono di sfida, si legge la tensione dialettica tra natura e pensiero, laddove lo scoramento intellettuale si fa forza del reale per affrontare i dilemmi del presente, la sua stagnazione.
Ma guardiamo al messaggio ideologico di ‘Neve e faine’. Fortini, nell’onorare la dimensione naturale, organica, vitale (‘nostro onore è somigliare a brute cose’) ne dichiara lo statuto elitario, con autoironico orgoglio: ‘Dunque un lamento in questi versi udite?’ L’orgoglio  stesso è presentato con una posa stracciona, teatrale e brechtiana, che invita a sottoporre a verifica l’idea del corpo poetante, mero luogo di brutali ed egoistici bisogni. Si avverte il baratro di una distanza, non solo tra osservatore e cose osservate, che si stagliano contro il paesaggio innevato, distanza che la poesia in principio può colmare, ma tra i vari elementi del dialogo e i suoi strumenti. Nell’ansia di confronto, si legge la tensione dialettica tra natura e pensiero, laddove lo scoramento intellettuale si fa forza del reale per affrontare i dilemmi, divisi dall’incomprensione, sempre in agguato in ogni atto comunicativo, per quanto retoricamente strutturato e tracciato di atti interpellativi, voluti come chiarificatori. Questa poesia, di conseguenza, assolve innanzitutto l’ufficio di ragionare sulla forma-espressione, riflessione che è, in molti altri casi, preminentemente didattica – contrapponendo, in modo didascalico, forma e contenuto – mai promuovendo la poesia come lingua-ideologia, separata dal mondo concreto e reale. […]
Dietro l’esempio dei filosofi della Scuola di Francoforte, che conosce a fondo, e soprattutto di Adorno, Fortini esprime, nella saggistica e in molta sua produzione in versi, l’etica e l’estetica del ‘pensiero negativo’, rivale dell’ottimismo storicista del marxismo ortodosso.  Come i francofortesi, Fortini evidenzia il carattere di utopia del prodotto artistico e mette in guardia contro i suoi inganni, assumendo sempre un punto di vista esterno all’opera, il cui scopo, certo non tranquillizzante, suasivo, è quello scomodo di indicare, nella lirica, una pienezza di vita ormai perduta, che la società odierna nega. Le sue propensioni critiche, difatti, non vanno all’arte realista, ma alle avanguardie storiche come l’Espressionismo e il Surrealismo dove ad emergere è soprattutto il disagio esistenziale ed intellettuale dell’individuo. Fortini, lo si è detto e ripetuto, riteneva, come Adorno, Marcuse ed i francofortesi, che il linguaggio elettivo della poesia debba essere linguaggio del ‘Grande Rifiuto’. Nella poesia, tuttavia, diversamente che nella sua scrittura saggistica, Fortini fa convivere Marx e Hegel, come conciliazione tra forma, che tende ad una sua armonia interna, e ragione dialettica in una ‘concordia discors’. Nella scrittura saggistica di Fortini in misura maggiore che nella sua poesia, la ragione dialettica non perviene mai ad una sintesi conclusiva, e si pone piuttosto dinanzi ad una serie di contraddizioni non risolte e non conciliate con la realtà.[v] Superata l’illusione di una trasformazione rivoluzionaria della nostra società, a cui pensava Fortini, si può, senza tema di apparire nostalgici o astorici, riattualizzare un discorso sul suo avere vissuto interamente da poeta la crisi novecentesca della funzione della poesia; dunque considerare come la sua opera sia contenitore sì dell’ideologia marxista, ma anche di prassi linguistiche e soluzioni formali sue proprie, al cui centro ritroviano l’uomo, il suo sguardo sul tempo e la sua voce. Sicché, come ricorda Mazzoni nel suo volume, citando Adorno, ‘le forme dell’arte registrano la storia degli uomini con più esattezza dei documenti.’ Fortini, che, col suo proverbiale verso, ‘nulla è sicuro, ma scrivi’ esprime – come il Montale di ‘Una totale disarmonia con la realtà’ e ‘È ancora possibile la poesia’ – una certa perplessità verso quel valore assoluto, che Ungaretti, ne ‘La missione della poesia’, attribuiva alla parola poetica, anticipa tali riflessioni in ‘Altra arte poetica’ del 1957. Si tratta di un testo dove il senso di una poesia è affidato agli interpreti del messaggio poetico, altrimenti velocemente disperso nei ritmi della società di massa e dei media, che confinano la poesia ad un ruolo sempre più incerto e marginale. L’impegno didattico del poeta si traduce qui in un disvelamento dell’inganno lirico:

Esiste, nella poesia, una possibilità
che, se una volta ha ferito
chi la scrive o la legge, non darà
più requie, come un motivo
semi modulato semi tradito
può tormentare una memoria. E io che scrivo
so ch’è un senso diverso
che può darsi all’identico
so che qui ferma dentro il verso resta
la parola che senti o leggi
e insieme vola via
dove tu non sei più, dove neppure
pensi di poter giungere, e cominciano
altre montagne, invece, pianure ansiose, fiumi
come hai visti viaggiando dagli aerei tremanti.
Città impetuose qui, sotto le immobili
parole scritte tue.


In questo, come in altri testi, notevole è, sul piano stilistico, la discorsività ed il ricorso a versi iterativi, come a rivolgersi direttamente ed insistentemente al destinatario del messaggio, chiamato, senza mezzi termini, in causa. Si tratta, a ben vedere, di una riflessione interiore ‘condivisa’, per cui l’ ‘io’ viene quasi a coincidere con il ‘voi’. In tal modo, il lettore acquista una sua autonomia di giudizio, che aumenta proporzionalmente al modo in cui l’auctoritas nel testo si ritira, aprendo all’imprevedibile il significato dell’atto comunicativo. Il poeta, dice Fortini, possiede consapevolezza di ciò che, dall’interno della poesia, tradisce il suo senso, lo diversifica e contamina,  sfuggendo al controllo dell’autore stesso, a cui non resta altro che osservare il proprio mutare di senso  (‘dove tu non sei più’, ‘dove neppure pensi di poter giungere’). Questo ‘senso diverso’ resta ‘e insieme vola via’ dalla parola, attraverso ‘montagne, pianure ansiose, fiumi, città impetuose’, raggiungendo le dimensioni altre dei correlativi oggettivi, che rendono straniero il messaggio perfino al suo produttore. Il senso, dunque, veicolato dalle immagini poetiche, si muove e viaggia, ‘qui, sotto le immobili parole tue’. Questa poesia metacritica, che offre una ricchezza straordinariamente vasta di interrogativi sul suo senso, anticipa le tendenze delle metodologie critiche di là da venire, dal tecnicismo formalista (strutturalismo, semiologia) alla neoermeneutica, che passano dallo studio dell’ideologia di un testo a quello delle sue strutture formali, e infine all’analisi del momento sociologico e della ricezione. Il testo potrebbe essere, dunque, letto come un invito a considerare le esperienze vitali del poeta in rapporto alla ‘scrittura’ e alla ‘storia’ come modificate continuamente da entrambe. Ne deriva un’enfasi quasi sgomenta sul mutamento, ma al contempo anche un fervore.
Lo spazio temporale che separa questo testo del ’57, ‘Altra arte poetica’, da   Questo muro,  del ’73, ci fa intravedere il lavoro intellettuale di Fortini tra gli anni Cinquanta e Settanta – decadi che, segnano il processo di industrializzazione della società e della cultura – per il quale otterrà la libera docenza all’Università di Siena, nel 1971, per la cattedra di ‘Storia della Critica Letteraria’.
La tendenza interpellativa nella poesia di Fortini, in effetti, non registra una crisi del linguaggio, come fu per Zanzotto, né una crisi civile come fu per Pasolini, ma una crisi del mandato dello scrittore, che è amara constatazione della caduta di solidarietà e consonanza ideologica tra gli scrittori impegnati nel dibattito politico-culturale, caduta responsabile della crisi del ruolo sociale della letteratura (Verifica dei Poteri, 1965) Se c’è un impegno, infatti, a cui Fortini mantiene fede fino alla fine è quello di una poesia dissidente, costantemente attenta alla lotta per la trasformazione del rapporto tra arte e società. Se lo scrivere versi è un rapporto di mediazione tra lo scrittore e il mondo – e se il veicolo dei versi è un corpo che, avanzando, lascia tracce – dunque il corpo non può apparire più come effimero centro di bisogni. Nella sua corporeità, la faina non è solo espressione di istinti, ma soggetto di conoscenza. L’agire corporeo della faina si fa allegorico, mutando il punto di vista del lettore. La faina appare a fine poesia, ed è detta al plurale, quindi collocata in una complessità di livelli e contesti con i quali anche il lettore entra in relazione. Non solo: l’immagine delle faine che si aggirano in cerca di cibo per la campagna rivela un discorso di poiesis, che induce la loro corporeità a passare dall’oggettività alla soggettività. ‘Neve e faine’ induce a credere che Fortini la ritenesse esempio di un procedimento di analisi della realtà, capace di indicare le tracce di un senso nascosto. Nel suo rappresentare le faine, che segnano il territorio naturale, il poeta fa pertanto presente il significato di un’azione volta alla comunicazione.
Se da Marxista militante qual era un messaggio Fortini comunica con ‘Neve e faine’ è che nella natura dell’essere umano (e perciò dell’artista) coesistono l’uomo natura e l’uomo intelletto e che, in questo rapporto dialettico, qui causa d’orgoglio e non di disonore, entrano in gioco tutte le potenze di cui egli o ella è capace, intellettuali e fisiche, sociali e politiche. Tuttavia, questa comunicazione, fatta di segni direzionali, tracce-percorso, si attua con un margine di differenza notevole rispetto alle tracce lasciate dall’animale sanguinario, che ha sbranato la sua vittima, nella poesia ‘L’animale’. La cosa bruta – l’umano, quando persegue la necessità – è anche capace di progettare sistemi, seguire itinerari, istruire i propri simili a capirne le tracce; è in grado, dunque, di progettare lavoro, arte e dialogo, elementi dell’agire che elevano l’opera al di sopra della sua bruta materia fisica e delle sue finalità circostanziali. Così che l’individuo, intento ad esplorare spazi e segni, passi dall’essere agente istintuale (l’animale sanguinario) ad essere agente attivo (l’animale progettuale) con la sua intera azione, come corpo colto nel suo fare, nel suo avanzare, nel suo determinare/si e ideare/si).
Lo scrivere versi è una mediazione che porta ‘la necessità’ dell’agire da un’opposizione ad una consonanza, dalla materia bruta, rappresentata dalla faina e dai propri bisogni (del suo aggirarsi sulla neve-pagina bianca), alla materia comunicativa, astratta, creativa, che si appropria del campo bianco e dello spazio di esplorazione e mostrandolo, lo condivide.[vi] Le faine che avanzano nella neve sono espressioni pertanto di due dimensioni solo superficialmente opposte.
Il problema della responsabilità del rapporto con il destinatario diventa una costante dell’opera di Fortini, che nei versi citati (analitici, introspettivi, e realistici come si addice al temperamento modernista), sembra dare voce a due componenti costitutive del dialogo, correlando gli elementi che nel testo rispondono al piano dei contenuti con quelli che attengono al piano della forma, in un gioco non necessariamente armonico o organico (‘Si, ma rotta sul volare del vento’) di possibilità affidate all’atto interpretativo e all’ascolto, mettendo in risalto, non senza all’interno di una cornice mentale ironica, inoltre il logoramento del codice convenzionale di questo scambio tra il concreto e l’astratto dell’esperienza dell’esserci e relazionarsi, in altre parole tra l’empirico ed il teorico dell’arte nel suo darsi: ‘A questo gli altri ci hanno ridotti’. Da cui, il suggerimento che soggetto e testo nel loro darsi, sono ricevuti, interpretati e dunque eventualmente trasformati (‘nostro onore somigliare a brute cose / non avere traccia d’uomo’), laddove il vagare della faina, da sola o in branco, è assunta sia a simbolo sia ad allegoria del rapporto tra il poeta e il mondo sensibile, dominato dalla necessità. L’amara (ed ironica) retorica dell’onore (del poeta) attiene ad un’altra metapoesia di Fortini, dal titolo ‘Arte poetica’ (Poesie scelte, 1938-1973):


