Storia della poesia italiana (1945-2010)

Pubblicato il 12 luglio 2011 su Saggi Poesia da Maurizio Baldini

Giorgio Linguaglossa e-mail:

via Pietro Giordani, 18 glinguaglossa@gmail.com

00145 Roma tel. 06 54 14 192 . cell. 329 3158490

Roma, 8 luglio 2011

Gent. mi interlocutori

Oggetto: Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010)

Roma, EdiLet, 2011 pp. 410 € 18,00

(copertina)

È uscita la storia della poesia italiana dal 1945 al 2010, il risultato di trenta anni di studi e di riflessioni sulla poesia italiana del Novecento. Uno strumento, ritengo, utile per capire qual è l’eredità che il Novecento lascia alla poesia italiana, le profonde modificazioni subite dalla forma-poesia nel corso di questi ultimi 65 anni e le sue possibilità di sviluppo per il futuro. Il libro tenta di rispondere ad alcuni pressanti quesiti:

Che cosa è successo nella poesia italiana degli ultimi 65 anni?

La poesia che si è trasformata in discorso poetico, ha un futuro?

È in grado la forma-poesia di accettare la sfida posta dai linguaggi della modernità?

Spero che questo mio sforzo possa risultare proficuo per una riflessione più vasta e articolata. Ovviamente, farò tesoro di tutti i suggerimenti che mi perverranno scusandomi per le inevitabili lacune che uno studio del genere inevitabilmente comporta.

Colgo l’occasione per comunicare che il libro è in vendita presso le principali librerie.

Per 1 copia prezzo intero € 18,00

A chi ne farà richiesta all’editore da 2 a 9 copie sarà operato lo sconto del 30% sul prezzo di copertina ad un prezzo scontato di € 12,00

A chi ne farà richiesta (prego indicare Nome e cognome, indirizzo C.A.P. Città) da 10 copie in su sarà operato lo sconto del 50% sul prezzo di copertina. per un prezzo scontato di € 9,00 cadauna.

Per una maggiore celerità delle spedizioni fornisco le seguenti informazioni:

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cordiali saluti da Giorgio Linguaglossa

Sommario

Il paradigma del Novecento

La «rivoluzione inconsapevole» quale paradigma implicito della poesia italiana del Novecento

I «Lirici Nuovi»

La Linea lombarda

Lavorare stanca di Cesare Pavese. Il fallimento del tentativo pre-sperimentale

La lettera-testamento del 28 novembre 1943 di Giaime Pintor

Il «Politecnico»

La solitudine stilistica del pre-sperimentalismo:

Umberto Bellintani, Alfredo De Palchi, Margherita Guidacci,

Alda Merini, Ennio Flaiano

IL NEO-SPERIMENTALISMO DI «OFFICINA»

La rottura con il fronte della neoavanguardia:

Edoardo Sanguineti

L’alternativa ai due fronti

LA NEOAVANGUARDIA

Edoardo Sanguineti (1933-2010)

Antonio Porta (1935-1989)

Nanni Balestrini

Alfredo Giuliani (1924-2007)

Elio Pagliarani

GLI ANNI SESSANTA : IL BOOM ECONOMICO

L’area pre-sperimentale: Lorenzo Calogero, Massimo Ferretti

Franco Fortini. L’intellettuale isolato e il conflitto su tre fronti

Franco Fortini e la poetica della irriconoscibilità

Da Pier Paolo Pasolini a Giovanni Giudici

La «riforma moderata» di Vittorio Sereni

La linea Sereni-Giudici: il «riformismo moderato»

La triade: Bartolo Cattafi, Nelo Risi, Luciano Erba

Lo sperimentalismo da Elio Pagliarani ad Andrea Zanzotto

La poesia modernista di Angelo Maria Ripellino

Gli ANNI SETTANTA : LA MODERNIZZAZIONE

La linea sereniana: Giovanni Raboni

L’inizio del post-sperimentalismo e dello psicolinguismo:

Jolanda Insana, Gregorio Scalise, Armando Patti

L’ANTISPERIMENTALISMO DEGLI ANNI SETTANTA

L’espressionismo linguistico e l’espressionismo esistenziale:

Ottiero Ottieri, Dario Bellezza, Camillo Pennati

LA QUESTIONE DEL MODERNISMO

Il modernismo chagalliano e pasternakiano:

