Libri del Mese

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Le Case da Lontano

Laboratorio di lettura e scrittura creativa presso la Casa di Reclusione di Milano Opera a cura di Silvana Ceruti

Il libro del mese - Gennaio-Febbraio 2005 - Luigi Cannillo

Dal carcere le case sono lontane per diversi aspetti: le case come dimora innanzitutto, la propria dimora, dalla quale si è separati; e le dimore altrui, il contatto con la società, con la vita comune. Rovesciando la prospettiva, anche il carcere diventa per noi una casa vista da lontano, sconosciuta. Tra le case, anche tra una casa e l’altra, una comunicazione difficile, ma non impossibile.

Questa antologia, che raccoglie testi in poesia e prosa dei detenuti  che hanno frequentato il laboratorio di lettura e scrittura creativa organizzato da Silvana Ceruti presso la Casa di Reclusione di Milano Opera, è un passo di avvicinamento tra carcere e case e viceversa. L’esperienza dura ormai da più di dieci anni, e, con quella attuale, ha prodotto tre raccolte. Il supporto economico a quest’ultima consentirà una totale autonomia nella produzione di ulteriori raccolte e iniziative di solidarietà organizzate dai detenuti.

Il titolo riprende quello di una poesia di uno dei corsisti, Salvatore Barone: “Da lontano le case mirate/  scoprivano altri cortili/ ripensandone i suoni corali/ la veste bianca/ in fretta sulle scale/ L’odore delle fragole rimaste/ ti riconosco/ tra le dimesse scuse/ dei ricordi.” Come osserva la curatrice stessa nella presentazione, “E’ difficile immaginare un confine tracciato con maggiore evidenza di quello che separa un carcere dal mondo esterno, ma, ancor più che fisica, questa linea di confine è culturale: una frontiera eretta dalla disattenzione e dall’ostilità.”

A oltrepassare questo confine è la Parola, la Scrittura, negli incontri settimanali nei quali la creatività e la coscienza vengono sollecitate attraverso libere associazioni verbali ed  esercizi di strutturazione di diversi tipi di testo, ma anche attraverso il confronto con i versi di poeti “esterni”, a volte presenti ai laboratori, e tra i testi dei corsisti stessi. Come sottolinea Maurizio Cucchi nell’ introduzione, si tratta  “un solo e organico lavoro collettivo, un lavoro condiviso da più persone, ognuna delle quali si immedesima nella capacità di percezione dell’altro e degli altri per ottenere per ottenere una visione più aperta e viva della realtà nella sua molteplicità cangiante.”

L’esito è sorprendente, non solo per la tensione e l’intensità che anima i testi, ma per la  qualità della scrittura, se si tiene conto del fatto che la maggior parte dei corsisti non ha mai scritto in precedenza poesie o prosa. I testi raccolti, singolarmente intesi, offrono  immagini intense, atmosfere fantastiche, forti capacità introspettive. Il racconto e il punto di vista sono a volte affidati alla voce degli oggetti più comuni (un bicchiere o un bottone, nelle prose di Cafora), e comunque non mancano argomentazioni dell’autore sulla condizione detentiva che testimoniano una presa di posizione consapevole e costruttiva . Ma a colpire anche chi ha potuto partecipare dall’esterno agli incontri di laboratorio è proprio il clima a cui si riferisce Cucchi, il senso di un’opera comune e di risultati condivisi, senza i protagonismi dei quali abbonda il mondo della letteratura.

Nei testi poetici si ritrovano tematiche e atmosfere che sottolineano il vissuto e la condizione di detenzione nei quali sono state percepite: lo spazio come limite e lontananza, e un tempo sospeso e indefinito, forse sprecato. Tra le diverse forme di perdita e separazione fungono da richiamo la nostalgia, il ritorno alle proprie radici, all’infanzia, ma soprattutto una nuova forma di riflessione sul sé, sulla propria condizione e sul proprio mondo interiore. Ma di frequente affiora uno spirito ludico e ironico, che sdrammatizza le condizioni di partenza, le ribalta. Tale da far concludere a Giuseppe Cafora la sua sequenza di acrostici sui suoi primi incontri di laboratorio affermando: “Andai a ruota libera …avevo imparato a liberarmi! Sono quattro anni che mi sento libero a ogni incontro.” 

L’antologia ricorda Oscar  Del Negro, corsista scomparso nel 2002, poco tempo dopo essere tornato in libertà, autore di versi folgoranti, e sulla bruciante tematica autobiografica del rapporto tra conoscenza e  desiderio, e di quello tra esperienza e colpa. Forze compresenti con particolare profondità nel contesto della detenzione, ma comuni  nell’esperienza di ogni essere umano: “Abbondante, la messe mi fu data/ donandomi la vita/ in questo stretto spazio. E là, dove il treno,/ scorrendo la campagna andava attraversando il piano,/ due campi m’apparvero divisi:// l’uno, di rose rosse e l’altro, bianco di riso.// Ma ancora, più abbondante, fu il desiderio di conoscere/ di quelle metà: la somma, che dal cuore la passione mi sorprese, / per non rimanere insoddisfatto nulla …”.

 

 

 

 

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