Tu occhi di carta tu labbra di creta
tu dalla prima saliva malfatto
anima di strazio e ridicolo
di allori finti e gesti

tu di allarmi e rossori
tu di debole cervello
ladro di parole cieche
uomo da dimenticare

dichiara che il canto vero
è oltre il tuo sonno fondo
e i vertici bianchi del mondo
per altre pupille avvenire.

Scrivi che i veri uomini amici
parlano oltre i tuoi giorni che presto
saranno disfatti. E già li attendi. E questo
solo ancora è il tuo onore.

E voi parole mio odio e ribrezzo,
se non vi so liberare
tra le mie mani ancora
non vi spezzate.


Impasto di essenzialità, recitativo solenne, e commedia, il discorso qui diventa metapoetico, una rappresentazione diretta e non figurata di una condizione di pena emotiva, oltre che mentale.
Altra cosa è l’allegoria spersonalizzante di ‘Neve e faine’. La faina è animale che a notte si addentra su una pista innevata e provvede a se stesso, ferinamente, alludendo connotativamente alle virtù dell’eloquenza poetica, laddove per il poeta l’esprimersi è anche una necessità vitale. Interessante è l’uso che da esperto conoscitore di retorica e stilistica, Fortini fa dell’allegoria, una figura poco frequentata nel Novecento. Il processo allegorico di questa figura sopprime qui perfettamente i blocchi di significato sottesi, per rimpiazzarli con un diverso livello di senso. La faina è, verosimilmente, personificazione della scrittura e del linguaggio poetico, e sostituisce con la sua presenza materiale, un valore, accentuato dal suo procedere nella ‘neve’. Qui Fortini ricorre ad una antica concezione dell’istinto poetico, come una forza mentale che imita la natura: addentrarsi nel paesaggio bianco di neve, infatti, equivale a percorrere una pagina su cui il poeta, o faina, abbia lasciato le sue orme, perché, come Elio Vittorini spiegava in un suo saggio del 1948 sull’engagement letterario, la letteratura è engagement naturale contro la metafisica dell’impegno quale fede in un’arte dalla funzione etica ‘programmabile.’[vii] Il seguire queste tracce, nella poesia di Fortini, implica, per analogia, porsi interrogativi sull’esperienza della soggettività in relazione al movimento del singolo tra intuizioni ed indizi (dunque anche quelli lasciati dalla scrittura poetica). Significa penetrare in un processo di conoscenza, o per via razionale, o come pura riprovevole ferinità, seguendo il nesso fato e libero arbitrio. ‘Neve e faine’, pertanto, allegorizza, e rende densamente retorico, il processo di formazione delle tracce e relativo movimento di interpretazione, trasferendo qui come altrove, nel campo del correlativo oggettivo, usi linguistici, terminologie settoriali e idee che attengono alla cerchia professionale del letterato. Vale, a questo proposito, ricordare il Lukács di ‘Lo scrittore e il critico’ (Marxismo e la critica letteraria, 1953: p. 436), chiamato in causa direttamente da Fortini, quando affermava: ‘Da noi invece, fino ad ieri almeno, molti critici militanti credevano ancora di correre con la maglia del marxismo e dello spiritualismo cattolico e non sapevano di avere già stampato, sulla schiena, il nome di una ditta di tubolari della cultura, o di dentifrici letterari. (Verifica dei poteri, cit.: 42) […]
In epoca contemporanea, spiega Fortini, ad ogni progresso della conoscenza scientifica sembra corrispondere una diminuzione della funzione didascalica della letteratura: una poesia non può, da sola, superare una data visione del mondo creata dalla tensione prodotta dai rapporti che intercorrono tra l’industria e lo scrittore ‘in quanto uomo’. La scrittura, in versi o in prosa, dovrebbe, dunque, fondarsi, se non altro, su un concetto di ‘resistenza’:

Ebbene, questo aprirsi di un’opera, non appena ad una pluralità di interpretazioni, ma all’altro da sé, questa incompiutezza nonostante la conclusione formale – che è di tutti i capolavori – perché il discorso continui in filosofia, in scienza, in prassi, questa è la preziosa eredità, contraddittoria, che dal Romanticismo scende alle Avanguardie e a noi.’ [2]
[…]

Erminia Passannanti © 2004 – sec. ed. 2011

[1] VDP, PP. 208-209.
[2] VDP, P. 117.


[i] Fortini, Questo Muro, vedi parte ‘4’. ‘Il falso vecchio’.
[ii] La poesia ‘Neve e faine’ fu ripubblicata in Poesie Scelte, del 1974.
[iii] Si veda a questo proposito la poesia di Fortini, ‘Il poeta servo’, in Franco Fortini, Una volta per sempre (Poesie 1938-1973), Einaudi, Torino 1978.
[iv] Mia l’enfasi.
[v] Fortini notava:‘quando è passata è passata l’estate!’, tuttavia, subito aggiungendo ‘però l’estate non è tutto.’ (Paesaggio con serpente, 1984)
[vi] Per un’analisi esaustiva del ricorso al tropo della neve nella poesia di Fortini, cfr. Luca Lenzini, Il poeta di nome Fortini: saggi e proposte di lettura, Manni Editore, Lecce 1999.
[vii] Elio Vittorini, ‘L’arte è engagement naturale’(1948), ripubblicato in Diario in pubblico, Bompiani, Milano 1957.

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saggio tratto da:
Erminia Passannanti, Senso e semiotica in “Paesaggio con serpente” di Franco Fortini,
Monografia, Brindipress, Salisbury, 2004.

