Anticipazioni – Paolo Valesio

Pubblicato il 1 febbraio 2018 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: http://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa

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Paolo Valesio

INEDITI
Un colpo di vento fra le cose

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Con un commento di Adam Vaccaro

***

Sento la dimensione trascendente come qualcosa che sempre appare/traspare, e resta sempre elusivo; e inoltre cerco di mantenere una posizione di equidistanza fra la dimensione del sacro e quella del profano. Ciò significa, fra l’altro, che la mia non è poesia religiosa.

Paolo Valesio

Sonetto del colpo di vento

Passa in colpo di vento fra le cose
ma in verità son colpi di dolore
e “nostalgia” è parola troppo tenera
per questo ritmo che si contraddice:
passaggi rapidi fra cuore e stomaco
e al tempo stesso (al tempo, stare al tempo)
ritardi sui messaggi
sugli enti e sugli eventi.
Perde più vita, lui,
abbandonando un luogo dopo l’altro
o restando attaccato allo scoglio?
Ma sempre la si perde in verità:
l’unico scampo è offrirla protendendosi
dall’inchino o dalle ginocchia.

560 Riverside Drive
Manhattan
28 agosto 2015

*

La biforca

“Unaccomodated man is no more than such a poor, bare, forked animal as thou art”[1]

(W. Shakespeare, “King Lear”, 3.4)

Occorre a ogni umano o poi o prima
di parlare con lingua biforcuta:
e come non potrebbe
se si biforca sotto la cintura
partendo dal bottone sessuale
e quando si discontra
nel congiungimento faccia a faccia
con questa sfacciatezza
di labbra-denti socchiusi?
Si affronta a così poche soluzioni:

La diplomazia dell’erotismo
oppure
la sublimazione del rictus
oppure
l’utopia del sorriso.

560 Riverside Drive
21 maggio 2013

[1] “L’uomo disadorno non è nulla più che un povero animale nudo che arranca su due gambe: proprio come sei tu” (traduzione mia).

*

Sonetto della vista immaginaria

Lui è re e prigioniero nella torre
della sua solitudine; i gradini
della porta che si apre sul dolore
sono pochi, consunti e vicini
all’acqua – anzi entrano in laguna
e le onde si baciano con loro
dalla finestra a cui tramonto aduna
la speranza e amore dell’oro
non terrestre e anzi nuvolare.
Si sporge e affaccia venti volte al giorno
nostalgico e perduto nel guardare
con stupore timoroso il mondo intorno
così bello e variato che il mistero
è: come fa, a sembrare così vero?

Padova-Venezia
maggio 1998

*

“Attenzione Le Immagini Che Seguono Potrebbero Urtare La Vostra Sensibilità”[2]

 

Per Cesare Pavese, ancora

C’era un tempo un leone scavernato
e scatenato
che poi si è sempre più incavernato
e ingrigito e invecchiato
e quando lo hanno visto male in zampa
alcuni asini antico-europei
gli hanno sferrato calci
e un branco di lupi lo ha finito.

Ora il canto dei lupi s’innalza:
“Oh oh oh siamo in crisi identitaria –
non vogliamo essere lupi-àscari
né lupi capo-bastone
sotto lo schiaffo
di questi altri e di quegli altri
ma vogliamo riuscire a essere noi
scorribandando dentro il nostro diritto
(come ombre ma più solidi di ombre)
controllando in energico zigzag
il nostro deserto”.

E il coro
degli avvoltoi filosofi risponde:
«Ogni vittoria è pirrica
(è dunque una sconfitta risucchiata) –
‘ogni guerra è una guerra civile’[3]

ogni guerra civile
s’internazionalizza e si spirala».

Hamilton Hall
20 ottobre 2011

[2] La frase titolare appare in testa a un video che mostra l’esecuzione di Muammar Gheddafi.

[3] La frase di Pavese: “Ogni guerra è una guerra civile” è stata già citata nella poesia Aforismi nel mio volume di poesie Il volto quasi umano, Bologna, Lombar Key, 2009.