Angelo Maria Ripellino

Il modernismo di «retroguardia» di Dante Maffìa

La retro-rivoluzione del linguaggio poetico di Helle Busacca

Il discorso pre-tecnologico e totemico della poesia di Helle Busacca

Il tragitto dal novecentismo al post-moderno:

Giorgio Caproni

Dal post-sperimentalismo alle poetiche tematiche:

Cesare Viviani, Pier Luigi Bacchini

L’ESISTENZIALISMO MILANESE

Il discorso topologico e la biografia urbana:

Giampiero Neri, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Antonio Riccardi, Mario Benedetti, Nicola Vitale

IL RETAGGIO DEGLI ANNI SETTANTA

La fine dei maestri e i «cattivi maestri»

La democratizzazione della poesia. L’antologia Il pubblico della poesia

Uno sguardo retrospettivo

GLI ANNI OTTANTA: IL RIFLUSSO

La situazione delle riviste: «Prato Pagano», «Braci», «Arsenale», «Inonja», «Poetica» e il Mitomodernismo

La marginalizzazione dell’«area meridionale»:

Luigi Piccolo, Luigi Compagnone, Stefano D’Arrigo, Sebastiano Addamo, Gesualdo Bufalino, Michele Sovente, Lino Angiuli, Angelo Fasano, Pino Corbo, Eugenio Nastasi, Carlo Cipparrone, Antonio Spagnuolo, Angelo Lippo

Il modernismo «privato»

Alberto Bevilacqua, Luciano Luisi, Davide Rondoni

La «generazione lirica»:

Giuseppe Conte, Roberto Carifi, Tomaso Kemeny, Roberto

Mussapi, Ermanno Krumm, Rosita Copioli, Isabella Vincentini

Il minimalismo romano-milanese:

Patrizia Cavalli, Vivian Lamarque, Valentino Zeichen, Valerio Magrelli, Gianni D’Elia, Franco Marcoaldi, Franco Buffoni

Il riflusso del post-sperimentalismo:

Edoardo Cacciatore, Mario Lunetta, Gruppo 93, Giuliana Lucchini

GLI ANNI NOVANTA-DIECI: LA CONDIZIONE POSTMODERNA

La deriva neomanierista:

Eugenio De Signoribus, Umberto Piersanti, Francesco Nappo

L’arcipelago degli anni Novanta–Dieci. La «generazione invisibile»:

Stefano Massari, Massimo Sannelli, Fabrizio Lombardo, Giorgia Stecher, Gabriella Sica, Maria Pia Quintavalla, Sandro Montalto, Paolo Lezziero, Mauro Ferrari, Daniela Marcheschi, Plinio Perilli, Roberto Farina, Mario Specchio, Dante Maffìa Roberto Bertoldo, Luigi Manzi, Giorgia Stecher, Massimo Giannotta, Laura Canciani, Lidia Are Caverni, Chiara Moimas, Giuseppe Pedota, Salvatore

Toma, Giorgio Linguaglossa, Maria Rosaria Madonna, Maria Rita Bozzetti, Maria Marchesi, Giovanni Occhipinti, Alfredo Rienzi, Daniela Raimondi, Tiziano Salari, Cesare Viviani, Guido Oldani, Luca Benassi, Marco Onofrio, Raffaello Utzeri, Serena Focaccia, Faraòn Meteosès, Paolo Borzi, Daniele Santoro, Serena Maffìa

La riflessione delle riviste «Poiesis» e «Hebenon» tra postsimbolismo e modernismo

Il Manifesto della Nuova Poesia Metafisica, il ritorno ad Orazio e il Manifesto di «Letture»

Crisi delle poetiche epigoniche

La prospettiva degli anni Dieci. La crisi della crisi: la post-crisi

La questione del rapporto con il Novecento.