One comment

  1. Wikipedia ha detto:

    BIOGRAFIA
    Franco Fortini (pseudonimo di Franco Lattes, Firenze, 10 settembre 1917 – Milano, 28 novembre 1994) nasce da Dino Lattes, avvocato livornese ventinovenne di origine ebraica, ed Emma Fortini del Giglio, di religione cattolica ma non praticante, entrambi appartenenti alla piccola borghesia toscana.
    [#] La fanciullezza
    I primi non facili anni di vita di Fortini lasciarono nello scrittore ricordi dolorosi che riappariranno nei suoi scritti e nelle sue poesie. 
Il padre aveva partecipato come volontario alla ’15-’18 aveva sposato Emma l’anno precedente al rientro dal fronte di Asiago. In seguito si era iscritto al Partito repubblicano e aveva partecipato attivamente alla vita politica ma il rifiuto ad iscriversi al Partito fascista gli aveva precluso la carriera professionale. 
Uomo colto, appassionato di musica, collaboratore di fogli satirici e del quotidiano fiorentino il ‘Fieramosca’, frequentava artisti e letterati e la sua biblioteca era ricca di testi eterogenei: Jahier, Lucini, Barbusse, la Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, I doveri dell’uomo di Mazzini. 
La madre era un’appassionata lettrice di romanzi che prendeva in prestito dalla Biblioteca Circolante del Gabinetto Vieusseux insieme ai libri per il figlio. Fortini ricorda di aver letto, tra il 1924 e il 1926, nella casa dei cugini materni, Gli esempi di bello scrivere del Fornaciari, una antologia scolastica tra le più diffuse dell’Ottocento, le poesie del Giusti, le Novelle della nonna che egli chiamerà la sua ‘letizia infantile’, Jules Verne, De Amicis e più tardi Pinocchio. Della sua casa non riporta precisi ricordi, perché la famiglia Lattes cambia spesso abitazione, passando da pensioni ad appartamenti ammobiliati, subendo anche dei pignoramenti. La casa che ricorda è quella di via Rondinelli, vicino al Duomo, dalle cui finestre egli assiste al passaggio in auto di Mussolini. Nel periodo dell’infanzia, Fortini assiste numerose volte ad episodi di violenza che gli rimangono impressi nella memoria, come il pestaggio a cui accennerà nella poesia Milano 1971 dopo le cariche della polizia alla Facoltà di Architettura di Milano: ‘Avevo cinque anni quando vidi i fascisti picchiare / uno che non aveva salutato la bandiera’. Nel luglio del 1925 nasce la sorella Valeria e nello stesso anno il padre viene arrestato con l’accusa di aver collaborato con il gruppo ‘Non mollare’ di Salvemini e dei fratelli Rosselli e da allora sarà sempre sospettato di attività contro il regime. Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre vi è una sanguinosa sparatoria innescata da fascisti vicino al mercato di San Lorenzo (descritta da Vasco Pratolini nel suo romanzo Cronache di poveri amanti): l’avvocato Console, che condivideva lo studio con il padre di Fortini, viene ucciso insieme alla moglie. Dino Lattes riesce a fuggire e per quindici giorni la famiglia non saprà nulla di lui.
    [#] La formazione scolastica e letteraria
    Nel 1926 Fortini viene iscritto al ginnasio Galileo dove impara il francese da una zia di origine svizzero-francese di nome Binder. 
Risalgono al 1927 le letture dei Fratelli Karamazov, quella di Martin Eden e della Bibbia protestante, che il padre aveva portato a casa di ritorno da una Fiera del libro a Firenze. Fortini ricorda che il romanzo di Jack London lo aveva appassionato al punto di condurlo ad identificarsi con l’umile personaggio, mentre il romanzo di Dostoevskij e la Bibbia costituiranno letture fondamentali, dal punto di vista morale e letterario, della sua formazione di scrittore. 
Tra i dodici e i tredici anni egli legge moltissimo e scrive intensamente riempiendo quaderni di prose e di versi, nel 1930 viene iscritto al Liceo Ginnasio Dante che frequenterà con buon profitto. 
Risale a questo periodo la scoperta della passione per la pittura e il disegno.
    [#] Gli anni del Liceo
    Fra la seconda e la terza liceo, con i risparmi ottenuti dal guadagno delle lezioni private, è in grado di comprarsi molti libri che leggerà avidamente. Tra i contemporanei le letture che lo colpiscono maggiormente sono: Un uomo finito di Papini, Ragazzo di Jahier, Il mio Carso di Slataper e Foglie d’erba di Whitman che confesserà di aver letto, sottobanco, durante le lezioni di matematica. In questi anni, il giovane Fortini frequenta un gruppo di amici (Giorgio Spini, Giampiero Carrocci, Franco Calamandrei, Piero Santi, Alessandro Parronchi, Giancarlo Salimbeni, Geno Pampaloni e altri), con i quali potrà discutere di arte, di teatro e di musica. Costoro hanno in comune la passione per il cinema francese, soprattutto per Duvivier e René Clair tanto da assumere come parola d’ordine quelle della canzone La liberté c’est toute l’existence cantata nel film À nous la liberté.
    [#] Gli anni universitari:1935-1940
    Nel 1935 viene selezionato per la sessione di Arte ai Littoriali di Roma dove ha occasione di rivedere, in piazza della Sapienza, Mussolini e di conoscere Cassola, con il quale condividerà la passione per il Dedalus e Gente di Dublino di Joyce. 
Nello stesso anno consegue la maturità e per volontà paterna viene iscritto alla facoltà di giurisprudenza ma frequenterà anche Lettere, sostenendo gli esami complementari che gli verranno riconosciuti in seguito per la seconda laurea.
    Nel 1936 diventa assiduo frequentatore della Biblioteca Marucelliana dove trascorre i pomeriggi liberi dalle lezioni a studiare e a leggere. 
Escono in questo periodo i suoi primi testi, una prosa e una poesia: Colline colorate e Paesaggi su Anno XIII, e su Lo squillo un Riassunto della Quadriennale.
    Durante questo periodo la sua passione per l’arte e quella per la letteratura hanno il medesimo peso, tanto che lo stesso Fortini dirà: ‘… ho continuato fino a diciotto, diciannove anni a non sapere se la mia vocazione fosse quella del pittore piuttosto che quella dello scrittore’.
    Pubblica in questo stesso anno una serie di prose e versi sulla Gazzetta quotidiano fascista della Calabria e della Sicilia e, visto in una cartoleria ‘Il giuoco del Barone’, variante del ‘Giuoco dell’oca’, decide con l’amico Valentino Bucchi di farne un libretto. Alessandro Parronchi scrive il testo e l’opera che verrà rappresentata al teatro sperimentale di via Laura nel 1939 segnando il debutto di Bucchi come musicista.
    Durante i giorni di festa Fortini approfitta per scoprire, da solo o con gli amici dell’università tutti caratterizzati da ideologie antifasciste, le opere d’arte di varie città: Ferrara, Venezia, le città dell’Umbria e i centri minori della Toscana.
    Nel 1937 è selezionato ai pre-littoriali di Firenze per il convegno di arti figurative di Napoli e avrà modo di incontrare Attilio Momigliano, suo futuro professore di Letteratura italiana. Durante i Littoriali di Napoli, prese parte al dibattito sull’arte e l’architettura con una decisa posizione contro il nazionalismo e l’arte della ‘romanità’, suscitando motivo di scandalo.
    In questo periodo continua a scrivere sui fogli giovanili fascisti, come Il Bo e Goliardia Fascista’, ma collabora anche alla rivista cattolica Gioventù Cristiana.
    L’amicizia con Giorgio Spini, valdese, lo mette in contatto con l’ambiente protestante fiorentino. 
Risale a questo periodo la lettura di Kierkegaard, Barth e Cromwell. Si dedica anche alla lettura de La Metamorfosi di Kafka, che nel 1990 tradurrà egli stesso, e dei romanzi di Döblin, Mann, Lawrence e Huxley.
    Nel 1938 mentre si trova a Forte dei Marmi insieme agli amici Bucchi e Carrocci gli giunge la notizia della morte di D’Annunzio e improvvisa dei versi di commemorazione piuttosto irriverenti nei confronti del poeta.
    Si consolida intanto l’amicizia con Giacomo Noventa, che aveva fondato a Firenze nel 1936 Riforma Letteraria, rivista fortemente polemica contro la cultura italiana del tempo. In questo periodo Fortini collabora ad essa, come pure alla rivista Letteratura diretta da Alessandro Bonsanti, con poesie, racconti e articoli critici.
    Dopo aver partecipato ai Littoriali del Gruppo Universitario Fascista (GUF), questa volta anche per la letteratura, parte per Palermo dove, come era già successo a Napoli, il Convegno prenderà una piega sgradita alle autorità fasciste che dovranno intervenire per sedare il tumulto creato dai suoi interventi e da quelli di Antonello Trombadori, Alberto Graziani e Bruno Zevi. 
I littoriali palermitani, malgrado le polemiche suscitate, segneranno per Fortini una svolta decisiva. L’incontro con coetanei che non aveva mai conosciuto prima, ma ai quali si sente accomunato dalla vocazione antifascista e dalla maturazione intellettuale, lo aiuteranno a schiarirsi le idee: ‘Avevo ventuno anni e le cose mi si chiarirono una volta per tutte’.
    Il soggiorno in Sicilia gli ispira un racconto, scritto al ritorno dall’isola, dal titolo La morte del cherubino di stucco, pubblicato da La Ruota nel 1941 come omaggio allo scultore siciliano Giacomo Serpotta.
    Rientrato a Firenze riesce ad evitare, con un certificato medico, di essere arruolato nella ‘milizia universitaria’ che, in vista della vicina visita di Hitler, voleva giovani per assolvere a compiti di ordine pubblico.
    Legge in questo periodo Resurrezione e Anna Karenina di Tolstoj e a casa di un’amica ebrea finlandese assiste ad una esibizione di Montale.
    A dicembre una circolare del Ministero dell’educazione nazionale sulla dispensa dal servizio del ‘personale di razza ebraica’ esonera dall’insegnamento Momigliano al quale Fortini aveva chiesto la tesi. Al Momigliano, nella cattedra di letteratura italiana, subentra Giuseppe De Robertis con il quale Fortini entra subito in contrasto.
    Nel 1939 l’espulsione dal GUF a causa delle leggi razziali rende più acuta la sua crisi religiosa tanto che, per sua consapevole scelta, vorrà ricevere il battesimo per diventare valdese.
    Continua intanto a dipingere e a pubblicare sulla Riforma versi e racconti, scrive varie tesine, segue con qualche interesse le lezioni di Giorgio La Pira e nello stesso anno si laurea in legge, con una tesi in filosofia del diritto su ‘Lo spirito antimachiavellico della Riforma nell’opera di don Valeriano Castiglione‘, ottenendo uno scarso punteggio: cento su centodieci.