*

Biglietto a un poeta

«‘Ogni guerra è una guerra civile’,
aveva scritto
un poeta in un romanzo.
E un lettore aveva fra sé aveva aggiunto:
“Ogni vittoria è pirrica”[4].

E adesso la corsa degli anni
lo autorizza ad aggiungere:
“Ogni sconfitta si paga nel presente,
e nel futuro si sconta ogni vittoria”».

Hamilton Hall
Columbia University
12 maggio 2011

[4].Vedi la poesia precedente.

*

Sonetto di Salerno [5]

Ieri notte ha riveduto la città
vecchia, dopo un lustro più vent’anni
e ha camminato nella de-realtà
di una notte di antichi inganni e sganni.
Dopo il convegno tenuto in Certosa
(performanze a Padula, nell’interno,
in un’aura stracciona e sontuosa)
le propose di andare a Salerno
e cenarono in stile di taverna
impigliati nel vago rendez-vous
di una monologazione alterna.
Troppo alta la fronte, quando fu
con lui nell’alta stanza allunata:
gli apparve una donna scotennata.

[5] A differenza degli altri, questo sonetto ha una struttura tradizionale di metro e di rime.

*

Il sonetto di Maddalena[6]

La voce le si sciolse in puro piangere

quando lui mormorò: “Noli me tangere”.
Questo rigetto le raggela il sangue
e si ripiega, si inclina, langue.
“Perché ti irrigorisci e ti allontani?
Perché rendi i miei affetti vani,
perché mi lasci sola nel deserto
né più mi mostri il tuo cuore aperto?”
Ma rispetta il comando: non lo tocca,
striscia indietro coprendosi la bocca.
Poi a un tratto si lacera i vestiti
Rivelando i seni appuntiti:
li ri-vela col rosso dei capelli
che hanno il frizzo degli angeli ribelli.

[6] Vedi il commento al “Sonetto di Salerno”.

***

Paolo Valesio, critico, saggista e poeta, è stato docente a Harvard, New York University, Yale e Columbia University, presso cui è attualmente professore emerito alla cattedra “Giuseppe Ungaretti” in Letteratura italiana. È autore di un vasto numero di saggi, di alcune curatele e di una dozzina di volumi di critica. Ha pubblicato diciotto libri di poesia. Ha fondato la rivista Yale Italian Poetry – YIP, a cui è succeduta Italian Poetry Review – IPR, “rivista plurilingue di creatività e critica”, che sotto la sua direzione opera tra New York, Firenze e Bologna. È presidente della giuria del premio internazionale di poesia “Piero Alinari” a Firenze. È inoltre presidente del “Centro Studi Sara Valesio” a Bologna.