Nico Orengo, Vivian Lamarque, Patrizia Valduga

LA NUOVA POESIA MODERNISTA

La «generazione invisibile» degli anni Novanta:

Tiziano Salari, Salvatore Toma, Giuseppe Pedota, Roberto Farina, Alfredo Rienzi, Francesco De Girolamo, Massimo Giannotta, Plinio Perilli, Mauro Ferrari, Fabrizio Dall’Aglio, Roberto Pazzi, Francesco Giuntini, Fornaretto Vieri, Paolo Lezziero, Luigi Manzi, Giovanni Occhipinti, Sandro Montalto, Salvatore Martino, Luigi Manzi, Aldo Onorati, Guido Oldani, Marco Onofrio, Raffaello Utzeri,

Umberto Simone, Leopoldo Attolico, Adam Vaccaro, Ennio Abate, Mario Specchio, Luciano Troisio, Dante Maffìa, Roberto Bertoldo

Il versante femminile della «generazione invisibile»:

Alda Merini, Patrizia Valduga, Giovanna Sicari, Giorgia Stecher, Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi, Chiara Moimas, Lidia Are Caverni, Maria Rita Bozzetti Laura Canciani, Rosita Copioli, Gabriella Sica, Giuseppina Amodei, Lidia Gargiulo, Maria Teresa Ciammaruconi, Maria Consolo, Maria Benedetta Cerro, Gabriela Fantato, Anna Ventura, Daniela Marcheschi, Cristina Alziati, Manuela Bellodi, Daniela Raimondi, Serena Focaccia, Elena Ribet, Serena Maffìa, Fortuna Della Porta, Giusi Maria Reale

L’ESAURIMENTO DEL POST-SIMBOLISMO

Dalla de-fondamentalizzazione alla rifondazione del discorso poetico:

Dante Maffìa, Roberto Bertoldo

Dopo il Moderno. Verso la «generazione degli anni Dieci»:

Maria Pia Quintavalla, Manuel Cohen, Francesco Scaramozzino, Adele Desideri, Maria Grazia Cabras, Marco Gatto, Luca Benassi, Elena Ribet, Fortuna Della Porta, Aldo Nove, Davide Puccini, Mario Fresa, Giselda Pontesilli, Marco Munaro, Luciano Cecchinel, Davide Puccini, Sebastiano Gatto, Pasquale Di Palmo, Sebastiano Aglieco, Letizia Leone, Francesca Tuscano, Gianni Iasimone,

Paolo Carlucci, Raffaele Piazza, Daniele Santoro, Marco Onofrio, Raffaello Utzeri, Fabio Mastropietro, Valentino Campo, Serena Maffìa, Vincenzo Mascolo, Maurizio Soldini, Enomis, Faraòn Meteosès, Giusi Maria Reale

Note

Indice dei nomi

7 comments

  1. Laura Canciani ha detto:

    …mi sembra che il perno centrale attorno al quale ruota tutta la riflessione su 65 anni di storia della poesia italiana sia indicato nel titolo del primo capitolo: «”La «rivoluzione inconsapevole” quale paradigma implicito della poesia italiana del Novecento»; da questo punto, da questo nodo, ne discendono tutte le conseguenze negative e quelle (poche) positive (se vogliamo), e cioè: il problema della «riforma moderata» introdotta da Sereni e, in minor misura da Giovanni Giudici, l’abbassamento del pentagramma linguistico al livello di un monologismo “parlato” che mimava il «parlato» senza mai poterlo raggiungere; in secondo luogo, il problema dello «sperimentalismo professionale», vero e proprio concetto acritico adottato da “maestri” e innumerevoli epigoni.
    Il vero problema posto da Giorgio Linguaglossa credo sia questo: la mancata «riforma» del linguaggio poetico italiano e l’introduzione di «poetiche normative» come quella della Linea lombarda di Anceschi ed epigoni e quella del cd. mitomodernismo. È questo il vero scoglio sul quale si infrangono gli sforzi di chi tenta una terza linea, quella che Linguaglossa chiama «modernismo»: De Palchi, Flaiano, Fortini, A.M. Ripellino, Helle Busacca, Calogero, Dante Maffìa, M R Madonna, Maria Marchesi, Giuseppe Pedota, Giorgia Stecher… ed altri.
    La riflessione di Linguaglossa ha il merito di mettere a fuoco, analizzare ed incidere, come un chirugo, sul tessuto del conformismo critico (e poetico) che ha avviluppato gli ultimi tre decenni di vita poetica italiana, anche per via di alcuni “silenzi” e alcune “censure” imposte dall’alto, cioè dagli uffici stampa dei due maggiori editori a diffusione nazionale (Mondadori e Einaudi). Il resto è storia dei nostri giorni. La storia di un conformismo che percorre tutto il Novecento e, in particolare, il secondo Novecento poetico e critico.

