Le stanze di Tiziana Antonilli

Pubblicato il 3 marzo 2020 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Quattro quarti con Resto
Tiziana Antonilli, Le stanze interiori, Progetto cultura, 2019

Adam Vaccaro

Questo libro di Tiziana Antonilli, attraverso le sue quattro sezioni, sembra disegnare un percorso da fermo o circolare. Che parte dal mondo intrasoggettivo e dall’oscurità della solitudine, e somma approcci, aperture e colori diversi, interpolando, osservando, dando nomi all’Altro: persone, orizzonti, territori. Se il bilancio non risulta esaltante, e il moto tende a ripiegare al punto di partenza, la cesura non è a somma zero o lunare. C’è un resto, di un disegno più spiraliforme che di cerchio. Perché le domande, o la domanda di fondo, riguardano la mancanza di senso, che non può placarsi con una passeggiata chiusa che narra da casa a casa.
“Celebra lo schermo/ la breve vita di un pomeriggio:/ corto d’autore con lama rossa finale./ Per dare un filo al narrare/ e ai lividi senso/ si punta alla cima più alta/ ma si ingolfa presto la notte/ la penultima dell’inverno/ e bitume ricopre in fretta/ i titoli di coda.! (p.50). È una poesia che in-forma il nucleo-cuore della ricerca, delusa ma non arresa, dell’Autrice: “Non è cammino per piedi scalzi/ o con scarpe di bassa lega”, davanti al “pianto di chi vive a valle/…/ mentre l’inverno stringe allo stesso modo/ becero i polmoni! (p.51). Il percorso procede per immagini accese, non tanto su frammenti, quanto su ri-evocati squarci di vita. La tecnica è quella di uno spot mobile che illumina scorci, tranci, riportati dal Soggetto Scrivente nella propria stanza, che in tal modo assume un senso sia interiore che materico, di casa del Soggetto Storicoreale.
Diventa insomma, questo, il luogo adiacente che congiunge un piano e l’altro della molteplicità identitaria. Diventa esercizio di resistenza (senso sottolineato anche nella prefazione di G. Linguaglossa) e di ripresa di vita, per cui siamo ben oltre un senso intimistico del titolo. La stanza non è chiusa ma aperta, per non farne loculo, davanti al quale non ci resta che piangere. Il Resto, seppure deludente, è fonte di arricchimento di pareti illusoriamente sicure. Ché gli apporti dall’esterno all’interno non sono solo di arredo, per rendere meno triste e spoglia la dimora intima, ma testimoni e costruttori per tutti i livelli dell’identità soggettiva di una visione per la quale Senso e Altro sono due nomi della stessa Cosa, l’uno specchio dell’altro. Talché non può essere perseguito il bisogno vitale del primo, senza abbracciare, dibattere e combattere la terribile, violenta, affascinante complessità del secondo. Sostanza e materia, oggi, di realtà metropolitana, globalizzazione ecc..
Moto, Altro e (ricerca di) Senso sono i pilastri su cui si regge la struttura del libro, tutti nomi di apertura e interminabilità fenomenologica, che non trae alimento da un Essere – dio o altra ideologica fissità – ma da esseri, non solo antropologici, costituenti la poiesi della totalità: “com’è lungo il pomeriggio/ quanta festa ha in serbo/…/ Si rivoltano i vermi/ la luce avanza”, mentre “rantolano l’ultimo freddo gli stracci/ agli angoli delle strade” (p.24); “ombretto rosso sole/ inanellava il blu/ inarreso dello sguardo/…/ allora sembra di nuovo possibile/ che uno schiocco di dita/ ci inabissi all’istante”. Il verso suggerisce una torsione: nell’istante. Ma quale istante? Un infimo insignificante frammento, o quello che per un attimo ci inabissa nel nulla?
Il che comporta un’altra domanda: quale nulla? Del nichilistico pensiero unico dominante l’orizzonte neoliberista della postmodernità, o quel punto zero della oscillazione esistenziale – esplosione orgasmatica, biologica e mentale – da cui può ripartire la rinascita e la “Pienezza dell’esserci” (p. 34)? Punto su cui (ricordo Seamus Heaney), i versi offrono una ulteriore chiosa alla complessità relazionale tra identità singole/collettive.
Né chiusure psicotiche, né aperture inermi. Né casa chiusa, né fiducia acritica. Il brillìo e il dono di ogni tipo di relazione, non deve annullare la ricchezza delle duplicità, cadendo nell’illusione fusionale – di coppia o collettiva. La fonte vitale è molteplice, la sola “ricca d’acqua” che può “irrigare la vigna” (p.29) comune.
Il senso è dunque di percorrere l’inverno, per rinnovare dalla sua “pancia ruvida e nera…gli anni sottratti” (p.26) alle rinascite; e se il bilancio è in rosso e “Briciole hai ricevuto” (p.81), “nel mondo sconquassato/ …/ nella notte del senso” (p.87), se anche “fluttuavi/ da una malinconia all’altra” (p.92), perché “da noi l’alba è prematura” (p.51) e “l’estate è votata al fallimento” (p.95), il compito e il senso non arreso dell’amore antropologico, comanda: “va’ dissoda semina/ non altro t’affolli le ore” (p.41). È il moto vitale dalla notte al giorno, dall’inverno a possibili stagioni luminose della memoria, sempre presenti e sempre passate, in cui “la luce inventava il mare…Durata l’attimo che ci conquistò la meta/ la speranza” (p.43); tra “i germogli notturni…nel ciclo dei gesti, /quelli che aprono e restano/ lasciando dischiuso/ dei finiti il cerchio” (p.44).
Chiudo questa lettura con i bellissimi versi di p. 63: “certi che il Vuoto si sarebbe cibato di noi/ sgorga/ dal lago immobile che si piega sui larici/ duplicandoli in nascite infinite” (p.63). Versi che ci parlano dello spaziotempo furente, liquido e statico in cui siamo, dicono di quel noi e di quel Resto che rimane, che ci chiama e non può essere ridotto a zero: è solo da lì che può essere continuata la rincorsa vitale del Senso.
Febbraio 2020