***

Nota di lettura

Questo gruppo di poesie inedite di Paolo Valesio è una sorta di vascello, circumnavigante nel tempo e nello spazio di quella forma che chiamiamo poesia. Richiama e rivendica, con citazioni paratestuali e con i singoli testi, radici culturali profonde e misura con nodi di barbarie contemporanea (“Ogni guerra è una guerra civile”, scolpita da Pavese e poi da Giampiero Neri). E offre con i propri corpi testuali una varietà e ricchezza di forme, che dicono in primo luogo l’indefinibile della poesia, tutta la sua poetenza, la sua capacità di stare dentro e fuori le cose, cosicché ho scelto (con benestare dell’Autore) come titolazione complessiva l’immagine-sintagma del primo testo, di “un colpo di vento tra le cose”.
È uno di quei lampi che entrano e si imprimono in chi legge, e che in me riporta a quel “soldatino d’aria” inventato da un altro poeta a me caro, quale è stato Gilberto Finzi. È un vento che resiste e insiste nella totalità di ciò che siamo e viviamo, con l’energia incessante della sua apparente inconsistenza. Che rinnova la sua passione di farsi parola-verbo, incancellabile quanto più si invera in una immagine di imprendibilità e illimitatezza. Immagine scolpita in un incrocio di dolore, amore e gioia (“in verità son colpi di dolore/…/ passaggi rapidi fra cuore e stomaco”), che esalta il proprio canto e la propria libertà creativa nel paradosso che apparentemente li nega, col limite imposto dalle forme storicamente inventate e costrittive, come il dantesco natural burella (Inf. XXXIV).
Brilla in questi testi – punto denso nel percorso creativo che li ha preceduti – il cuore adulto dell’Autore che dall’anima dotta e profonda della natia Bologna si è aperto al Mondo (“lui,/ abbandonando un luogo dopo l’altro”) cercando una lingua, uno stile che può anche (er)rompere i margini (come vediamo in questi testi) della burella di origine, alla ricerca di Musica, Cultura, Casa di parole e Moti tra Interno ed Esterno. E dare così corpo al tra, in una casa di più case, più cuori, più padri e madri nella (ri)creazione incessante della propria casa-identità. Un moto di innumerevoli moti tra vani ignobili e suite nobili, in cui anche il poièin non sfugge alla condanna di sensi molteplici, biforcuti e contraddittori (“Occorre a ogni umano o poi o prima/ di parlare con lingua biforcuta:/ e come non potrebbe/ se si biforca sotto la cintura/ partendo dal bottone sessuale”), e dunque di trampoli paradossali e ossimorici, che combattono tra bagliori del giorno e pece della notte, alla ricerca di una pace impossibile, se si ha coscienza di esserci, in quel segreto abissale e magico, che trasforma la notte in giorno.
È adeguata la triade teologica di Giordano Bruno: Caos, Abisso, Notte. Il Caos (Dio Padre) chiede il coraggio della discesa nell’inferno dei propri abissi, compresi quelli dell’eros (“Rivelando i seni appuntiti …/ che hanno il frizzo degli angeli ribelli”), non per un paradiso altro, ma per continuare a rinascere qui e ora. E mentre declina “una notte di antichi inganni e sganni”, inutile diventa “il coro degli avvoltoi filosofi…:/ ‘Ogni vittoria è pirrica’”.
Come sottolinea l’Autore, questa non è poesia religiosa, nel senso di religio o chiusura, perché è poesia del sacer, del senso del sacro, che come ogni vera poesia erompe e libera, moltiplica e appartiene all’umano migliore, di qualunque fede e visione, di credenti e non credenti.

Adam Vaccaro

5 comments

  1. Fabrizio Bregoli ha detto:

    Poesia metafisica questa di Valesio, che sa andare oltre il dicibile e incidere in un sostrato esistenziale profondo, facendo leva sulle ambizioni e sulle attese dell’inconscio, dove più pervicacemente lo spirito inerisce e indaga il sé. La forma tradizionale del sonetto, omaggio evidente alla tradizione, viene così coscientemente manomessa per renderla nuova linfa, suggeritrice di possibilità di rinnovamento della parola. Il tutto orchestrato da un’estrema perizia verbale, segno di profonda padronanza di stile e linguaggio.

  2. Graziella Olga Sidoli ha detto:

    Rivoli, fiumi, cascate che confluiscono in un delta, poi in oceani di vita consacrata a parole armate e disarmate, amate e disamate, desiderate e abbandonate. Volo valesiano di versi che attraversano tempi e spazi dove le radici si sradicano e l’identità si moltiplica e il dolore affonda nell’esistente. Dove luce e ombra si con-fondono.

  3. Lorenzo Fort ha detto:

    Mi sembra che della poesia “alata” di Paolo Valesio l’analisi, attenta e acuta, di Adam Vaccaro riesca a cogliere bene le tante caratteritiche e le profonde implicazioni. Condivido pure le parole di Graziella Olga Sidoli, tra l’altro già raffinata traduttrice in lingua inglese di parecchi brani valesiani.

  4. Adam ha detto:

    Ringrazio per gli attenti commenti e apprezzamenti, dedicati alla poesia di Valesio e alla mia nota di lettura.

  5. Paolo Valesio ha detto:

    Sono grato ad Adam Vaccaro per l’esauriente pubblicazione dei miei testi e il suo commento critico, che mostra una rara sensibilità per il linguaggio della poesia, e aggiungo che i poeti, traduttori e critici di cui sto venendo a conoscenza su questo sito, nei loro testi e nei loro commenti, sono veramente notevoli per l’intensità e la varietà dei loro linguaggi.

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