    Laura Canciani

  2. giorgio linguaglossa ha detto:

    …insomma, quello che rimane da fare è il tragitto più lungo e tortuoso: appunto, uscire dal Novecento. Infrangere ciò che resta della riforma gradualistica del traliccio stilistico e linguistico sereniano ripristinando la linea centrale del modernismo europeo. È proprio questo il problema della poesia contemporanea, ritengo. Diciamo che il compito che la poesia contemporanea ha di fronte è: l’attraversamento del deserto di ghiaccio del secolo sperimentale per approdare ad una sorta di poesia sostanzialmente pre-sperimentale (una sorta di terra di nessuno?), appartenente alla stagione manifatturiera dei «moderni» identificabile, grosso modo, con opere come il Montale di dopo “La bufera” (1951); in verità, con Satura (1971) Montale opterà per lo scetticismo alto-borghese e uno stile narrativo intellettuale alto-borghese; ma se consideriamo un grande poeta di stampo modernista come la trilogia di Ripellino degli anni Settanta: da “Non un giorno ma adesso” (1960), all’ultima, “Autunnale barocco” (1978), passando per le tre raccolte intermedie apparse con Einaudi “Notizie dal diluvio” (1969), “Sinfonietta” (1972) e “Lo splendido violino verde” (1976), dovremo ammettere che la linea centrale del secondo Novecento è costituita dai poeti modernisti. Come negare che opere come “Il conte di Kevenhüller” (1985) di Giorgio Caproni, “Paesaggio con serpente” (1988) e “Composita solvantur” (1994) di Franco Fortini hanno una matrice modernistica? La migliore produzione della poesia di Alda Merini la possiamo situare a metà degli anni Cinquanta con una lunga interruzione fino alla metà degli anni Settanta: “La presenza di Orfeo” è del 1953, la seconda raccolta di versi, intitolata “Paura di Dio” con le poesie che vanno dal 1947 al 1953, esce nel 1955 alla quale fa seguito “Nozze romane”. Nel 1976 il suo capolavoro: “La Terra Santa” ragionamento analogo dovremo fare per la poesia di una Amelia Rosselli “Variazioni belliche” (1964) fino a “La libellula” (1985). Un tirocinio ascetico la cui spia è costituita da uno stile intellettuale-personale con predilezione per gli attanti astratti (la Rosselli) e una predilezione per gli attanti concreti (la Merini), spinge questa poesia verso una spiaggia limitrofa e liminare a quella del tardo Novecento sempre più stretta dentro la forbice: sperimentalismo-orfismo. Direi che il punto di forza della linea modernistica sta appunto in quella sua estraneità alla forbice imposta dalla ideologia dominante. La forma della «rappresentazione» della poesia del Novecento, il suo peculiare tratto stilistico, il tragitto eccentrico, a forma di serpente che si morde la coda, è un rispecchiamento del legame «desiderante» della relazione che identifica l’oggetto da conoscere e lo definisce in oggetto posseduto. Gli atti «desideranti» (intenzionali) del soggetto esperiente definiscono l’oggetto in quanto conosciuto e, quindi, posseduto. Di fronte al suo «oggetto» questa poesia sta in relazione di «desiderio» e di «possesso», oscilla tra desiderio e possesso; è un sapere dominato dalla nostalgia e dalla rivendicazione per il mondo un tempo posseduto e riconosciuto. È perfino ovvio asserire che non soltanto il riconoscibile entra nella poesia del tardo Novecento, con il suo statuto e il suo vestito linguistico, mentre l’irriconoscibile è ancora di là da venire, resta irriconosciuto, irrisolto e, quindi, non pronunziato linguisticamente. La formalizzazione linguistica non può che procedere attraverso il «conosciuto», il «noto». Questo complesso procedere rivela l’aspetto stilistico (intimamente antinomico) del percorso che ci porta dalla lirica al discorso poetico attestato tra il desiderio e la rivendicazione di un mondo «altro», tra la vocazione e la provocazione, tra il lato riflessivo e il lato cognitivo dell’intenzione poetica. Di fatto, non si dà intenzione poetica senza una macchina desiderante dell’oggetto (con il suo statuto linguistico e stilistico). La poesia che si fa strada consolidandosi appresso alla propria ossatura linguistica allude al tragitto percorso dalla contemplazione alla rivendicazione. Ma così facendo resta pur sempre impigliata dentro l’ossatura di un certo paradigma novecentesco: non quello maggioritario, intendo, eletto a «canone» (attraverso le primarie e le secondarie delle istituzioni stilistiche egemoni), ma quello laterale, e ben più importante, che attraversa la lezione di Alfredo De Palchi, Ennio Flaiano, Franco Fortini passando per Angelo Maria Ripellino, fino a giungere ai giorni nostri. poeti del tardo Novecento come Helle Busacca, Giuseppe Pedota, Roberto Bertoldo, Dante Maffìa, Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi, Laura Canciani si rendono conto che è necessario rompere le righe del politically correct, che occorre deragliare da un certo impiego (ormai consunto) di un certo «quotidiano» e di un certo linguaggio «mitopoietico» divenuto ancillare e tautologico. Nella loro poesia poesia non vi sono passaggi tra i diversi gradi di esperienza che l’oggetto rivela, non v’è un continuum (linguistico o topologico), si rinviene una retorizzazione di stampo modernista (né in posizione di punta né in posizione di retroguardia), una ritmica ed intermittente lontananza dall’oggetto da formalizzare nell’impianto stilistico. L’io percipiente osserva e non reclama più l’oggetto del suo desiderio. La riproposizione della centralità dei soggetti percipienti (rappresentati nell’atto del vedere, afferrare, comprendere il mondo (gli oggetti, l’«io», gli eventi, la Storia), vorrebbe una via di uscita dalla frammentazione dell’oggetto ma anche dalla dissoluzione del soggetto: due discontinuità che si sommano, anzi, si sovrappongono. E si elidono. La continuità della percezione si converte in interferenza, intermittenza, simbiosi anche stilistica. Poesia che tenta la costruzione di un argine al problema del «vedere», anzi, della «cecità» propria del minimalismo, tutto incentrato sulla riproposizione della centralità di un «io ingenuo» e acritico che economizza nell’atto del vedere e travasa il problema nell’atto del commentario agli eventi della cronaca.