    Nel 1940 ottiene un incarico di supplente in un Istituto Tecnico di Porto Civitanova nelle Marche e ritornato a Firenze darà lezioni private riprendendo a frequentare i corsi della Facoltà di Lettere. A Mario Solmi chiede la tesi in storia dell’arte su Rosso Fiorentino e per vedere le opere del Rosso e dei manieristi visiterà la Toscana progettando di continuare, dopo la laurea, le ricerche in Francia.
    Nello stesso anno il padre è arrestato come ‘ebreo pericoloso’ e condotto alle Murate ed egli si recherà con la madre a trovarlo con una certa frequenza. Il 25 giugno ottiene la laurea in Lettere ma deve subito sostituire il padre, che nel frattempo era stato trasferito ad Urbisaglia in un campo di ebrei internati, nello studio legale. Il mese successivo scrive al capo della polizia chiedendo indulgenza per il padre. Ad agosto l’internamento sarà revocato ma Dino non potrà, se non clandestinamente, svolgere la sua attività professionale. Per evitare il servizio militare Fortini si iscrive ad un corso di perfezionamento in storia della lingua italiana e su indicazione di Luigi Russo e Bruno Migliorini lavora ad un progetto per una edizione di Galeazzo di Tarsia. 
Aveva letto in questo periodo gli scrittori del Cinquecento e tra i romanzi contemporanei era rimasto colpito da Conservatorio di Santa Teresa di Romano Bilenchi che recensirà sulla rivista Ansedonia firmandosi per la prima volta Fortini.
    [#] Dal 1941 al 1945: il periodo bellico
    La chiamata alle armi, che era giunta nel luglio del 1941, viene accolta da Fortini come una liberazione perché entrare nell’esercito voleva dire uscire dall’insopportabile situazione determinata dalle leggi razziali e rientrare nella normalità.
    Nell’estate del 1941 viene richiamato alle armi e assegnato come soldato semplice alla caserma romana di viale delle Milizie dove rimane per tre mesi e ha modo, durante le libere uscite, di entrare in contatto con i gruppi antifascisti. 
In seguito è trasferito a Civita Castellana, dove conosce Pietro Ingrao, con il grado di sergente ad un corso per sottufficiali e vi rimane per tutto l’inverno tra il ‘41 e il ‘42. 
In seguito è inviato a Spoleto per tre mesi ad un corso di allievi ufficiali e infine vicino a Sanremo con il compito di sostenere psicologicamente i soldati, reclute del 1923.
    Viene intanto pubblicata la sua prima traduzione dal francese dalle Edizioni di Leggere d’oggi, la rivista che continuava Ansedonia, di Un cuore semplice di Flaubert. A novembre si trova a Genova pochi giorni dopo il bombardamento navale inglese e scrive in questa occasione i versi Italia 1942 che saranno in seguito raccolti in Foglio di via.
    Trasferito all’inizio del ‘43 a Costigliole Saluzzo, in Piemonte, è tra coloro che sono incaricati di accogliere i reduci dalla Russia. 
Viene trasferito a Casino di Terra presso Cecina e verso il 20 luglio si trova in licenza a Firenze per un concorso a cattedra nella scuola media. Il 27 partecipa ad una riunione del Partito d’Azione che gli affida dei manifestini da diffondere a Pisa durante il viaggio di rientro al reggimento. Parte con il suo battaglione e nelle settimane precedenti all’armistizio si trova a Milano come sottotenente di fanteria e qui ritrova l’amico Ingrao disertore da un anno e in clandestinità. All’indomani dei primi bombardamenti di agosto conosce Elio Vittorini, con il quale era stato in corrispondenza per una traduzione da Voltaire.
    Il 21 agosto, recandosi a Roma per partecipare ad un concorso per l’insegnamento e di passaggio per Firenze, ha modo di rivedere i familiari. Rientrato a Milano l’8 settembre riceve da un attendente la notizia dell’armistizio. 
Rifugiatosi in Svizzera, dopo un tentativo fallito di armare i soldati della propria caserma contro i tedeschi, passa alla resistenza e partecipa alla Repubblica Partigiana dell’Ossola, prendendo parte alla ritirata e alla fine di quella repubblica, esperienze fondamentali per la sua formazione di uomo e di scrittore.
    Raggiunta Lugano, Fortini sarà condotto a Bellinzona, sede del comando territoriale della Polizia dell’esercito e di alcuni campi di raccolta dei profughi, dove rimane fino al 18 settembre. Classificato come profugo ‘civile’ perché ebreo ma anche ‘politico’ per le sue idee, è messo in quarantena al campo di Adliswil, nel cantone di Zurigo, uno dei più grandi della Svizzera tedesca. Il 23 è autorizzato a lasciare il campo e destinato a Zurigo dove sarà ospite dei Fuhrmann e avrà l’obbligo di presentarsi una volta alla settimana alla polizia.
    Sarà questo uno dei più intensi periodi per la sua esperienza intellettuale e politica. Il suo garante, Alberto Fuhrmann studente in teologia e poi pastore valdese per riformati di lingua italiana, lo inserisce in un mondo che Fortini considererà sempre la sua seconda università. 
Nella casa di Alberto egli incontra pittori, musicisti, studenti universitari e intellettuali provenienti da tutta l’Europa e ritrova Adriano Olivetti che aveva conosciuto nel 1938 a Milano. 
Sono di questo periodo le molte letture e la composizione di quei versi che confluiranno in Fogli di via. 
Egli trascorre le giornate recandosi spesso all’università, frequentando il caffè ‘Sèlect’, dove vengono proiettati film d’avanguardia e dove conosce Luigi Comencini. Al ristorante ‘International’ incontra Diego Valeri, Ignazio Silone e giovani militanti del Partito d’Azione con i quali stringe amicizia.
    Nel 1944 a causa di una mancanza di prospettiva socialista all’interno del Partito d’Azione, si iscrive al PSIUD, che diventerà in seguito PSI ricevendo da Silone la tessera del partito che manterrà fino al 1958. Inizia a collaborare con il periodico della federazione socialista in Svizzera: L’Avvenire dei lavoratori. Tra i primi testi pubblicati sul periodico vi sono alcune poesie e articoli dedicati a Benedetto Croce e a Giovanni Gentile. Collabora in questo periodo anche alla Rivista della Svizzera italiana che sarà pubblicata a Locarno.
    Il giorno dello sbarco in Normandia, alla fine di giugno, si trova con Olivetti a Zurigo quando giunge l’ordine di raggiungere un campo di lavoro agricolo a Birmensdorf.
    Alla fine di agosto, Fortini chiede di poter tornare a Zurigo e il permesso gli arriverà in ottobre da Berna. Giungono intanto sempre più numerose le notizie di oltre confine facendo aumentare tra gli esuli il desiderio di poter ritornare in Italia. 
All’inizio di ottobre egli decide di partire con altri amici e viene accompagnato alla stazione da Ruth Leiser che aveva conosciuto ad una festa di internati. Raggiunta Locarno da Lugano prosegue in auto per Camedo ma, fermato dalla polizia svizzera a Ponte Ribellasca, viene consegnato ai partigiani. 
Passato il confine il 9 ottobre a Domodossola viene subito assegnato all’ufficio stampa della giunta provvisoria di governo, dove incontra Gianfranco Contini, Giansiro Ferrata, Umberto Terracini, Mario Bonfantini.
    L’11 ottobre, alla notizia dell’avanzata dei tedeschi e della disfatta della repubblica partigiana, Fortini parte in treno per Briga diretto in Svizzera e ad Iselle trascorre la notte in casa di un ferroviere. Al mattino riparte per Domodossola e dopo essersi presentato al comandante della brigata Matteotti, continua la fuga verso le montagne.
    Chiede intanto di unirsi ad un reparto che deve muovere contro i fascisti ma i partigiani, ritirandosi, fanno saltare i ponti lungo la valle. Fortini è costretto a risalire la val Devero marciando nella neve alta e, arrivato in Svizzera, ritrova altri profughi della Valdossola. 
Rimane per un po’ di tempo nel campo di raccolta di Briga e poi a Pully e Tour Haldimand in un campo per ebrei ortodossi e in seguito in un carcere preventivo per detenuti comuni, al Bois Mermet di Losanna, sotto l’accusa da parte della polizia elvetica di non aver rispettato le procedure durante un’assenza dal campo.
    A Zurigo il 14 dicembre del 1944 è rappresentato con successo il suo atto unico Il soldato.
    Dimesso da Losanna il 25 gennaio del ‘45 Fortini è destinato a Spiez dove farà il lavapiatti in un albergo requisito. In questo periodo si dedica alla traduzione del Romeo e Giulietta al villaggio di Gottfried Keller.
    Ritornato a Zurigo per alcune licenze trova alloggio presso Regina Kägi-Fuchsmann che gli farà da garante. Riprende a collaborare all’Avvenire dei lavoratori e a pubblicare sul periodico del Partito socialista ticinese Libera stampa diretto da Alberto Vigevani e Luigi Comencini e sulla rivista Arte, letteratura e lavoro.
    La notizia della liberazione lo vede a Spiez il 25 aprile e finalmente l’11 maggio può tornare in patria.
    [#] Il ritorno in patria
    Al ritorno in patria Fortini inizia subito a scrivere articoli che vengono pubblicati sull’Avanti! e alla fine di giugno decide di trasferirsi a Milano dove viene a sapere di aver vinto la cattedra nel concorso del 1943 ma, senza molti ripensamenti, decide di rinunciare all’insegnamento.
    [#] La collaborazione a riviste
    Per tutto il 1945 la collaborazione alle riviste l’Avanti!, La lettura e Italia libera, sarà intensa e il 1º agosto diventa redattore praticante di ‘Milano sera’, periodico curato dapprima da Bonfantini, poi da Vittorini e in seguito da Alfonso Gatto. 
Consegna in questo periodo a Vittorini il dattiloscritto Fogli di via che viene trasmesso da quest’ultimo all’Einaudi. 
Prepara intanto con Vittorini ed Albe Steiner Il Politecnico e corregge gli articoli dei collaboratori rivedendone le traduzioni.
    [#] Dal 1946 al 1950: il suo esordio letterario
    Intramezzando il lavoro al Il Politecnico con la collaborazione alla Lettura, è ospite assiduo della Casa della Cultura e il 7 aprile 1946 si sposa con Ruth Leiser nel Municipio di Milano.
    [#] Il suo primo libro di versi: Foglio di via
    Il 30 aprile dello stesso anno viene pubblicato, nella collana di poesia di Einaudi, il primo libro di versi, Foglio di via con un suo disegno in copertina e una dedica al padre. 
