Libri del Mese

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"Letteratura e pubblicità "

di Francesco Ghelli

Carocci Editore, Roma 2005 – pp 127 – E 9,00


Il libro del mese -Ottobre-Novembre 2005

Fabiano Alborghetti

L'incontro con la pubblicità (o reclame secondo il termine in voga ai tempi del carosello) è giornaliero, meno accade con la letteratura ma entrambe - secondo Francesco Ghelli che svolge attività didattica e di ricerca presso l'Università di Bologna nonché studioso di letterature comparate - nascono dalla medesima radice anche se appartengono a due "discipline" e mondi distinti, lontani. Mentre la letteratura è scritta per durare, la pubblicità ha un ciclo di vita molto breve: la letteratura (quale che sia il genere - poesia, narrativa etc...) offre testi, messaggi coerenti e organizzati, nei quali è possibile riconoscere l'intenzione dell'autore. Inoltre, leggere è un fatto privato, volontario, un'azione che si compie "in dialogo" tra il libro/autore ed il fruitore/lettore grazie ad un isolamento dalla realtà circostante.
La pubblicità ci coglie invece in ogni momento della giornata, spesso contro la nostra volontà, vive della ripetizione che a livello subliminale trova radice tra i sottofondi compositi ed informi con una forma di fruizione distratta eppure penetrante.
I testi di letteratura sono riconoscibili per lo stile (di un poeta, di uno scrittore, di un saggista) ma è quasi impossibile riconoscere una precisa firma all'interno di un messaggio pubblicitario che spesso è opera di un team di creativi (o copywriters) mentre un libro, un testo letterario è (tranne le raccolte collettanee, antologiche o meno) opera di un solo autore. Cosa accomuna allora letteratura e pubblicità?
Nonostante i molti distinguo che ogni lettore potrà e vorrà trovare, è indubbio che le due discipline hanno dato vita, negli ultimi anni, ad un serrato dialogo. Il libro di Francesco Ghelli prende in esame gli ultimi duecento anni con la più ampia mappa di implicazioni possibili a cavallo di più letterature (francese, inglese, italiana, americana) e si serve di più contributi: retorica, teoria letteraria, storia della letteratura, storia dell'arte, studi storici, culturali e semiotici sulla pubblicità.
Sottolinea anche l'Autore che effettivamente è scarsa la bibliografia specifica sul tema letteratura e pubblicità. Note e riferimenti si trovano su testi specifici di pubblicità (consiglierei anche Confessioni di un Pubblicitario di David Ogilvy o Il Mestiere del Copywriter di Alastair Crompton, senza dimenticare i testi offerti dai pubblicitari Lorenzo Marini e Jacques Seguela, quest'ultimo noto soprattutto per la campagna elettorale che fece vincere a Chirac le elezioni presidenziali).
Il libro di Ghelli condensa agilmente una lunga serie di studi, sviluppandosi in tre capitoli che cito riprendendo dall'introduzione dell'autore stesso perfettamente analitica. Nel primo capitolo viene seguito il dibattito teorico su letteratura e pubblicità (analogie fra i due linguaggi dal punto di vista della retorica e teoria letteraria; la controversia secolare sul presunto statuto "artistico" della pubblicità; l'accostamento della pubblicità al sacro: riflessioni e rappresentazioni)
Nel secondo capitolo sono analizzati gli interscambi fra i due fenomeni (influssi della letteratura sulla pubblicità come linguaggio da imitare, come deposito di valori estetici utili alla nobilitazione, e vendita, dei prodotti); si ricordano gli scrittori prestati alla pubblicità, con particolare attenzione al caso italiano ed alla tradizione di mecenatismo aziendale.
Nel terzo capitolo infine vengono esaminate le rappresentazioni della pubblicità nell'immaginario, dal Settecento ai giorni nostri. L'intento (riuscito) dell'Autore è quello di trattare la letteratura come testimonianza significativa delle fasi di sviluppo dell'intreccio pubblicità/civiltà dei consumi.
Chiude il testo una attenta sezione bibliografica che consiglio a chi volesse approfondire l'argomento anche se la maggior parte dei riferimenti citati è di ambito anglosassone.
Oltre che essere un libro particolarmente scorrevole a fine lettura persisterà lo sconcerto incredulo della potenza che ambiguamente la pubblicità esercita sia sull'immaginario collettivo (plasmato per mode e bisogni) che sulla letteratura che lentamente e inesorabilmente arriva a riconoscere nell'immediatezza comunicativa della pubblicità un più sicuro metodo penetrativo (vedi le Headlines - la prima linea, il "telegramma" che determina se chi legge continuerà la lettura del testo pubblicitario). Accade cosi che non sia solo la pubblicità ad attingere dalla letteratura ma che la letteratura attinga dalla pubblicità per rendersi più riconoscibile e vendibile, con la coscienza che sul lessico (non solo familiare ma anche dotto) oggi esercita più influenza che in passato l'obiettivo di una più efficace e rapida fruizione. Il fascino dell'oscuro non attrae più, anche nella poesia alta: anche questo è un effetto interattivo del linguaggio pubblicitario?
Da vari sondaggi è stato ormai assodato che i lettori che si fermano (o si limitano) a leggere le Headlines sono cinque volte più numerosi di quanto leggono la Body Story (o testo del messaggio pubblicitario). Siamo abituati a recepire un concetto da una stringa di parole, omettendo di leggere quanto segue perché presumiamo di averlo indovinato (e spesso è vero perché a questo punta la pubblicità: calamitare l'attenzione velocemente e convincendo). Proprio questa velocità di lettura (o non lettura) è alla base della caduta d'interesse del più vasto pubblico nei confronti della letteratura, troppo esosa e onerosa per tempi di attenzione e fruizione. Ha senso e si può immaginare un altro equilibrio tra letteratura o pubblicità? O ciò che conta è solo il peso, il valore, di ciò che si fruisce?

Fabiano Alborghetti


 

 

 

 

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