Adam Vaccaro

2 comments

  1. Adam Vaccaro ha detto:

    Ho ricevuto per email questa risposta da Tiziana Antonilli, che credo sia ricca di stimoli per tutti i lettori:

    Caro Adam, ho letto con molta attenzione le tue parole relative al mio libro, hai ragione, la ricerca del senso è fondamentale, nel testo a pag. 46 c’è la mia risposta, ‘lesinare è decidere di raffreddarsi’, a mio parere la vita non va lesinata, ma spesa per dare al mondo quello che la nostra natura e la nostra vita hanno il dovere di lasciare. Questo testo ,’ Dicono gli amati’, è per me programmatico, concepisco la vita come missione laica, votata all’impegno, lesinare vuol dire raffreddarsi, quindi morire dentro. Tutte le tue osservazioni sono davvero lusinghiere, ti ringrazio,condivido l’idea delle stanze aperte, della vitalità, nonostante la complessità, delle relazioni e, ovviamente, l’idea di resistenza, centrale nella mia ricerca poetica.

    Grazie Adam, posso solo aggiungere che per natura sono ottimista,credo fermamente nel potere delle parole e delle relazioni, il senso della vita è sotto i nostri occhi, ma non sempre viene avvistato: realizzare la nostra unicità e condividerla con gli altri affinché anche gli altri realizzino la propria, fondando ogni relazione sul dialogo e su un piano di profondo rispetto. Questo è quello che mi sento di aggiungere, oltre, come ho già detto, al valore ‘politico’ di ogni espressione artistica che, per sua natura ,è sempre contro il potere. Pensi che basti?

    Ciao, Tiziana

  2. Adam Vaccaro ha detto:

    Cara Tiziana,

    mi compiaccio delle tue conferme relative alla mia sintetica nota di lettura. Nell’ambito della mia metodologia denominata Adiacenza, mi sono limitato a quella che per me è l’operazione preliminare, di evidenziare cioè quelle che chiamo le forze della forma. Nel senso che non basta dire che la poesia è forma, occorre in primo luogo evidenziare ciò che determina la struttura orchestrale, prima di procedere alle analisi di come sono determinati e agiscono in essa i singoli strumenti/lingue: assonanze, ritmi, immagini ecc.. In ogni caso, questa lettura ha consentito un primo passo di reciproca conoscenza, e questa è la prima funzione di ogni scrittura.

    La tua risposta evidenzia poi l’implicito della mia recensione, e non può che farmi piacere. Chi conosce i miei scritti critici, sa bene quanto il tuo richiamo del “valore politico di ogni espressioine artistica” sia stato da me sistematicamente ribadito nei decenni. Il che implica ovviamente cercare forme espressive che accendano le parole fuori dai cicalecci verbosi, ininfluenti e supponenti rispetto al drammatico (basta solo il caso in atto del Coronavirus) andamento del contesto socioeconomico. Se non si prova (almeno!) a far interagire testo e contesto, ogni funzione, politica e antropologica, rimane scommessa persa.

    Grazie quindi dell’utile confronto e delle condivisioni

    Adam

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