Il primo a recensire il libro sarà Italo Calvino sull’Unità. 
Trasformatosi ‘Il Politecnico’ da settimanale a mensile Fortini, pur continuando la collaborazione con esso, diventa anche collaboratore dell’Avanti!. Conosce intanto, nella sede dell’Einaudi romana, Cesare Pavese e nel luglio dello stesso anno ha occasione di conoscere e intervistare per il ‘Politecnico’ Jean-Paul Sartre che si trovava a Milano con Simone de Beauvoir per una conferenza. Nei giorni seguenti Sartre e Fortini, a casa di Vittorini, lavoreranno alla stesura del programma di un numero dedicato all’Italia di Les Temps Modernes, la rivista fondata nel 1945 da Sartre. Essa uscirà nel 1947 con i contributi di Sergio Solmi, Giacomo Debenedetti, Vasco Pratolini, Alberto Moravia, Ignazio Silone e lo stesso Fortini. 
Si intensificano nel frattempo le letture e le traduzioni dalla letteratura straniera; Alfred Jarry, Guillaume Apollinaire, Pierre Reverdy, George Orwell, Stephen Spender, Antonio Machado, Federico García Lorca. 
Sulla ‘Gazzetta del Nord’ di Noventa è pubblicata in dicembre ‘Una conversazione in Valdossola’ che costituirà la prima serie delle Sere in Valdossola del 1963. 
Non smette nel frattempo di tradurre (Ramuz per le Edizioni di Comunità e Éluard per Einaudi) e di collaborare alla rivista Omnibus con brevi articoli di costume, firmandosi con lo pseudonimo di ‘Minko’.
    [#] Impiegato all’Olivetti
    Nell’agosto del 1947 intervista Thomas Mann che si trovava nella villa dei Mondadori sul lago Maggiore e l’intervista è pubblicata sull’‘Avanti!’. 
Costretto dalle necessità economiche ad accettare l’offerta di Olivetti per un impiego negli uffici della pubblicità si trasferisce ad Ivrea e il 1º agosto viene assunto. 
Nel 1947 si chiude intanto l’esperienza del ‘Politecnico’ sul quale Fortini aveva pubblicato oltre cinquanta testi tra articoli e poesie. 
Al gennaio del 1948 risale la recensione per l’‘Avanti!’ del libro di Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio, che farà nascere una forte polemica all’interno del partito. 
Insieme alla moglie Ruth traduce Timore e tremore di Kierkegaard e scrive nel frattempo il racconto Agonia di Natale che verrà pubblicato da Einaudi nella primavera dello stesso anno. 
Continua a dedicarsi alla prosa e scrive il racconto La cena delle ceneri che verrà pubblicato solamente nel 1988 e L’interdetto che rimarrà inedito. 
Il 14 luglio, in seguito dell’attentato a Togliatti, si era intanto creato ad Ivrea, tra gli operai, un clima di grande tensione ed egli è tra i sostenitori della rivolta. L’amico Adriano Olivetti lo comprende e, invece di licenziarlo, lo trasferisce nella sede di Milano alla pubblicità. Il lavoro all’Olivetti lo mette a contatto con i grafici, specialmente con Giovanni Pintori, ma anche con diversi poeti come Giovanni Giudici con i quali preparerà gli slogan per la pubblicità.
    [#] Traduzioni, recensioni e viaggio in Germania
    Dopo la sconfitta delle sinistre del 1948 il clima politico era mutato profondamente ed era iniziato il periodo che Fortini chiamerà più tardi con il titolo del suo libro: ‘dei dieci inverni’. 
Risale alla fine di gennaio la recensione di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica e la traduzione, in collaborazione con la moglie Ruth, di Alfred Döblin e André Gide che verrà pubblicata l’anno successivo dall’Einaudi. 
Viene intanto invitato da un ufficiale inglese a prendere contatto con un centro di rieducazione di giovani hitleriani presso Hannover e alla fine dell’estate si reca in Germania con Ruth. Tutti i resoconti del viaggio sono pubblicati sul ‘Nuovo corriere’, ‘Milano sera’ e ‘Il mondo’ e verranno raccolti l’anno successivo in ‘Comunità’ con il titolo Diario tedesco pubblicato come libro dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1991.
    [#] Convegni, saggi e viaggio a Londr
    Nel 1950 continua la collaborazione con l’‘Avanti!’ e nel frattempo diventa più intensa la sua attività di critico per ‘Comunità’ dove, nella rubrica ‘Bibliografia letteraria’, recensisce le novità del momento. Si deve a questo periodo la lettura approfondita di Lukács. 
Interviene all’inizio di aprile al ‘Convegno del Movimento per la Riforma religiosa’ che si tiene a Bergamo e il 16 giugno, in occasione del maggio musicale, vengono messi in musica i suoi versi tratti da ‘Foglio di via’ da Valentino Bucchi. 
In occasione di una serata per Carlo Levi, che si tiene durante la settimana Einaudi, ritrova Pavese che aveva appena ricevuto il Premio Strega e scrive un commento ad un suo saggio intitolato Sul mito. 
Dopo il suicidio di Pavese, avvenuto poco dopo quell’incontro, Fortini scrive sull’‘Avanti!’ l’articolo Pavese si è ucciso. 
Risale a questo periodo un viaggio a Londra dove conosce Eliot.
    [#] Il periodo dal 1951 al 1954: intensa attività di traduttore e di critico
    Si intensifica intanto l’attività di traduttore che diventerà prevalente negli anni tra la fine del 1940 a tutto il 1950. 
Molte le versioni dal tedesco compiute con la consulenza di Cesare Cases e in collaborazione con la moglie. 
Risalgono a questo periodo le traduzioni di Bertold Brecht, delle poesie di Villon, di Marcel Proust, di Simone Weil e Fortini sembra aver accantonato la poesia. Conosce in questo periodo un gruppo di giovani che alla letteratura preferivano l’economia e la filosofia e che avevano stampato in proprio una piccola rivista intitolata Discussioni. Questa rivista veniva data in distribuzione ad una cerchia di amici e conoscenti e tra gli argomenti che trattava vi erano quelli sul significato della guerra in Spagna, sull’uso della violenza, sulla politica dell’Unione Sovietica e sul pensiero di Gramsci.
    Nel 1951 invia a Montale una cinquantina di poesie per averne un giudizio e ne riceve un parere severo ma penetrante che Fortini definirà ‘tanto sconvolgente quanto deprimente’.
    Nel 1952 è invitato da Calvino a collaborare al Notiziario Einaudi con una nota su Pavese. Continua a prestare saltuariamente consulenza editoriale per l’Einaudi analizzando L’uomo senza qualità di Musil e la biografia di Büchner a opera di Handis Mayer oltre a curare i testi teatrali di Brecht. 
Nel luglio dello stesso anno intraprende un nuovo viaggio a Londra, con Ruth, e, di passaggio, a Parigi, assiste alla prima teatrale di En attendant Godot di Samuel Beckett. 
Muore il 18 novembre Paul Eluard e al necrologio che Montale fa sul Corriere della Sera, ‘La morte di Paul Eluard’, Fortini risponde con una lettera in cui esprime il suo disappunto per il taglio che Montale ha dato all’articolo, tacciandolo di ‘malignità civettuole e cattivo gusto’. 
Continuando intanto le numerose recensioni su Comunità, la collaborazione con l’Avanti! e con il Notiziario Einaudi. In questo periodo pubblica su Botteghe Oscure Sere in Valdossola.
    Inizia nel 1953 la collaborazione a Nuovi Argomenti e su Botteghe oscure appaiono alcune poesie, di cui cinque sotto il titolo Versi per Ruth e una dal titolo Sestina per Firenze. Le poesie dedicate a Ruth sono raccolte nello stesso anno in una plaquette fuori commercio dal titolo Sei poesie per Ruth e per me.
    Nel 1954 traduce per le Edizioni Comunità L’enraciment di Simone Weil e grazie a Vittorio Sereni pubblica nella edizione della Meridiana Una facile allegoria. 
Esce lo stesso anno da Einaudi Minima moralia di Adorno che accende all’interno del gruppo di ‘Discussione’ appassionati dibattiti al quale Fortini partecipa attivamente. 
Nel marzo scrive su Nuovi Argomenti un articolo intitolato Appunti su ‘Comunismo e Occidente’ e riceve ‘una misura disciplinare’ dalla Federazione socialista milanese. 
In aprile ha inizio la sua collaborazione a Il contemporaneo sul quale tiene la rubrica ‘lettere francesi’. A giugno scrive su Lo spettatore d’oggi la recensione di Le degré zéro de l’écriture di Roland Barthes e alla fine di ottobre diventa consulente della collana dei Saggi dell’Einaudi.
    [#] Il periodo dal 1955 al 1957: grande impegno politico
    Nel 1955 Fortini si dedica all’approfondimento del lavoro per Discussioni e Officina e si trova a contatto con Pasolini, Leonetti, Roversi e Romanò. 
Nello stesso anno l’ex gruppo di ‘Discussioni’, formato da Armanda Guiducci, Roberto Guiducci, Luigi Amodio, Stefania Caproglio, si riunisce per decidere di stampare ‘Ragionamenti’ con l’intento di farne una rivista ‘di critica e di informazione sui maggiori temi del pensiero marxista contemporaneo, in una prospettiva antistalinista ma non riformista, e per una riunione nel ‘blocco storico’ delle sinistre ‘con l’intenzione di rivolgersi soprattutto agli intellettuali e ai quadri dei movimenti di sinistra’. 
La rivista, che avrà vita fino al 1957, esce con tiratura limitata e sostenuta finanziariamente solamente dai redattori e dagli abbonamenti e è accolta con indifferenza dai socialisti e con ostilità dai comunisti, ad eccezione di Della Volpe.
    In marzo Pasolini scrive a Fortini una lettera con la quale lo invita a collaborare a ‘Officina’ e in risposta Fortini gli invia quattro poesie e in seguito, su richiesta dello stesso Pasolini, aggiungerà un Allegato con il titolo L’altezza della situazione, o perché si scrivono poesie che appariranno sul fascicolo di settembre.
    A luglio si reca ad Helsinki come ‘osservatore’ al ‘Congresso della pace’ ed incontra letterati famosi tra i quali Nazim Hikmet che intervista per ‘Il contemporaneo’.
    Grazie ai contatti con Hikmet, che lo introduce a Alexei Surkov, poeta, segretario dell’Unione degli Scrittori sovietici, Fortini si reca per la prima volta in Urss, per quindici giorni.
    A ottobre si reca in Cina in visita ufficiale nella Repubblica Popolare Cinese con la prima delegazione italiana formata, tra gli altri, da Piero Calamandrei, Norberto Bobbio, Enrico Treccani e Cesare Musatti. 
Il viaggio durerà un mese e il diario della visita verrà pubblicato l’anno seguente in Asia Maggiore dedicato a Carlo Cassola suo compagno di viaggio che, a sua volta, gli dedicherà Viaggio in Cina. 