  3. Rocco Salerno ha detto:

    … posto che il Novecento finisce sulle sabbie mobili dell’epoca dei linguaggi mediatici e della pubblicità, di internet, cioè nell’epoca della «stagnazione stilistica»,vorrei chiedere a Giorgio Linguaglossa di spiegare meglio e in dettaglio le caratteristiche essenziali degli «stili da stagnazione» (di cui lui parla), la cornice culturale entro la quale essi si iscrivono, e la loro potenzialità, se ne hanno, o forse la loro peculiarità risiede appunto nella mancanza di “Potenza”, di “dynamis”?

    Rocco Salerno

  4. Rodolfo Settimi ha detto:

    il concetto centrale attorno al quale Giorgio Linguaglossa muuove le sue riflessioni per le 400 pagine del libro è molto semplice:
    la «riforma moderata» del linguaggio poetico del secondo Novecento inaugurata da Vittorio Sereni era la via giusta? Perché è stata scelta quella via?
    E quella parallela dello sperimentalismo della neoavanguardia prima e della post-avanguardia poi? Non c’era una terza via?
    Come si vede domande semplici, basilari, elementari… lo strano è che nessuno dei critici più accreditati (né dei poeti) abbia mai pensato di impostare una indagine siffatta. Perché? Perché bisognava nascondere la polvere sotto il tappeto? Per ipocrisia? Per conformismo? Perché tanto non interessa a nessuno indagare quella via?
    Quante domande… Quante mancate risposte…

    Rodolfo Settimi

  5. Adam Vaccaro ha detto:

    Grazie degli interventi, che spero possano sollecitare interesse e approfondimenti anche da parte di lettori non addetti.
    Mi auguro che qualcuno di essi sia stato coinvolto.
    Adam Vaccaro