Di ritorno dalla Cina inizia a collaborare all’Enciclopedia A/Z della Zanichelli curandone diverse voci e affida a Sereni un fascicolo di circa ottanta poesie per vedere se c’è la possibilità di pubblicare una nuova raccolta.
    Traduce una scelta di poesie di Éluard con un’ampia introduzione, pubblica la plaquette In una strada di Firenze e, sul primo numero di Ragionamenti di settembre-ottobre, scrive un saggio su Leo Spitzer, dal titolo Critica stilistica e storia del linguaggio. 
Legge intanto gli scritti di Auerbach, Maurice Merleau-Ponty e Lucien Goldmann del quale tradurrà, nel 1961, ‘Le dieu caché’, continua a tradurre Brecht e scrive i versi A Boris Pasternak.
    Il 2 gennaio del 1956 scrive a Pasolini, che era stato accusato di ‘oscenità’ per il romanzo Ragazzi di vita, offrendo la sua testimonianza di critico. 
Sempre nel mese di gennaio inizia il XX Congresso del Partito comunista sovietico e le notizie che pervengono creano forti emozioni: ‘Ricordo – egli scrive – che quando da non so quale oratore è stato fatto il nome di Antonov-Ovseenko, cioè della persona che aveva ricevuto nelle sue mani la capitolazione del governo provvisorio al momento della presa del Palazzo d’Inverno, e che poi era stato una delle vittime di Stalin, noi abbiamo capito (…) che qualcosa di straordinario stava avvenendo’.
    In febbraio Fortini incontra Brecht a Milano in occasione della rappresentazione dell’Opera da tre soldi al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Giorgio Strehler e a marzo viene aperta su ‘Il contemporaneo’ un’inchiesta sulla cultura di sinistra che suscita una forte polemica coinvolgendo intellettuali e politici e nella quale egli interviene con un articolo intitolato I politici intellettuali.
    A settembre è pubblicato in un supplemento di Ragionamenti il testo di Fortini e Guiducci, Proposte per una organizzazione della cultura marxista in Italia che riprende l’argomento rivelato dalla polemica e cioè la richiesta di ‘autonomia’ degli uomini di cultura dalle direzioni culturali dei partiti, la loro auto-organizzazione all’interno del ‘blocco storico’ delle sinistre e il loro controllo degli strumenti di espressione culturale.
    Il libro Asia Maggiore che esce in aprile è recensito su ‘Rinascita’ con una critica negativa e Fortini viene accusato di essere ‘nemico del popolo cinese’. 
Il dattiloscritto Dieci inverni, che consegna a Gianni Bosio gli verrà restituito senza nemmeno essere sfogliato. Fortini intanto ha dato le dimissioni dalla Casa della Cultura.
    La conoscenza e l’amicizia con Edgar Morin e Roland Barthes gli permettono di avviare, parallelamente a Ragionamenti e con una comune redazione, la rivista parigina Arguments. 
Il 19 ottobre del 1956 ha inizio la crisi polacca e il 23 dello stesso mese la rivolta a Budapest che viene seguita ora per ora dall’Unità. Il 31 dello stesso mese vi è l’intervento anglo-francese a Suez e il 4 novembre giunge la notizia dell’intervento sovietico. Risale a questo periodo la poesia 4 novembre 1956: ‘Il ramo secco bruciò in un attimo/Ma il ramo verde non vuol morire. / Dunque era vera la verità. / Soldato russo, ragazzo ungherese,/ non v’ammazzate dentro di me. / Da quel giorno ho saputo chi siete:/e il nemico chi è’.
    Tra la fine del 1956 e l’inizio del 1957 prosegue la collaborazione con Officina e l’intenso rapporto con Pasolini nell’ipotesi di un lavoro comune. Viene attaccato dal Contemporaneo per un intervento fatto su Mondo operaio dal titolo ‘Organizzazione della cultura. Interpretazioni della ‘intellighentsia ungherese’ e in seguito verrà più volte censurato dall’‘Unità’.
    Nell’aprile dello stesso anno recensisce sull’Avanti! Mythologies di Barthes e pubblica su Ragionamenti la traduzione della Poesia agli adulti di Adams Wazyk.
    Per l’editore Schwarz pubblica la traduzione di Idee e opinioni di Albert Einstein avvalendosi di Camillo Losurdo per la parte scientifica e un’edizione numerata di Sestina a Firenze con litografie di Ottone Rosai.
    Nell’ottobre raccoglie una selezione degli scritti di un decennio di attività legato alla vita culturale e politica del paese che vanno dal periodo 1947-1957 che saranno pubblicati da Feltrinelli con il titolo Dieci inverni. Contributo ad un discorso socialista.
    Sull’Avanti! esce il 10 dicembre una recensione dell’opera firmata da Luciano Della Mea nella quale Fortini viene accusato di aver compiuto un errore di fondo nel parlare di divisione, all’interno del socialismo scientifico, del potere tra la politica e la cultura e tra i politici e gli intellettuali.
    Roberto Guiducci interviene sullo stesso giornale in difesa del libro ma la recensione e il silenzio della dirigenza del Partito socialista fanno riflettere Fortini che decide di uscire dal PSI. Alla fine dell’anno restituirà la tessera del partito a Pietro Nenni.
    [#] Il periodo da 1957 al 1962: un periodo di riflessione
    Con la chiusura di Ragionamenti e l’interruzione alla collaborazione con l’Avanti!, ha inizio per Fortini un periodo di riflessione che lo allontanerà dall’impegno militante e lo avvicinerà maggiormente a quello letterario.
    Scrive su Officina una serie di poesie e alcuni importanti saggi come quello sulla metrica e su Hugo Friedrich mentre ‘La situazione’ e ‘Il Caffè’ pubblicano alcuni suoi testi poetici.
    Insieme ad un gruppo di giovani musicisti torinesi, tra i quali Sergio Liberovici, Fausto Amodei, Emilio Jona e Michele Straniero, partecipa al rinnovamento della ‘canzonetta‘ e scrive testi per musica leggera tra i quali Tutti amori che viene musicata da Liberovici e che farà parte del repertorio del gruppo, nominatosi I Cantacronache, insieme alla versione di Fillette di Quenéau e Campane di Roma che, a causa della censura per i versi ‘lungo un divano/ del Vaticano/ seder vorrei/ con te, mio amor. . . ’, non sarà mai eseguita.
    Cura insieme a Libero Bigiaretti Olivetti 1908-1958, un volume che illustra i cinquant’anni dell’attività dell’Olivetti mentre nel lavoro di traduzione ha la prevalenza l’opera di Brecht del quale esce, nel 1958, la versione del ‘Romanzo da tre soldi’ e l’anno seguente ‘Storie da calendario’ e l’antologia ‘Poesie e canzoni’ con una sua introduzione. 
Sempre nel ’58 continua con fervore l’opera di traduttore e le sue letture abbracciano ambiti diversi. Traduce opere di György Lukács e di Adorno, i saggi di Edmund Wilson, quelli di Francis Otto Matthiessen e del suo ‘Rinascimento americano’, del quale Pavese aveva voluto la traduzione, e in seguito si dedica ai formalisti russi, a Lévi-Strauss e Saussure oltre ai saggi di carattere storico di Needham sulla Cina e di Deutscher su Trockij.
    [#] Il secondo libro di versi: Poesia ed errore
    Nel 1959 Giorgio Bassani, allora direttore della ‘Biblioteca di letteratura’ di Feltrinelli lo consiglia nella strutturazione dell’antologia che raccoglie la sua produzione letteraria dal 1937 al 1957 e che uscirà con il titolo Poesia ed errore da Feltrinelli; nel frattempo cura per Garzanti l’antologia Il movimento surrealista.
    Si altera intanto il rapporto con Officina e Fortini, in una lunga lettera, si confiderà con l’amico Pasolini scrivendo: ‘C’è in me qualcosa che allontana la gente e mi impedisce l’amicizia. La cosa si ripete negli anni con tanta regolarità che non posso imputare gli altri. Ma riuscissi a capire cos’è ed a emendarmi’. 
Il 31 maggio, dopo una correzione e un taglio senza essere avvisato di un suo articolo su Lukács, decide di lasciare Officina che con il numero del maggio-giugno chiuderà le pubblicazioni.
    Riprende la sua collaborazione all’Avanti! con una serie di riflessioni dal titolo Cronache della vita breve, scrive l’introduzione ad un’antologia di poesie di Mao Tse-Tung e, sempre nel 1959, assume la direzione della collana ‘Piccola Biblioteca Einaudi’ dedicata alle opere scientifiche, storiche e sociologiche.
    Alla fine del gennaio del 1960 la canzone di maggior successo di Fortini, Quella cosa in Lombardia, viene cantata in un recital al teatro Gerolamo da Laura Betti. 
Nello stesso anno muore Olivetti, che Fortini ricorderà in un breve articolo sull’Avanti!, e Noventa al quale dedicherà la poesia Per Noventa: ‘Più d’ogni parola a me maestro/ per disperato orgoglio a falsi òmeni,/ vecchio, fingevi d’arrenderti. Io / ero lontano da te, coi tuoi versi’.
    Nel luglio dello stesso anno, dopo la manifestazione in piazza contro il governo Tambroni, parte con la moglie Ruth per l’URSS e il viaggio, compiuto in macchina, durerà un mese.
    Di ritorno dal viaggio, su sollecitazione di Vittorini, pubblica un saggio su Le poesie italiane di questi anni, traduce Zazie nel metrò di Queneau e scrive il testo per il documentario All’armi siam fascisti! di Cecilia Mangini, Lina Dal Fra e Lino Micciché.
    Nel 1961 Fortini continua le traduzioni da Brecht e pubblica, sul secondo numero di Rendiconti, una serie di poesie tra cui La gronda. 
Sarà di quest’anno la sua partecipazione alla prima ‘Marcia della pace’, da Perugia ad Assisi, insieme a Solmi, Amodio, Calvino e Capitini e la composizione di una canzone che nella versione discografica prenderà il nome di La marcia della pace. 
Termina intanto l’esperienza della ‘PBE’ e Fortini rimane consulente dell’Einaudi ma senza uno specifico incarico editoriale.
    Nel novembre, in seguito alla repressione da parte della polizia parigina di una manifestazione a favore dell’indipendenza algerina, rimprovera Barthes e altri intellettuali di aver assunto un atteggiamento distaccato rispetto agli avvenimenti e proprio con Barthes avrà un duro scambio epistolare.
    In questi anni di ‘occultamento politico’, Fortini inizia un diverso ciclo di collaborazioni entrando in contatto con gruppi eterogenei di intellettuali, coloro che nel corso degli anni sessanta e settanta contribuiranno al rinnovamento della cultura italiana. 
Inizia a frequentare il gruppo di ‘Quaderni rossi’ e inizia la collaborazione alla rivista Quaderni Piacentini alla quale fornirà l’indirizzo per i primi numeri. 
Prosegue intanto la sua attività di recensore e di saggista sulla rivista Il Menabò e su quella di Vittorio Sereni, ‘Questo e altro’ dove continua la serie delle ‘Cronache della vita breve’.
    Il 26 gennaio del 1962 muore il padre e Fortini. Nei mesi che seguono la sua scomparsa, Fortini riprende la Poesia delle rose, un poemetto di 144 versi originariamente scritto nel 1956, per pubblicarlo con la Libreria Antiquaria Palmaverde di Bologna di Roversi. 
Scrive intanto il testo, su richiesta di Paolo e Carla Gobetti, per il documentario ‘Scioperi a Torino‘ che otterrà forti proteste sindacali oltre che il giudizio negativo di Italo Calvino che dissentiva da quello che gli sembrava un attacco da sinistra alle posizioni sindacali.
    [#] Dal 1963 al 1987: una nuova svolta
    Nel 1963, ottenuta la riammissione nei ruoli della Pubblica Istruzione, Fortini inizia la carriera d’insegnante. 
Ottiene i primi incarichi di Lettere italiane e Storia dapprima in alcuni istituti tecnici di Lecco e di Monza per poi approdare, nel 1966 a Milano. 
Il ‘63 è anche un anno importante per la storia dello scrittore: la casa editrice Mondadori, grazie a Sereni che ne è il direttore editoriale, pubblica la sua terza raccolta di versi Una volta per sempre che ottiene una buona attenzione da parte della critica. 
Ancora grazie a Sereni viene accolta nella collana ‘Il tornasole’ Sere in Valdossola e le edizioni Avanti! pubblicano Tre testi per film che comprendono ‘All’armi siam fascisti’, ‘Scioperi a Torino’ e ‘La statua di Stalin’. 
Sempre nel 1963 è tradotta in tedesco per Suhrkamp un’antologia dei versi da ‘Poesia ed errore’ e ‘Una volta per sempre’ da Hans Magnus Enzensberger. 
Nel novembre termina il rapporto con Einaudi dopo varie proposte e controproposte di Giulio Bollati e di Giulio Einaudi riguardo alla sua funzione all’interno della casa editrice.
    Con l’arrivo dell’estate del 1964 Fortini si trasferisce nella nuova casa di Bavognano di Ameglia che sarà da quel momento il luogo delle sue vacanze e quello che farà da sfondo a molte sue poesie, disegni e pitture. 
Traduce con Ruth per Feltrinelli Poesie per chi non legge poesia di Enzensberger e collabora a Le muse. Enciclopedia di tutte le arti di De Agostini. 
Pubblica su Quaderni piacentini e Giovane critica alcuni saggi e l’11 settembre inizia la traduzione del Faust di Goethe con la consulenza del germanista Cases.
    Nel 1965 esce Verifica dei poteri dal Saggiatore e l’antologia Profezie e realtà del nostro secolo da Laterza, entrambi discussi e recensiti su molti periodici e quotidiani. 
Continua a ritmo intenso le letture più disparate e rimane colpito dal libro ‘Gli strumenti umani’ di Sereni, di cui scrive, nel marzo 1966 un’ampia recensione su ‘I quaderni piacentini’. 
È di questo anno la polemica con le neoavanguardie che accusa di usare il sarcasmo come ‘destrutturazione verbale dei miti borghesi’. 
Nel dicembre dello stesso anno viene sequestrato il disco Le canzoni del no di Maria Monti, che contiene ‘La marcia della pace’ (scritta in collaborazione con il cantautore torinese Fausto Amodei e lo scrittore subisce un processo dal quale verrà però presto assolto.
    Nel 1966 pubblica L’ospite ingrato. Testi e note per versi ironici e all’inizio del 1967 pubblica la nuova edizione di Foglio di via. 
A Pasqua si reca a Praga con Zanzotto, Giudici e Sereni. 
Il 23 aprile partecipa ad una manifestazione per il Vietnam e viene criticato dagli organi di stampa del Partito comunista. 
Nell’estate, in seguito alla Guerra dei sei giorni, scrive I cani del Sinai che uscirà in autunno procurandogli ‘isolamento e odi tenaci’.
    Nel 1968 Fortini, pur continuando ad insegnare e a tradurre il Faust, è presente alle varie manifestazioni studentesche e nel momento di maggiore forza del Movimento studentesco pubblica su Quaderni piacentini il saggio Il dissenso e l’autorità. 
Sarà di questo periodo e proprio a causa delle lotte degli studenti e del loro scontro con la polizia la rottura definitiva con Pasolini alla fine di maggio. Alla tavola rotonda che si teneva a Roma organizzata da L’Espresso per l’intervento dello scrittore intitolato ‘Il PCI ai giovani!!’, Fortini legge privatamente all’amico il testo che aveva preparato per l’occasione nel quale affermava:’Presente e futuro dei movimenti studenteschi. Tema troppo serio per parlarne qui. Non sono qualificato per farlo (. . . ). Qui si deve discutere invece di una carta scritta da uno dei maggiori scrittori del nostro paese. //Il mio giudizio è di tristezza e di rifiuto’. 
In Attraverso Pasolini Fortini scrive: ‘. . . Ero davvero esasperato dal suo atteggiamento; ben più che per il testo a favore dei poliziotti, quel che trovavo insopportabile era di accettare lo sfruttamento pubblicitario, e la inevitabile trasformazione in volgare propaganda, di quel suo scritto’.
    Dopo gli scontri di Parigi tra poliziotti e studenti, dove c’è il primo morto, Fortini insiste con Pasolini per persuaderlo a non far registrare il suo intervento su L’Espresso, ma all’indomani il testo viene comunque pubblicato e Fortini interviene sullo stesso quotidiano, il 23 giugno, con un articolo contro Pasolini dal titolo È come una carta acchiappamosche.
    Nel dicembre dello stesso anno pubblica Ventiquattro voci per un dizionario di lettere. Breve guida ad un buon uso dell’alfabeto e nello stesso mese, dopo la strage di Piazza Fontana, su richiesta degli studenti del liceo milanese tiene una lezione sullUomo a una dimensione di Marcuse. Partecipa ai funerali di Pinelli a Musocco il 20 dicembre e il racconto di quell’evento comparirà nella seconda edizione dellOspite ingrato.
    Nel gennaio del 1969 è ripubblicata da Mondadori nella collana ‘Lo specchio’ la raccolta Poesia e errore. Contemporaneamente esce alle stampe la plaquette Venticinque poesie 1961-1968. 
In collaborazione con Augusto Vegezzi realizza una antologia destinata al biennio delle scuole superiori intitolata Gli argomenti umani. 
In questo periodo collabora poco alle riviste e dedica la maggior parte del tempo alla traduzione del Faust terminandone la versione nel 1970.
    Il 21 gennaio 1970 Fortini partecipa ad una manifestazione indetta dal Movimento studentesco e dopo aver assistito in prima fila all’andamento degli scontri tra la polizia e gli studenti scrive per la Questura una Testimonianza dettagliata degli avvenimenti. 
A maggio Bucchi presenta, nel maggio Musicale di Firenze, la sua opera Il coccodrillo di cui fa parte la Canzone della coesistenza e Fortini scrive per l’autore la filastrocca Il Pero e il però.
    Alla fine del 1970 verrà pubblicata da l’Universidad de Venezuela di Caracas, l’edizione in lingua spagnola di Verifica dei poteri: Los poderes culturales. Nel giugno 1971 è tra i firmatari della lettera aperta pubblicata sul settimanale L’Espresso sul caso Pinelli.
    Nel 1971 Fortini ottiene il premio ‘Città di Monselice’ per la traduzione letteraria del Faust e all’inizio di novembre tiene una lezione su Montale a Canterbury, all’Università del Kent.
    Nel corso dell’anno ottiene la libera docenza e da metà novembre inizia ad insegnare alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università di Siena, Storia della critica letteraria che inaugura con un corso monografico sulla poesia di Manzoni.
    Risalgono al maggio del 1972 i versi Per Serantini scritti per un giovane anarchico che era stato ucciso a Pisa dalla polizia durante una manifestazione: ‘A quelli che lo hanno ucciso/ il governo ha benedette le mani con un sorriso’. 
Accetta in seguito di essere iscritto come indipendente nella lista elettorale del Manifesto, al quale collabora dall’anno precedente, per le elezioni legislative. Il capolista è Pietro Valpreda, l’anarchico accusato della strage di Piazza Fontana.
    [#] Il quarto libro di versi: Questo muro
    In agosto si reca per la seconda volta in Cina e al rientro viene a sapere dall’amico Sereni che la raccolta Questo muro uscirà presto nello ‘Specchio’ di Mondadori. 
Tiene intanto all’università il corso dedicato a ‘La poesia italiana degli anni 1910-1925 nella critica letteraria del periodo 1950-1970’.
    Nel giugno del 1973 esce la raccolta Questo muro che comprende i versi composti dal 1962 al 1972 e a luglio è pubblicato, nella collana monografica Il castoro della Nuova Italia, il primo studio approfondito sull’opera fortiniana dal titolo Franco Fortini di Alfonso Berardinelli.
    Si intensifica intanto la collaborazione a Il Manifesto e nell’estate del 1974 escono Saggi italiani e l’antologia Poesie scelte (1938-1973) curata da Mengaldo. All’università tiene il corso dedicato a ‘Simbolismo europeo e simbolismo italiano nella critica dello scorso trentennio’, collabora alla rivista aut aut mentre interrompe la presenza su Quaderni piacentini.
    Muore a novembre del 1975 Pier Paolo Pasolini e Fortini partecipa ai funerali amareggiato, come scriverà in seguito, per non essere riuscito a risolvere le loro ostilità e vincere il silenzio degli ultimi sei anni.
    Con il 1976 inizia un periodo di intensa collaborazione al Corriere della Sera mentre ritorna a tradurre Brecht. Nell’estate di quello stesso anno viene girato il film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet Fortini/cani, dai Cani del Sinai. 
All’università tiene un interessante corso biennale su ‘L’ordine e il disordine. Esempi di critica e di letteratura, in Italia e in Europa, nel periodo 1915-1925‘, nel quale analizza i testi di Croce, Gobetti, Gramsci, Ungaretti, Rebora, Onofri, Montale, Valéry, Šklovskij, Eliot, Breton, Trockij.
    Risale al 1977 la seconda edizione, in collaborazione con Walter Binni, del Movimento surrealista, I poeti del Novecento e la raccolta saggistica Questioni di frontiera. Scritti di politica e di letteratura 1965-1977. 
A novembre dello stesso anno, quando cambia la direzione del ‘Corriere della Sera’, Fortini interrompe la collaborazione. Intanto a Siena continua il corso dell’anno precedente discutendo nei seminari ‘Un’idea di Dante’ di Gianfranco Contini e ‘Linguaggio e silenzio’ di Steiner.