  6. Francesco Dall'Aglio ha detto:

    Caro Giorgio,

    ti ringrazio moltissimo dell’invio di quest’ultimo tuo studio; tanto più che nella fretta di averlo, mi ero sbagliato e su Ibs avevo ordinato una copia del tuo precedente che invece avevo. Ne ho letto già gran parte e credo che partendo dall’assunto che ti eri posto hai fatto davvero un grande lavoro, ricco e coerente. Non è certo facile districarsi criticamente in tanta produzione, per la quale inoltre esiste ben poca letteratura critica. Apprezzo e ammiro il lavoro che hai fatto, indipendentemente dalla gratitudine che provo perché coninui a interessarti anche alle mie poesie. Nel tuo cortese biglietto allegato al volume, mi chiedi però una cosa che non posso proprio fare. Non perché non lo voglia, probabilmente non sarei neppure in grado di farlo, almeno al di là delle consuetudini in uso in casi di questo tipo. Voglio dire che non posso darti un mio vero contributo critico su questo tuo studio. Non lo posso fare, perché io per la verità non credo a nessun tipo di generalizzazione e di classificazione, specie nel campo letterario. Non credo che esistano categorie nelle quali si possono fare rientrare i poeti o comunque gli scrittori, neppure quelle che essi stessi professano fin ufficialmente. A mio modo di vedere, ill Novecento è stato pieno di scuole e correnti che hanno completamente distorto il senso della scrittura, spostando l’attenzione dall’opera al fatto culturale e infine sociale. In generale, non credo alla storia letteraria se non da un punto di vista strettamente storico-culturale di macroavvenimenti, persino le denominazioni secolari mi hanno sempre lasciato perplesso e scontento. Chi scrive, ha sempre a che fare con le denominazioni e impara che occorre sapersi svincolare da esse, relativizzarle fino all’insussistenza. Quanto agli scrittori, più sono grandi e più si fatica a farli rientrare in categorie storico-critiche; paradossalmente, le storie letterarie funzionano soprattutto, almeno per quanto riguarda le periodizzazioni, con i “minori”. Certo, il tuo scopo non era questo, il tuo è un esempio acuto di quella che un tempo si definiva ‘critica militante’, e capisco d’altra parte che un critico deve sapersi orientare attraverso l’immane massa di produzione che la sua epoca gli offre, deve saper assumere e scartare, e lo deve fare in base a dei parametri che vadano oltre a quello che può essere il suo gusto personale. Resto però dell’idea che l’insufficienza o l’irrilevanza di talune espressioni artistiche non dipenda mai dalle scelte di poetica operate dagli autori, ma dall’insufficienza o irrilevanza degli autori stessi. Personalmente, ho un’idea della poesia che si può ricavare da come la scrivo; forse un giorno ci rifletterò e ne scriverò. Comunque sia, sarò sempre ben lieto di leggere testi di qualità anche distanti mille miglia da me, o addirittura all’opposto. C’è sempre da imparare dalle esperienze altrui quando sono degne, anche quando non le si condivida per nulla. Per farti un esempio, non trovo che il cosiddetto ‘minimalismo’ sia un nemico da battere, non più di altre poetiche magari oggi meno influenti (se pure davvero ci sia oggi, e ho i miei seri dubbi, una poetica davvero influente); il discrimine è sempre la qualità, e l’alta qualità dei testi, non altro, può fare amare contemporaneamente espressioni poetiche così distinte quali, per fsre due esempi passati ma non troppo, quella di Montale e quella di Penna. Credo che quanto a noi pare lontano e persino opposto spesso non sia altro che un sintomo della normale miopia storica con cui necessariamente i contemporanei vedono sempre la loro contemporaneità.
    D’altra parte, non penso che nei riguardi della poesia italiana dei nostri giorni sia in atto una congiura da parte di alcuni a danno di altri, se non nel senso che è comune ad ogni manifestazione sociale, e cioè che i pochi tendono sempre a difendersi dai molti per potersi distinguere; e la storia insegna anche che quando taluni di questi ‘molti’ arrivano al posto dei precedenti ‘pochi’, o comunque li raggiungono, le cose non cambiano. Certo, ci può essere arroganza, a volte, da parte di chi ha raggiunto una maggiore visibilità o notorietà; ma vedo arroganza anche in coloro che la rimproverano, fatto magari più scusabile ma comunque non meno indicativo. E poi il degrado culturale-sociale del nostro paese è talmente evidente che sarebbe davvero impossibile pensare ad oasi che non ne siano intaccate. Lo sappiamo, molta della poesia attuale più nota è terrificante da un punto di vista qualitativo. Ma davvero questo accade per i ‘centri di potere’ che sarebbero le case editrici? Francamente, non credo proprio. E d’altra parte per me è ben più penoso constatare continuamente il decadimento del gusto che fa sì che neppure gli addetti del settore paiono rendersene conto, come se nessuno sapesse più leggere la poesia.