    Nel maggio del 1978 si reca in Inghilterra per tenere una conferenza all’Università del Surrey, a Brighton, dal titolo Dei confini della poesia e nello stesso anno vengono tradotte da Michael Hamburger una scelta di poesie tratte da ‘Una volta per sempre’ e ‘Questo muro’ mentre Einaudi raccoglie i suoi primi tre libri di poesia sotto il titolo Una volta per sempre. Poesie 1938-1973.
    Nel 1979 prosegue in modo assiduo la collaborazione al Manifesto ma un suo saggio pubblicato sui Quaderni piacentini a proposito di Doppio diario di Giaime Pintor suscita molte polemiche determinando la frattura con Luigi Pintor direttore de ‘Il Manifesto‘ e il rapporto termina bruscamente. 
Lavora ad un saggio su Noventa, tiene il corso all’università dedicato alle principali teorie della letteratura e in Francia, per i ‘Cahiers du cinéma’ esce ‘Les chiens du Sinai’ nell’edizione Albatros con la versione francese dei ‘Cani del Sinai’.
    Nel febbraio del 1980 è pubblicata la plaquette Una obbedienza, con l’introduzione di Andrea Zanzotto e durante l’estate esce la raccolta di saggi Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia con gli interventi di Alberto Asor Rosa, Cesare Cases, Mario Luzi, Mengaldo, Giovanni Raboni e Vittorio Sereni.
    Nei primi mesi del 1981 è a Parigi per preparare un corso su Manzoni e frequenta assiduamente la Bibliothèque Nationale. Si reca in seguito in Inghilterra e per qualche giorno è a Cambridge e a Londra. 
Nell’aprile dello stesso anno subisce una perquisizione da parte della Questura nella casa di via Legnano per le indagini in corso sulla ‘lotta armata’ senza alcun risultato e da ottobre, terminata la collaborazione a ‘Il Messaggero‘, riprende quella con il ‘Corriere della Sera’. 
Scrive Un vero veduto dalla mente su richiesta di Walter Binni, un testo autobiografico per le ‘Notizie e dichiarazioni di scrittori (1911-1917)’ raccolte per la ‘Rassegna della letteratura italiana’ e inizia a tradurre Milton.
    Nel 1982 continua la collaborazione con il ‘Corriere della Sera’ diretto da Alberto Cavallari e a giugno dello stesso anno pubblica una scelta delle proprie versioni poetiche intitolata Il ladro di ciliegie e altre versioni di poesia mentre lavora alle traduzioni dei racconti di Kafka e dei versi giovanili di Proust.
    Nel 1983 muore l’amico Sereni e a lui lo scrittore dedica sul ‘Corriere della Sera’ Un dialogo che non è finito. 
Lavora intanto a una Storia della traduzione dal ‘Conciliatore’ a oggi e ad un’introduzione a Michelet. 
A novembre, in occasione dell’invasione da parte dell’esercito degli Stati Uniti dell’isola di Grenada, scrive sul ‘Corriere della Sera’ l’articolo Quei morti strascinati con la faccia in giù che suscita aspre critiche.
    [#] Il quinto libro di versi: Paesaggio con serpente
    Nel gennaio del 1984 tiene una serie di conversazioni sulla Radio della Svizzera Italiana su autori e poeti italiani e ad aprile dello stesso anno esce il quarto libro di poesie intitolato Paesaggio con serpente.
    Invitato da Bruce Merry come visiting professor all’Università di Witswatersrand, Johannesburg, si reca a maggio in Sudafrica dove rimarrà fino a giugno tenendo lezioni e seminari su Leopardi, Dante, Lukács.
    Al rientro in patria interrompe la collaborazione con il Corriere della Sera e inizia quella con Panorama. 
Intanto continua le letture, pubblica una serie di versi destinati ad una nuova edizione dell’‘Ospite ingrato’ e realizza una plaquette intitolata Memorie per dopodomani nella quale raccoglie tre scritti del 1945, 1967 e 1980.
    All’inizio del 1985 pubblica Insistenze. Cinquanta scritti 1967-1984 e da aprile inizia a collaborare al L’espresso. 
In giugno gli è assegnato il premio Montale-Guggenheim per la raccolta di poesie Paesaggio con serpente. 
In ottobre muore Calvino e Fortini pubblica su L’espresso il ricordo intitolato Quel che ci unisce, quel che ci divise. 
Viene intanto pubblicato dall’editore Marietti L’ospite ingrato primo e secondo.
    Tra gennaio e marzo del 1986 si reca più volte a trovare i detenuti per reati politici nel carcere di San Vittore e in primavera è a Palermo per il premio Mondello. 
Giunge intanto il momento della sua messa fuori ruolo come docente e l’Università di Siena organizza in quella occasione un seminario intitolato ‘Metrica e biografia. La ricerca poetica, critica e ideologica di Franco Fortini’. 
Esce nel frattempo La lotta mentale. Per un profilo di Franco Fortini di Romano Luperini, importante punto di riferimento della bibliografia su Fortini poeta e intellettuale. 
In occasione del convegno su Giacomo Noventa che si tiene a Venezia e a Noventa di Piave, Fortini pubblica in forma di pre-print un saggio scritto nel ’79-80 intitolato Note su Giacomo Noventa. 
Esce intanto la plaquette I confini della poesia e il testo della prolusione tenuta nel dicembre del 1981 all’Università di Siena: La poesia ad alta voce.
    A novembre viene invitato a Lione da Remi Roche e Bernard Simeone per una conferenza e vengono intanto pubblicate, da Simeone e Jean-Charles Vegliante, poesie tradotte in francese con il titolo Une foìs pour toutes. Poésie 1938-1985, che include lo scambio epistolare tra Fortini e Roche. 
Alla fine dell’86 Einaudi pubblica la sua traduzione di Nella colonia penale e altri racconti di Kafka.
    [#] Il periodo dal 1987 al 1990: il recupero degli scritti e l’opera della critica
    Esce nel luglio del 1987 una nuova serie di saggi sulla letteratura italiana dal titolo Nuovi Saggi italiani e a settembre una raccolta di versi scartati dalle prime due raccolte insieme ad inediti con il titolo Versi primi e distanti 1937-1957. 
In novembre si reca in Canada e negli Stati Uniti dove tiene una conferenza di teoria della letteratura alla Harvard University e a Toronto seminari e letture. 
Al rientro in Italia riprende la collaborazione con il Corriere della Sera e inoltre collabora all’Espresso e al Manifesto mentre procede al recupero di prove narrative disperse e inedite. 
A novembre esce la seconda monografia ad opera di Remo Pagnanelli.
    Nel gennaio del 1988 compie un viaggio con la moglie Ruth nei Grigioni e ad aprile si reca in Israele a trovare la figlia adottiva Livia che vi abita da un anno. In quell’occasione scrive un racconto dal titolo Un luogo sacro che sarà raccolto nel 1990 in Extrema ratio. 
Alla fine di maggio, nell’ambito dei festeggiamenti per il ritiro dall’insegnamento universitario, si inaugura a Siena una mostra intitolata ‘Franco Fortini: cinquant’anni di lavoro’ e viene proiettato il film con la regia di Riccardo Putti ‘E vorreste non parlassero…’ 
Sempre nell’ambito dei festeggiamenti vengono pubblicati in suo onore da Luperini una miscellanea di saggi intitolata Tradizione/ traduzione/ società. Saggi per Franco Fortini, mentre a cura di Carlo Fini esce Indici per Fortini, che contiene la bibliografia degli scritti, la guida ai soggetti dell’opera saggistica, una notizia biografica, l’antologia e la bibliografia della critica.
    Nel 1989 Einaudi pubblica la nuova edizione di Verifica dei poteri che contiene una premessa scritta alla fine dell’88. A maggio chiude definitivamente con il ‘Corriere della Sera’ a causa di uno scontro con il direttore Ugo Stille che non vuole pubblicare un suo intervento sulla politica dello Stato d’Israele nei confronti della Palestina. 
L’articolo su Israele e Palestina uscirà con il titolo Lettera agli ebrei sul ‘Manifesto’ il 24 maggio. Il 12 settembre viene pubblicato sul supplemento satirico ‘Cuore’ dell’‘Unità’ il testo ‘Comunismo’ scritto in seguito alla caduta del muro di Berlino.
    [#] Gli ultimi anni: 1990-1994
    In questo periodo Fortini continua a collaborare al Manifesto e all’Espresso e dal giugno 1992 al supplemento della domenica del Sole 24 ORE. 
Fino al 1992 ritorna ogni anno a Siena per tenere seminari e lezioni ai corsi di Storia della critica letteraria tenuti da Giuseppe Nava.
    Nell’inverno tra il 1989 e il 1990, tiene a Napoli una serie di 4 seminari dal titolo ‘Realtà e paradosso della traduzione poetica’, organizzata dall’Istituto di Studi Filosofici per iniziativa del Professore Gargano, dei cui atti esce un’edizione universitaria depositata presso gli Archivi dello University College London (2004), a cura di Erminia Passannanti, tuttora inedita in Italia.
    Nel febbraio del 1990 si reca a Napoli per un seminario sulla traduzione presso l’Istituto superiore di studi filosofici e a maggio partecipa a Siena ad un convegno dal titolo ‘1960-1990: le teorie letterarie, il dibattito metodologico e il conflitto delle poetiche’. Nello stesso anno si reca a Londra per una lettura di poesie e durante l’estate lavora sul Tasso. 
A novembre Garzanti pubblica Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine e nel febbraio del 1991 esce, a cura di Paolo Jachia in stretta collaborazione con Fortini stesso, Non solo oggi. Cinquantanove voci, che estrae dai saggi e articoli una specie di dizionario fatto di parole-chiave del suo lavoro intellettuale.
    Nel 1992 compie durante l’anno alcuni viaggi per partecipare ad importanti convegni: ad aprile è a Toronto, a fine giugno a Dublino, nell’ottobre, dopo Vienna, è a Cracovia e a novembre a Lugano.
    Nel 1993, sempre curato dal giovane critico Jachia, esce Fortini. Leggere e scrivere che ripercorre in forma di colloquio, dall’infanzia in poi, le letture e le passioni intellettuali dello scrittore. 
Nell’aprile dello stesso anno viene pubblicato da Einaudi Attraverso Pasolini che comprende una piccola parte dell’opera ideata anni prima e annunciata come ‘in preparazione’, opera che uscirà postuma. 
A giugno viene ricoverato d’urgenza all’Ospedale Fatebenefratelli di Milano per un intervento oncologico. Il 5 ottobre viene dimesso e dopo un breve periodo ad Ameglia rientra a Milano.
    [#] Il sesto libro di versi: Composita solvantur
    A febbraio del 1994 viene pubblicato il suo sesto e ultimo libro di poesie dal titolo Composita solvantur. A novembre è ricoverato all’Ospedale Sacco di Milano, dove muore la notte del 28.

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