    D’altro canto, che l’ignavia della nostra società intellettuale faccia sì che i nomi che si ripetono del tutto acriticamente siano sempre più o meno quelli è il normale portato da un lato del pigro sciocchezzaio culturale nel quale viviamo, dall’altro – ma le due cose sono connesse – dell’intercambiabilità dei prodotti, in quanto il livello delle opere è generalmente così basso che all’una si potrebbe sostituire l’altra senza che il discorso cambi. Questo avviene comunemente nel mondo dell’arte figurativa, che da tempo, almeno a certi livelli ‘alti’ (da un punto di vista di mercato, intendo), coltiva l’assoluta insignificanza espressiva dell’opera d’arte in sé, con la complicità degli artisti stessi che scambiano sempre di più la realizzazione delle opere con il loro personale successo pubblico. È l’estetica del denaro e del successo. Il successo ha per così dire secolarizzato quello che era la gloria per gli antichi. Ma il successo determina anche l’impazienza, perché tutto nel mondo del successo è soggetto a una scadenza più o meno prossima. Fra l’artista e il successo si frappone l’opera, che non è più ciò che lo determina ma, al contrario, l’ostacolo da redimere per poterlo ottenere. E il successo, diversamente dalla gloria, è il risultato di un adattamento: occorre conformarsi, non tanto ai dettami di una qualsiasi estetica, quanto ai rituali sociali che ci rendono organici a quello che fingiamo di combattere. Nella nostra epoca, il conformismo è per così dire ‘corporativo’. Nel campo delle arti, anche il declamato anticonformismo lo è. In fondo, credo che il maggior torto che si sia potuto fare a Rimbaud sia stato il suo successo (da qui del resto tutta una serie di maledettismi d’accatto o di parata che dura tuttora e che continua a offuscare l’immagine artistica persino dei veri ‘maledetti’). Io penso che ci si debba sottrarre a tutto ciò: rivendicare la propria inattualità necessariamente fallimentare, anche laddove – non si sa mai – possa capitare qualcosa che apparentemente muti in ‘successo’, o meglio in notorietà del tutto occasionale, il nostro fallimento.
    Come è ben noto, intorno all’insignificanza dell’arte vive e prospera tutto un mondo di lenoni che finalmente hanno scoperto il piacere di essere loro stessi – e non le opere d’arte che mai avrebbero saputo fare e neppure ‘leggere’ – al centro del discorso estetico. La poesia, di fronte al mercato dell’arte, è un mondo miserabile e questo in parte la salva. Ma solo in parte, perché la distorsione dell’approccio estetico diventa, alla fine, canone, intero sistema di guardare. Qui non si tratta di ‘minimalismo’ o altro, ma di vera e propria, profonda malattia dello sguardo estetico. Non so poi se, come dice Luigi Manzi, il vero problema oggi per la poesia è l’etica. Da un certo punto di vista credo lo sia sempre stato, perché non esiste vera bellezza (mi si perdoni il termine) senza autenticità. Ma temo che parlare di ‘etica’ in questo senso possa anche un po’ fuorviare, perché non basta l’autenticità, non basta l’onestà per scrivere poesie degne di questo nome.
    Mi dirai: ma cosa c’entra il mio saggio con tutto questo? Da un lato non c’entra nulla, infatti, ed è soltanto il mio modo di spiegare la mia impossibilità personale di entrare davvero nel merito di uno studio come il tuo; dall’altro, è da lì che è partita o ripartita questa mia riflessione.
    Comunque, tornerò a ragionarci con calma, e magari sarò ben lieto se saprò affrontare gli argomenti che tratti più nel particolare.
    Nel frattempo grazie ancora e un caro saluto,

    Fabrizio Dall’Aglio

  7. Gino Rago ha detto:

    Caro Giorgio,
    non ho ricevuto copia del tuo massiccio lavoro critico sulle
    condizioni di salute della poesia italiana, almeno fino al
    2010. Ma conoscendo il tuo valore come critico letterario
    militante non nutro dubbi sulla qualità delle tue meditazioni.
    Tuttavia, non comprendo le ragioni della mia esclusione,
    ancorché, sia nel caso di Fili di ragno (1999), sia nel caso
    di L’arte del commiato (2005), avevi dedicato 2 interventi critici favorevoli alla mia appartata ricerca poetica.

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